A un anno di distanza dalla morte, dal «transito», di Anna Maria Cànopi, la grande badessa dell’abbazia «Mater Ecclesiae» dell’isola di San Giulio, Matteo Albergante e Roberto Cutaia hanno raccolto ventitré testimonianze di donne e uomini religiosi e laici venuti in contatto, a vario titolo e in varie forme, con «la Madre»1. Si potrebbe definire il volume una specie di moderno «rotolo funebre» di intonazione agiografica («A noi è parsa sempre una persona santa, eccezionalmente coerente, fin dai primi anni in cui l’abbiamo conosciuta», dicono con unica voce le sue consorelle, le sue «figlie»), sollecitato per fissare nell’emozione del momento ricordi, pensieri e sentimenti. In questa prospettiva, spicca su tutti, a mio parere, il contributo di Maria Ignazia Angelini, badessa emerita di Viboldone, cioè proprio di quell’abbazia alla cui porta m. Cànopi chiese di entrare e in cui fece la professione solenne, il 30 maggio 1965, a 34 anni2.
Spicca perché non si limita all’omaggio reso a una personalità sicuramente non comune, ma lascia emergere differenze e questioni con una combinazione speciale di finezza, discrezione e onestà, a partire da quell’incipit così accurato e di certo a lungo meditato: «Una testimonianza su madre Anna Maria Cànopi è una richiesta impegnativa: mette in moto tutta una serie di memorie sensibili, sulle quali gli ultimi incontri con lei hanno gettato una luce di pensoso stupore».
Sia chiaro: non voglio assolutamente far dire al testo di m. Angelini cose che non dice, nondimeno non sono poche le espressioni che evocano, soprattutto in relazione agli inizi della comune vicenda monastica («Fummo per tre anni in noviziato insieme, prima che lei passasse tra le monache professe»), momenti di tensione, quantomeno rispetto al clima di quegli anni. Tra la fine dei Sessanta e l’inizio dei Settanta, ricorda m. Angelini, «vivevamo tutta l’inquietudine e lo spirito di ricerca dell’epoca del post-Concilio, la seduzione della ragione critica, la passione per l’aggiornamento e il rinnovamento della liturgia e delle osservanze monastiche, il ripensamento del volto della donna nella Chiesa» e m. Cànopi, pur «con la consueta mitezza, prendeva le distanze» da quelle discussioni. Come in uno specchio si può osservare tale «distanza» nelle parole dell’«autobiografia» di m. Cànopi: «In quegli anni erano molte le problematiche sollevate nella Chiesa a proposito della vita consacrata e bisognava affrontarle con sollecitudine e insieme con ponderazione, con apertura alle sagge innovazioni, ma senza staccarsi dalla convalidata tradizione»3.
Potrei elencarle, tutte le altre espressioni che ho sottolineato, ma mi rendo conto che, come si dice, non è questo il punto. E qual è, allora? Ciò che più mi ha colpito è che queste poche pagine mi hanno per così dire messo davanti agli occhi due figure di donne monache badesse, consapevoli delle proprie differenze, ma unite dallo stesso abito e da ciò che rappresenta, lontane e vicine, una di fronte all’altra eppure affiancate. Pur entro la spigolosa cornice dell’umiltà benedettina, l’aria che vi si respira è quella della grandezza. Certo, la «protagonista» è m. Cànopi, grazie anche ai preziosi documenti – lettere e testi poetici – che vengono citati, ma chi scrive non si cancella e proprio per questo dà alla propria testimonianza uno speciale valore di umanità.
(Sia concesso qui, tra parentesi, mettere ancora a confronto il testo di m. Angelini e quello autobiografico di m. Cànopi su un momento preciso: la partenza di quest’ultima con cinque sorelle da Viboldone alla volta di Orta. Scrive m. Cànopi: «L’11 ottobre 1973, di buon mattino, al termine delle celebrazioni delle lodi, andammo a baciare l’altare in mezzo al coro, quindi ci avvicinammo alla madre abbadessa per ricevere la sua benedizione e, silenziosamente, uscimmo dal portone principale della chiesa. Fuori ci aspettava il parroco con l’automobile per accompagnarci all’isola. Guardammo fino all’ultima svolta le mura dell’abbazia…». Ricorda m. Angelini: «L’uscita da Viboldone verso la Chiesa che è in Novara, verso l’isola di San Giulio, fu silenziosa e sommessa, l’11 ottobre di quello stesso anno. Uscirono in sei, piccolo gruppo di sorelle, dal portale dell’abbazia, senza voltarsi indietro…»).
Non voglio dimostrare nulla, con questi appunti, forse soltanto immaginare proprio quegli ultimi incontri, quattro, tra le due monache, nel corso del 2018: poche parole e molto silenzio all’insegna di «una sintonia gustata pur nella radicale differenziazione degli orizzonti», la conclusione commossa di «una lunga storia condivisa, su registri diversi, ma sorrette da un’unica armonia: il Dio della nostra salvezza».
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- «Il silenzio si fa preghiera». Omaggio a Madre Anna Maria Cànopi, a cura di M. Albergante e R. Cutaia, Paoline 2020.
- «Le prime sorelle della comunità ancora oggi portanto impressa nella memoria la stupita perplessità al vedere presentarsi l’esilissima figura femminile alla porta del monastero per essere accolta come probanda.»
- Anna Maria Cànopi, Una vita per amare. Ricordi di una monaca di clausura, Interlinea 2012.