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Pluviometri, sismografi e meteoriti (Cultura scientifica e tecnica del monachesimo in Italia, pt. 2/2)

(la prima parte è qui)

MazzucotelliSono pressoché certo che dimenticherò i nomi dei monaci scienziati che ho incontrato nel bel libro di Mauro Mazzucotelli1, magari, dicevo, con qualche eccezione. A cominciare dalla figura del cassinese Benedetto Castelli (1577-1643), «il monaco che forse più di ogni altro fu vicino a Galileo, non solo come fedele discepolo ma anche come sincero amico, e dal quale fu ricambiato con altrettanta amicizia e considerazione». Ingegno poliedrico, si usava dire, il Castelli si occupò di molti argomenti di astronomia – a lui si devono i calcoli sui periodi dei pianeti medicei, cioè i quattro satelliti maggiori di Giove scoperti da Galileo –, di ottica, meccanica, fisiologia, sia teorici, sia pratici, e la sua fama si legò in particolare al Della misura dell’acque correnti, uno dei trattati di idraulica più famosi del suo tempo, pubblicato a Roma nel 1628. Il motivo per cui lo ricorderò, tuttavia, è perché gli viene attribuita l’invenzione del pluviometro, «sperimentato per la prima volta in un cortile del monastero di S. Pietro in Perugia ove l’abate risiedeva nel 1639 in occasione del capitolo generale della congregazione». L’idea venne al Castelli osservando un acquazzone che si abbatteva sul lago Trasimeno, come poi racconterà in una lettera indirizzata proprio a Galileo: «Supponendo (come haveva assai del probabile) che la pioggia fosse universale sopra il lago… preso un vaso di vetro di forma cilindrica… l’esposi all’aria aperta a ricevere l’acqua della pioggia che ci cascava dentro e lo lasciai stare per ispazio d’un hora…»

Poi mi ricorderò di un altro cassinese, Andrea Bina (1724-1792), lettore di filosofia, ma soprattutto fisico e in particolare sismologo (suo il Ragionamento sopra la cagione de’ terremoti ed in particolare di quello della terra di Gualdo di Nocera Umbra nell’Umbria seguito l’A. 1751). Alla sua memoria è stato intitolato l’Osservatorio Sismico «Andrea Bina», fondato dal monaco di Montecassino Bernardo Paoloni agli inizi degli anni Trenta, proprio nel monastero di S. Pietro in Perugia, e sul cui sito si legge: «Si può affermare con estrema tranquillità che la sismologia intesa come materia scientifica, dimostrabile attraverso osservazioni, dati e leggi fisiche e non con miti e leggende, nacque dalla preziosa penna di Padre Andrea Bina». Anche di lui mi ricorderò in particolar modo per un’invenzione, quella del sismografo a pendolo: una sfera di piombo appesa a un filo, con infilato uno stilo rivolto verso terra che scava solchi più o meno profondi nella sabbia contenuta in una cassetta di legno posta sotto di esso. Commentando il fatto che l’osservatorio sismologico sia tuttora attivo, Mazzucotelli scrive: «Credo che rappresenti l’unica realtà scientifica del nostro tempo realizzata in un monastero italiano, superstite testimonianza di una onorevole tradizione del passato».

AmbrogioSoldaniInfine non mi dimenticherò del camaldolese Ambrogio Soldani (1736-1808), di vastissima cultura, ma ricordato specialmente per gli studi di conchigliologia fossile, svolti in larga misura in terra toscana, culminati col Saggio orittografico ovvero Osservazioni sopra le terre nautilitiche ed ammonitiche della Toscana, pubblicato nel 1780 e la cui prefazione così recita: «Le pietre lumachelle a grani minimi riguardate colla lente, le molte terre analizzate, i testacei minuti separati ed esaminati col microscopio tutte insomma le osservazioni, e tutte l’esperienze riportate in questa raccolta sono state da me eseguite, poco avendo io detto per relazione d’altri e nulla senza citarne l’Autore». Il suo nome è legato anche a una curiosa e acuta opera dedicata a una pioggia di meteoriti avvenuta nei pressi di Siena: Sopra una pioggetta di sassi accaduta nella sera de’ 16 giugno del MDCCXCIV in Lucignano d’Asso nel Sanese: Dissertazione. Perché mi ricorderò di lui? Per il soprannome che gli restò attaccato: «abate pioggetta».

(2-fine)

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  1. Cultura scientifica e tecnica del monachesimo in Italia, 2 voll., Abbazia San Benedetto, Seregno, 1999.

 

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«Mai senza un poco di aritmetica, di geometria e di fisica» (Cultura scientifica e tecnica del monachesimo in Italia, pt. 1/2)

MazzucotelliHo dunque letto il meritorio lavoro di Mauro Mazzucotelli dedicato alla Cultura scientifica e tecnica del monachesimo in Italia1, in particolar modo di quello benedettino. Una cultura che per un bel tratto ha seguito lo sviluppo delle scienze in ambito laico, prima di crollare «bruscamente e per sempre» all’epoca delle leggi di soppressione delle congregazioni e degli ordini religiosi. Crollata per ragioni estrinseche, e quindi migrata altrove, senza tonaca: non mi è sembrato, infatti, scorrendo questa lunga galleria di nomi di cogliere una specificità monastica di avvicinamento alle scienze, il metodo essendo quello, indipendentemente dal saio o dal camice. Con ogni probabilità anche in virtù di una precisa scelta dell’autore, la stragrande maggioranza dei nomi che affollano le sue pagine corrispondono a individui che ritenevano importante e necessario osservare, cercare, registrare, catalogare, eventualmente sperimentare, e tramandare le conoscenze acquisite, al pari di pregare e cantare le lodi del Creatore: due «percorsi», se così li vogliamo chiamare, che in concreto nei monasteri non si ostacolavano a vicenda, anzi. «Il contrasto tra la scelta della vita dedicata a Dio e la passione per lo studio della scienza risulta superabile, come appare analizzando singole vicende e biografie della maggior parte dei monaci, in una stabile coerenza personale tra l’ascesi e lo studio, tra l’osservanza della Regola di San Benedetto e quella delle leggi che regolano il cammino della ricerca e della speculazione scientifica.» A suggello di questo contrasto superato, o forse mai nemmeno sentito, Mazzucotelli riporta una bella frase dell’abate napoletano Antonio Genovesi (tra l’altro, il primo titolare della prima cattedra di economia dell’università italiana), che così rispondeva al classico «giovane che voleva intraprendere la carriera ecclesiastica»: «Ella vuole essere un teologo: ma non il sarà mai senza un poco di aritmetica, di geometria e di fisica; poiché quelle le formeranno l’arte di ragionare e questa le farà conoscere il primo libro di Dio ch’è il mondo».

E non pare esserci neanche una specificità di interessi, a parte forse per quelle discipline più legate ad alcuni aspetti tradizionali del «sapere» monastico, come la botanica, con ricadute su medicina e farmacologia, e le scienze della natura «coltivata» e vissuta: idraulica, silvicoltura, agraria, meteorologia. «Il mondo vegetale arboreo, erbaceo o floricolo ha sempre avuto un legame abituale con la congregazione di Vallombrosa», ad esempio (e Giovanni Gualberto, il fondatore di Vallombrosa, è il patrono delle guardie forestali italiane), oppure la consuetudine di studi naturalistici dei camaldolesi. L’indice dei nomi raccoglie monaci scienziati per ogni branca, e sia di attitudine sperimentale e di ricerca, sia erudita: «È davvero impressionante – ad esempio – l’ampiezza del sapere di alcuni monaci del XVII secolo, come il fogliante Camillo Stella o il camaldolese Clemente Mattei o il cassinese Gerolamo Ruscelli», capaci di spaziare dalla matematica, all’astronomia, alle scienze del calendario, alla cartografia e alla meteorologia.

Il mio grande rammarico, non nuovo, è che tra non molto non ricorderò nulla di questa schiera, magari giusto con qualche eccezione. Mi accontento di sapere che questo fenomeno è esistito e ha avuto una dimensione non trascurabile; lo deposito sullo scaffale mentale che ospita quelle cose che a un paio di metri di distanza sono un’etichetta che riporta il loro nome, e poi, a mano a mano che ci si avvicina, si allargano e si inabissano tendendo a infinito; e sono grato all’autore del libro, cui potrò in caso tornare periodicamente – libro che, nelle intenzioni, va considerato come propedeutico a «un Dizionario bio-bibliografico dei monaci italiani che si sono occupati di scienza e hanno lasciato tracce scritte di questa loro cultura. È un lavoro che mi sta impegnando da tempo con, è il caso di dirlo, pazienza certosina e che spero possa vedere la luce in un futuro non troppo lontano».

(1-segue)

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  1. 2 voll., Abbazia San Benedetto, Seregno, 1999.

 

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Serafino Serrati, monaco scienziato (uno dei tanti) (Who’s Who, XI)

SerafinoSerrati

Serafino Serrati, o.s.b., Firenze, m. dopo il 1787. Monaco e fisico, gli fu intitolato anche un batterio, il Serratia marcescens.

Dopo esser stato per anni il triste possessore di un derelitto volume secondo, finalmente ho recuperato il primo volume di un’opera molto interessante e che io sappia pressoché unica: Cultura scientifica e tecnica del monachesimo in Italia di Mauro Mazzucotelli. Mi sono subito disposto alla lettura e in breve, nel mezzo di un profluvio di «ma tu guarda» e «ma dai», mi sono imbattuto in questo incipit di capitolo: «Era ancora recente l’eco degli esperimenti aerostatici dei fratelli Montgolfier quando il 25 gennaio 1784 nella Badia fiorentina alcuni monaci cassinesi realizzarono con successo il volo di un pallone aerostatico che dal chiostro del monastero si levò nel cielo di Firenze per essere recuperato qualche ora dopo in un villaggio dell’Appennino emiliano»1. L’impresa, che seguiva di un paio di mesi il primo volo umano su quella che sarebbe stata chiamata la mongolfiera, avvenuto il 21 novembre 1783, era opera di tre benedettini: Bernardo De’ Rossi, Agostino Da Rabatta e Luigi De’ Rossi. L’avvenimento fece scalpore e fu riportato con ammirazione dalle cronache del tempo, ma non era certo un evento miracoloso, né un episodio isolato.

Alla Badia infatti si trovavano diversi monaci «i quali, impiegando il tempo e l’ore che gli sopravanzavano alle monastiche incombenze, si occupavano per piacere nelli studi piacevoli della Fisica». Tra di essi vi era Serafino Serrati, «diligentissimo Monaco Benedettino», cui «non potrà negarsi la gloria di essere stato il primo a immaginare la possibilità» di dare una direzione ai palloni aerostatici. Schivo e osservantissimo, di lui uno di quei grandi repertori biografici ottocenteschi dice che «passava la vita sempre immerso nei prediletti suoi studi», in cui si distinse, oltre che per le ricerche sui predetti palloni, anche per le idee sulla possibilità di applicare il vapore «ai legni per correre il mare». E racconta anche che un giorno, suonata la campanella che chiamava i monaci al coro, dom Serafino vi giunse «con tutto il suo grembiulino che tenea lavorando al suo fornello chimico». Non era infrequente peraltro che questi monaci studiosi assommassero conoscenze di più discipline, e che tali discipline insegnassero, fuori e dentro il loro monastero.

Nel 1787, a Firenze, furono pubblicate le sue nove Lettere di fisica sperimentale2, che presentano a un anonimo amico il frutto dei suoi studi e che spesso sono aperte da amene introduzioni, come la seguente: «Essendo un giorno in campagna, e presso d’una piccola vasca, osservai che per essere la giornata quietissima, l’acqua di questa vasca non si muoveva punto. Mi saltò in capo di vedere se vi era modo di movere con l’arte l’aria in guisa, che potesse questa guidare un legno senza che l’aria fosse commossa. O sentite di grazia quello che io mi immaginai…» (Lettera VIII). La più curiosa è forse proprio l’ultima, «che descrive un forno a riverbero, per l’uso di cuocere il pane», e che comincia così:

«Ritrovandomi un giorno a sentire i lamenti che faceva un fornaio per esser troppo lunga, faticosa e dispendiosa la cottura del pane, mi posi a pensare se vi potesse essere una maniera di formare un forno, il quale fosse atto a cuocere il pane, senza che nel medesimo si mettesse il fuoco e le fastella, e che con più prontezza e pulizia si arrivasse questo a riscaldare.» Detto fatto, con tanto di figura. E poiché di fisica sperimentale si tratta, «io ne ho fatta l’esperienza», conclude dom Serafino, «e m’è riuscita egregiamente».

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  1. Mauro Mazzucotelli, Cultura scientifica e tecnica del monachesimo in Italia, Abbazia San Benedetto, Seregno, 1999, p. 98.
  2. Lettere di fisica sperimentale di D. Serafino Serrati, monaco cassinense della Badia di Firenze, Firenze 1787, per Gaetano Cambiagi Stamp. Grand. (lo si può consultare qui).

 

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