Come nella migliore tradizione la vicenda è cominciata con un libro adocchiato su una bancarella. Figuriamoci: Il libro della trappa, di un tale Agustín Roberts1, comprato all’istante, anche con lo stupore che esistesse un libro con un titolo del genere – che infatti si rivelerà essere un «titolo editoriale» di un originale ben diverso, Hacia Cristo. Apertolo all’impiedi davanti alla bancarella medesima, si è presentato con un’avvertenza dal tono e soprattutto dal contenuto assai singolari, che hanno acceso immediatamente il mio interesse. Nella «Nota di edizione» a pagina 9 ho letto infatti che le suore trappiste di Vitorchiano avevano contattato l’editore circa la possibilità di pubblicare in italiano il libretto, assai utile per le postulanti, che loro lo «avrebbero anche semplicemente ciclostilato in un numero limitato di copie»; l’editore aveva letto e valutato, e scoperto che il testo «forse più di ogni altro poteva far conoscere in cosa consiste lo svolgersi quotidiano della vita contemplativa».
E qui la nota prendeva una piega inattesa. L’editore infatti riteneva che il testo potesse essere di grande utilità a «tutti coloro che con onestà vogliono fare un passo nella comprensione di un avvenimento che questa società vorrebbe emarginare, ma che di fatto è inemarginabile. L’inemarginabile dall’ideologia di questo mondo è in fondo il contenuto di questo libro». Perbacco! Anche se penso che oggi, passati altri cinquant’anni da quelle parole, «questo mondo» (ammesso che esista una concreta entità corrispondente a tale concetto) in realtà non voglia «emarginare» il monachesimo, ma sia in sostanza indifferente al suo destino (a patto che si possano visitare i monasteri e i relativi gift shop abbiano un orario decente), l’affermazione non poteva non colpirmi.
La prefazione dell’autore, che seguiva la nota dell’editore, affermava che si trattava di «uno studio sul significato dei voti monastici, precisamente come espressione della dinamica benedettino-cistercense. Poiché questa dinamica contemplativa è nel cuore di ogni uomo, speriamo che esse siano di profitto generale». La prefazione era datata «Azul, 1970», cioè, come ho appreso in seguito, dal monastero trappista di Nuestra Señora de Los Ángeles di Azul, a circa 300 chilometri a sud di Buenos Aires, del quale p. Roberts era stato abate dal 2000 al 2008, dopo essere stato per quattro anni procuratore generale dei cistercensi della stretta osservanza presso la Santa Sede.
Insomma, Agustín Roberts, nato Bruce nel 1932, quindi John nel 1953, novizio presso l’abbazia di Spencer, nel Massachussetts, e infine Augustine (poiché c’era un altro John nel monastero) monaco professo nel 1958 «è stato una delle figure più significative e influenti del monachesimo cistercense della seconda metà del XX secolo, quasi sconosciuto al di fuori del suo Ordine». E qualche mese dopo avevo in mano Configurati a Cristo, il corposo volume di 450 pagine2 che rappresenta il punto di arrivo di numerose edizioni e revisioni di quel primo testo, nato in forma di appunti nel 1967, e la cui lettura è stata di estremo interesse e utilità per cogliere dall’interno gli aspetti più importanti di quella che ancora e sempre pare una scelta di difficile comprensione.
Ma a questo punto è lecito domandarsi: Augustine Roberts, chi era costui?
(1-segue)
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- Agustín Roberts, Il libro della trappa. Orientamenti pratico-dottrinali sulla professione monastica, traduzione di F. Mazzariol, Jaca Book 1976.
- Augustine Roberts, Configurati a Cristo. Una guida alla professione monastica, Nerbini, «Quaderni di Valserena», 2018.