Archivi categoria: Vallombrosani

Gli stivali sì, ma non scamosciati

È sempre interessante, e anche divertente, leggere in trasparenza le regole monastiche e concentrarsi su ciò che vi viene proibito e sulle prescrizioni minute. Non è stupida volontà di cogliere in fallo i reverendi padri, è umana curiosità, considerando senza malizia che, tra le mille cose che potevano essere regolamentate, le circostanze e i comportamenti che vengono citati erano evidentemente stati osservati nella realtà e pertanto i suddetti padri avevano ritenuto di doverli espressamente menzionare.

Di particolare interesse è poi il caso di costituzioni di molto successive alla Regola di Benedetto, che la pongono come base e si limitano a integrarla: perché i tempi e le consuetudini sono cambiati, perché circolano più denari e più merci, perché anche le persone si muovono di più e «perché oggi si allarga un poco più la mano». Le Costituzioni della Congregazione di Vallombrosa, ad esempio, nella seconda parte, lo dicono chiaramente: «Ammaestrati dalla santa istruzione della Regola, che l’Abate in tal modo temperi, o disponga le cose… dichiareremo alcuni passi della Regola, modificando quelle cose che a’ tempi nostri sembrano aspre, componendo alcuni modi di vivere, acciocché nella nostra Congregazione si vegga l’uniformità nelle cose esteriori e si conservi la concordia interiore». Le «Dichiarazioni» che seguono fanno riferimento ai capitoli della Regola, il più delle volte citando un passo preciso («Dove dice…»), e i casi curiosi che mi hanno colpito sono numerosissimi.

Là dove Benedetto si limita a vietare scurrilità e parole oziose (Cap. VI), i padri di Vallombrosa prescrivono che «acciocché si levino le occasioni di leggerezza, o buffonerie, … che in qualunque luogo della nostra Congregazione siano vietati i canti e i suoni, eccetto che di tasti, che si permettono per abilitarsi al suono de’ sagri organi in servizio della Chiesa». Parimenti si vietano i giochi di carte, i dadi, le scommesse, quelle fatte da sé o tramite altri. Per quanto riguarda il dormitorio (Cap. XXII), «non si permettano i camini nella camere, né a veruno il dormire accompagnato». Benedetto (Cap. XLII) prescrive che subito dopo cena i monaci si riuniscano per ascoltare una lettura edificante, bene, «dove dice “subito” dichiariamo doversi intendere in largo modo, perché si differisce un’ora, o più, acciò per la cena fresca non sia nocivo entrare a letto» (in realtà, dopo la lettura c’è Compieta). I monaci non devono accettare né ricevere lettere o regali (Cap. LIV), ma «per questo non intendiamo proibire donare cose mangiative, purché non siano in quantità notabile». (Tra parentesi, il commento a questo capitolo è l’occasione per stabilire che «al P. Generale è assegnata la propina di scudi 200 per qualunque bisogno suo, e della famiglia, a ciascheduno de’ Visitatori scudi 60, avendo però vitto e vestito, e servitù per loro, e cavalcature».) Sulle norme per l’abito (Cap. LV) i padri si diffondono: la «gabbanella» sotto la tonaca deve arrivare «a tre dita sotto il ginocchio»; «i calzoni siano semplici e modesti, senza tasche»; le camicie «di color tanè»; niente «giubboni attillati» e nessun indumento di pelle, «se non stivali, quali sempre siano neri, ma non scamosciati». Ah, e «nessun dei nostri Monaci per l’avvenire porti barba o basette». Un discorso a parte andrebbe poi fatto per le chiose ai capitoli sulle colpe (XXV-XXVIII), che vengono distinte minuziosamente in leggiere, gravi, più gravi e gravissime. Per restare sul versante lieve: colpe leggere sono «urtare, spingere, tirare e minacciar fanciullescamente e per giuoco» (cioè, spintonarsi), «bere con ambo le mani», «chiamarsi l’un l’altro con soprannomi, o dicendosi non voi, ma tu», «mangiare cose particolari senza licenza»…

Insomma, la fiducia nel discernimento dell’abate è sempre massima, ma lo sappiamo che siamo vittima del peccato, «dal quale è troppo difficil cosa il potersi guardare in questo Mondo, perché in molte cose offendiamo tutti, e sette volte il giorno cade il giusto, e se pensassimo, o dicessimo, non aver peccato, inganneremmo noi medesimi».

(Costituzioni della Congregazione di Vallombrosa, Parte seconda. Spettante al genere politico. O dichiarazione della Regola di San Benedetto. Si possono leggere qui.)

Lascia un commento

Archiviato in Regole, Spigolature, Vallombrosani

Election Day all’abbazia

I Monaci Capitolari, i «Vocali», sono stati convocati secondo la procedura e si sono radunati nel luogo convenuto la terza domenica dopo Pasqua. Sono presenti il Presidente – o Padre Generale, o Abate Generale – uscente, i Definitori, i Visitatori, i Prelati, gli Abati Collegiati, gli Abati e i Priori non Collegiati, gli Abati e i Priori Titolari, i Conventuali, insomma tutti coloro che hanno «voce in capitolo». Celebrata la messa, osservati i Vespri e compiuta una serie di orazioni, i padri si ritirano.

«La mattina immediatamente seguente, coadunati tutti i sopranominati del Capitolo con quelli del Convento, a buonora in chiesa» si celebra un’altra messa, dopodiché, «tutti quelli del Capitolo, a suono della campanella, com’è costume, convengano nell luogo deputato, e si proceda all’elezione del Presidente».

Il Presidente uscente elenca tutti i monaci che possono essere eletti. Quindi l’assemblea provvede all’elezione, «per maggior parte del Capitolo per fave nere», di due «Scrutinatori», che assisteranno il Generale e due Visitatori nelle operazioni.

Il nome di ogni candidato, anzi di ogni monaco eleggibile, sarà già stato scritto o stampato su una «Schedola, che sia lunga poco meno di un palmo, e alta un soldo». Le istruzioni al riguardo sono precise: «si stampi, o si scriva, per lo lungo il nome dell’eligendo, con lasciare di qua e di là per la lunghezza il margine eguale: si pieghi detta Schedola per lo lungo in terzo, talmenteché il nome stampato nell’estremità resti chiuso nella piegatura di mezzo».

Le schede con ciascun nome, in numero pari ai votanti, vengono poste su piccoli piatti, uno per candidato. Chiamati per ordine, i Vocali si accostano alla tavola su cui sono disposti i piatti e prendono una scheda da ciascun piatto. Ogni votante, «separatosi dagli altri fuori della stanza del Capitolo, scelga quella Schedola ove è descritto il nome di chi le piace eleggere per Abate Generale», dopodiché rientra in Capitolo con la scheda scelta bene in vista e la depone in una «borsa da calice» («in cui, scuotendo detta borsa, si possa frammischiare alle altre, acciò non si possa distinguere da quelle, né in qual parte sia collocata»).

A questo punto, pronunciato l’Extra omnes, il Generale e chi lo assiste procedono allo scrutinio: vuotano la borsa, contano le schede, le spiegano e, «fattane la ripartizione, si pubblichi eletto per Abate Generale quello che ha più voti, ed in caso d’egualità de’ medesimi sia Generale chi è maggiore di professione». Si bruciano tutte le altre  schede rimaste in mano ai Vocali, e il Generale uscente proclama il suo successore, specificando se è stato eletto «a voti pieni, e tutti favorevoli», ovvero a maggioranza.

Al nuovo Generale viene dato «l’Abito prelatizio, la Berretta, il libro delle Costituzioni, il Sigillo, e la Gruccia», e infine «si canti l’Inno Te Deum, andando tutti in Chiesa a render grazie a Dio».

(Questa procedura può essere letta nelle Costituzioni della Congregazione di Vallombrosa, nella Parte prima, «spettante al genere politico», al capitolo XVIII, disponibili anche online.)

Lascia un commento

Archiviato in Regole, Spigolature, Vallombrosani

Giovanni the terminator

Si sa che le agiografie sono piene di curiosità, spesso molto divertenti se decontestualizzate (il che non sarebbe corretto, lo so, ma pazienza). Così non se la prenderanno i vallombrosani se ironizzo su questa storiella che riguarda il loro padre (e che è raccontata da Andrea di Strumi nella sua Vita di Giovanni Gualberto, probabilmente del 1092); ci sarà modo di tornare sui temi seri e importanti della spiritualità di Vallombrosa (tra parentesi, uno dei nomi più belli della tradizione monastica).

Un giorno Giovanni Gualberto si trova davanti al suo monastero e vede una mandria di mucche. Idea: un po’ di cibo per i poveri! A chi chiedere? A san Paolo: «Oh, san Paolo, se tu me ne dessi una per questi poveri!» Detto fatto, una mucca crolla al suolo, stecchita.
Uhm, una però non basta… Zac! Altre tre, in rapida successione.
I pastori, «diventati per ciò tristi», spostano la mandria.
Giovanni, imperterrito, tira di nuovo in ballo l’apostolo: «San Paolo, essi sono fuggiti cambiando luogo, e tuttavia non possono sfuggire te, che sei il patrono di questo luogo». Risultato: quinta, sesta, settima, ottava e nona mucca.
Una mandria sterminata.
Umilmente, i pastori si lamentano: «[Scusa, Giova’] è meglio che te ne stia nel tuo cenobio di Vallombrosa piuttosto che venire qui a uccidere tanti animali!»
Ma Giovanni li rassicura subito: «So che siete tristi… ma non temete, poiché per il momento non ne morirà più neanche una».
E così avvenne.
Pare che un pastore meno rispettoso abbia borbottato: «Be’, grazie, ce le hai ammazzate tutte…»

(Nota saccente. Nella sua Vita del santo Giovanni, primo abate di Vallombrosa, composta una trentina di anni dopo quella di Andrea, Attone di Pistoia trascrive pari pari l’episodio, con una piccola, significativa variante. Là dove Andrea, alla fine del massacro, diceva: «Consumata però l’ultima, i pastori, rattristati dalla perdita subita, vennero da lui…», Attone scrive: «Allora i pastori, estremamente turbati per la perdita di nove animali, venendo verso di lui…» Come dire, non è che gliele ha ammazzate tutte, eh.)

2 commenti

Archiviato in Agiografie, Spigolature, Vallombrosani