Silenziosi, non zitti (Maria Ignazia Angelini sul silenzio contemplativo, pt. 2/2)

angeliniunsilenzio(la prima parte è qui)

«Silenzio bello è l’atteggiamento dell’uomo che si espone alla realtà, all’avvenimento che gli viene incontro, in una “vuotezza” per la quale tutto si offre alla forza creatrice dell’Alterità. Bello, appunto, perché tutto attesa della Parola.» Non si tratta quindi di recuperare, con una mossa alla moda, la «bellezza del silenzio», quanto di accedere a un «silenzio bello» che, nella riflessione di Maria Ignazia Angelini1, è in sostanza equivalente al silenzio contemplativo: non soltanto «disintossicazione» dai linguaggi presieduti dalle varie logiche mondane, ma anche «nuda aderenza» alla realtà, un «combaciare misericorde con la realtà, un consenso ricco di compassione, dove l’assenza di parola non maschera il ritrarsi della libertà paurosa di esporsi, ma esprime mitemente ascolto e attesa». Le formule usate dalla badessa sono ricche di suggestioni e rimandano a un’esperienza che intuisco cruciale, ma che stento a comprendere. O forse no, e la «cosa» è semplice («La bellezza di questo silenzio è nella sua semplicità»): spegnimento della voce interiore, ascoltata senza criterio per affermare, per volere, per nascondere la verità, per credere alla propria autonomia; sguardo mite e senza rivendicazioni sul mondo; ascolto totale di ciò che si farà sentire – «quel silenzio della fede che rende la persona tutta “orecchio” che accoglie e aderisce alla Parola».

La rete di citazioni e sostegni che attraversa il volume è uno dei suoi aspetti di grande interesse, e la terza parte in particolare, dedicata ai padri siriaci, ne risulta assai densa: Ignazio di Antiochia, Efrem Siro, Isacco di Ninive e il meno conosciuto – diciamo la verità, a me del tutto ignoto – Giovanni di Dyalatha. Tanto densa che confesso di essermi perso – azzittito, se non distratto –, soprattutto nei versi lampeggianti degli Inni di Efrem Siro2. Poi però mi è parso come se questo risultato fosse una vaga eco di quella disposizione di cui la badessa stava parlando, ad esempio quando cita Giovanni di Dyalatha, in una delle sue Lettere: «Tuttavia qualcuno ha detto che talvolta, quando cammina per via, oppure si tiene ai suoi bordi, o anche al di fuori, accade che comincia come a perdere se stesso: è improvvisamente ridotto al silenzio per l’operazione della forza onnipotente, e dimentica se stesso e tutto ciò che gli appartiene, stupito e meravigliato per la bellezza che lo ha attirato» – uscire dalla propria strada consueta, perdersi, farsi silenziosi. Silenziosi, e non zitti; cioè fiduciosi nella realtà e nel di lei senso (anche se non immediatamente svelato) e non indispettiti e recriminanti, liberi e non rinchiusi, compassionevoli e non rancorosi. «Silenzio è qualcosa di questo genere», chiosa m. Angelini, «e non un modo per continuare indisturbati una sorta di ininterrotto monologo interiore».

Anche qui devo confessare di essere un po’ in difficoltà di fronte alla rarefazione concettuale che si accompagna al tentativo di parlare del silenzio, e credo sia fondamentale ricordare che di silenzio contemplativo si occupa il testo della badessa e non di silenzio tout court. È solo all’interno di questo perimetro che si può provare a leggere senza ambiguità ad esempio ciò che dice Isacco di Ninive: «Ama il silenzio più di tutto. Poiché esso ti dà di portare frutto. La lingua non sa spiegarlo. Sforziamoci anzitutto di tacere. È dal silenzio che nascerà ciò che ci condurrà al silenzio». È un’esperienza che si autoalimenta, un seme che va piantato. È così importante che (sempre Isacco) «se tu metti su un piatto della bilancia tutte le “opere” della vita monastica, e sull’altro il silenzio, ti accorgerai che questo pesa molto di più».

(2 – fine)

 ______

  1. Un silenzio pieno di sguardo. Il significato antropologico-spirituale del silenzio, EDB 1996 (ristampa 2009).
  2. Nella complessa e stratificata meditazione della badessa si aprono ogni tanto momenti più distesi, nei quali affiorano immagini che sarebbe interessante approfondire: «L’iniziativa propriamente umana è quella di “riconoscere” ogni voce, di armonizzarsi con l’intenzione autocomunicativa di Dio e di farsi artefice – nella libertà che acconsente – di infiniti legami di senso, tramite il gioco/suono delle cetre di cui è disseminato il suo cammino di cercatore della verità, di umile e ardito cercatore di interlocutori».

 

2 commenti

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2 risposte a “Silenziosi, non zitti (Maria Ignazia Angelini sul silenzio contemplativo, pt. 2/2)

  1. Paola

    Molto bello e ispirante… Penso che acquisterò il libro. Grazie mille! 🙂

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