Chiamata a svolgere una riflessione sulla «preghiera delle donne», per il sempre interessante mensile dell’Osservatore Romano «Donne chiesa mondo», Maria Ignazia Angelini, monaca benedettina di Viboldone, ne ha consegnata una da par suo: asciutta, concreta, stimolante1. Asciutta, poiché in fondo si tratta di poco più di tre dense paginette, senza una parola di troppo; concreta, per le indicazioni su ciò che «avviene» nella pratica di un’attività tanto intuitiva quanto in realtà misteriosa, e per i pochi ma decisivi riferimenti alla propria esperienza («dopo sessant’anni di vita monastica, giorno dopo giorno», «quotidianamente, entrando in coro e sedendo al mio posto, ogni volta…», «la pratica del salmodiare insieme, nei giorni, nelle ore, negli istanti, riconsiderata alla luce di anni, decenni di vissuto corale»); stimolante, per la capacità di tenere insieme riferimenti assai distanti nel tempo (la Bibbia, va da sé, Cristina Campo, Olivia Flaim, Isacco di Ninive), senza rinunciare a dire qualcosa sul nostro, di tempo. Stimolante, aggiungo, per un non credente che voglia provare a capire.
Le donne, nella riflessione di m. Angelini, sono le monache, e la preghiera è quella dei Salmi, e non poteva essere diversamente. In questa prospettiva, il nesso che si stabilisce con gli esempi tratti dalle Scritture (essenzialmente Eva e Maria) è centrale: «Un’esperienza profondamente sintonica a queste oranti, è quella che sta alla radice del monachesimo femminile. È l’esperienza di preghiera che si scopre e si fa sempre più ospitale di tutto l’umano, dimorando stabilmente – tra stanchezza e sopori – immersa in parole di salmi, nel ritmo dei giorni in monastero» (e non si può che sottolineare quell’inciso così realistico di stanchezza e sopori). Pregare i Salmi, dire tutte le loro parole senza esclusione («dirli, leggerli, commentarli, recitarli a memoria, cantarli, suonarli»), diventa un percorso di immersione, trasformazione personale e scoperta, un «battesimo» continuo nel quale la Parola è sempre ri-pronunciata, attraverso la singola persona, in un atteggiamento di rinuncia e affidamento: «La preghiera è sempre una resa del proprio controllo sulla propria vita».
Qui m. Angelini getta un primo sguardo al mondo che si agita intorno al suo monastero, quando indica nella preghiera comunitaria l’antidoto fondamentale allo «spiritualismo narcisista» di chi pensa di poter andare da solo per la sua strada: «La diuturna consuetudine corale col Salterio […] fa maturare nella comunità monastica femminile – priva di ministeri ordinati e ricca del sacerdozio battesimale – una famigliarità liberante, e circolare – un vero e proprio “abitare insieme”». Una consuetudine – ecco il secondo, fermo sguardo – che rappresenta una «avventura spirituale alternativa» rispetto alla cultura «che respiriamo in questa faticosa e complessa svolta d’epoca: la cultura del farsi da sé». La «frequentazione assidua» del Salterio, suggerisce m. Angelini esalta la competenza femminile («materna», dice lei), capace di accogliere il dolore di tutti senza smarrire i «germogli di speranza».
Forse, si potrebbe obiettare, più che una cultura, quella che respiriamo è una condizione infine riconosciuta (che nulla ha a che vedere, nonostante l’assonanza, con la declinazione del self-made man). Una condizione di emancipazione lungamente perseguita che non preclude un’aggiunta decisiva. Perché l’«insieme» (dell’abitare, del fare e anche del farsi) può essere recuperato anche in una dimensione di radicale immanenza, nonostante molte circostanze abbiano detto e dicano il contrario. E nonostante questo significhi l’abbandono definitivo di una certa idea di speranza.
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- Maria Ignazia Angelini, Le salmodianti ieri e oggi. Donne e salterio: riflessioni di una monaca benedettina, in «Donne chiesa mondo» 132 (aprile 2024), pp. 4-7.