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«Con figure di uccelli» (Mario Sensi e il suo zoom)

MulieresInEcclesiaCi ho messo un po’, circa un anno, con varie interruzioni, ma alla fine li ho letti, i due tomi che raccolgono i saggi di Mario Sensi dedicati alle varie esperienze religiose femminili a metà strada tra vita monastica e stato laicale nell’Italia dei secoli XII-XV1. Il lavoro di una vita, paziente e determinato, cui si deve guardare con riconoscente rispetto, sapendo di potervi sempre trovare una mappa per orientarsi in uno dei fenomeni della storia della Chiesa e della storia monastica medioevale di maggior fascino e complessità.

E proprio l’immagine della mappa mi è tornata in mente più volte durante la lettura, in particolare nella sua incarnazione più recente, cioè Google Maps, completa della sua stupefacente funzione di zoom. I saggi di Mario Sensi, in virtù dell’imponente lavoro di ricerca archivistica che li sostiene, consentono di fare la stessa cosa: staccarsi dal disegno generale e scendere fino a toccare l’unità minima della sostanza storiografica, il singolo fatto, la singola persona. Il luogo di questa emozionante discesa è rappresentato di solito dalle note a pie’ di pagina e dalle appendici: eccone tre esempi tra i molti che mi hanno colpito.

1. Nella nota 23 al saggio S. Bernardino da Siena e la b. Angelina da Monte Giove: due versioni della Frauenfrage (1995) lo studioso cita un atto del 26 dicembre 1469 (presso l’Archivio di Stato di Viterbo), in base al quale le monache del monastero di Santa Agnese di Viterbo cedono a un tale Niccolò di Antonio un piccolo orto: «unum orticellum ipsius monasterii in contrata S. Salvatori… in perpetuum ratione gratitudinis». L’atto è corredato dall’elenco di tutte le monache che sono presenti alla data nel monastero, e che così ci vengono incontro, da Viterbo, Foligno, Todi, Rieti, Camerino, ecc.: Rosata di Ludovico de Brugnis (la ministra), Letitia de Fulgineo, Iohanna de Tuderto, Angela de Capralica, Lucia de Reate, Magdalena de Urbe, Chiara de Urbe, Catherina de Capralica… Baptista de Viterbio, Sabetta de Viterbio, Sancta de Civita Castellana… Crestina de Fulgineo, Bernardina de Camereno… Agnes de Ronciglione… Beatrix de Farneto… Felix de Urbevetere, Rita de Reate, Seraphina de Urbevetere, Orifica de Tuderto, Menica de Viterbio… Eccole qua.

2. Nell’Appendice XXVI al saggio I monasteri e bizzoccaggi dell’osservanza francescana nel secolo XV a Foligno (2005) Mario Sensi trascrive il testamento fatto da suor Dionigia Trapassi, monaca dell’Annunziata, il 26 giugno 1477. Dal quale si evince che la terziaria francescana possedeva due telai, che lascia al monastero, insieme a «tre modelli per tessere tovaglie con figure di uccelli [tria brevia sive exempla apta ad tessendum tobalias uccellatas». Non buttateli, possono essere utili.

3. In appendice al saggio Un regolamento di vita per il monastero di S. Chiara di Pesaro (sec. XV) (2002) lo studioso trascrive da un codice lateranense detto Regolamento, cioè la Memoria per lo regimento del monastero di S. Chiara in Pesaro, con le successive Osservazioni di fra Pietro da Napoli. È lo stesso Sensi a dire che «questo codicetto non è un testo importante, costituisce tuttavia un piccolo spiraglio attraverso cui si può ripercorrere il movemento “de observantia” che attraversò l’Italia centrale, un fenomeno rilevante non solo dal punto di vista religioso, ma anche sociale e culturale, di cui furono artefici le puellae licteratae, figlie del ceto dirigente cittadino». Come sempre, al di là degli schemi consueti, le proibizioni specifiche fanno pensare a specifici comportamenti diffusi al punto da dover essere ricordati per iscritto: «Nessuna ardisca di chiamare tanto forte e alto con la voce [che] possi esser udita fuori del monasterio»; «Che ciascheduna dica sua colpa de’ vasi che rompe per sua negligenza»; «Che le suore non s’impiccino de matrimonii senza licenza del confessore». Evidentemente il farsi sentire al di sopra delle mura di cinta doveva essere un problema serio, perché il «regolamento» si chiude proprio ribadendo questo punto: «Che nessuna suora gridi con impeto et ira in tal forma che possi esser udita fuori del monasterio; e quella che contrafarà per farsi udire fuori del monasterio, l’abbadessa li faccia dare prima una disciplina per mano di doi suore e poi stia in prigione per quindici dì e mangi pane et acqua».

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  1. Mario Sensi, «Mulieres in Ecclesia». Storie di monache e bizzoche, Centro italiano di studi sull’alto medioevo di Spoleto 2010.

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«Mulieres in Ecclesia». Storie di monache e bizzoche (pt. 2/2)

(la prima parte è qui)

L’ispirazione francescana di questo movimento penitenziale, o forse bisognerebbe dire più correttamente: la comune origine, è evidente. L’intenzione di questo «piccolo esercito», infatti, è quella di «seguire nudi il Cristo nudo»: vivere una vita di estrema povertà al servizio del Cristo-sposo e degli indigenti, abbracciando privazioni, penitenze e osservanze. «Il programma di vita ascetica, che vigeva nei “carceri” [individuali] e nei “bizzocaggi” [comunità] femminili, era il regime di vita imposto, per diritto canonico, ai peccatori pubblici riconciliati e volontariamente adottato dalle donne della penitenza». Si tratta dunque di digiuni e astinenze in determinate occasioni, della recita delle ore canoniche, della partecipazione quotidiana alla messa (nel caso non fosse prescritta la clausura), del rifiuto di atteggiamenti e usi «mondani». In certi casi a ciò si aggiungevano anche pratiche di penitenza, come l’uso del cilicio, e una generale quanto pericolosa attività di macerazione del corpo (Chiara da Montefalco, ricorda una fonte citata da mons. Sensi, «d’inverno, quando la temperatura era gelida nella sua contrizione puniva il suo corpo mettendo i piedi e parte delle gambe in un catino e stava così nel gelo finché aveva recitato cento volte il Padre nostro»).

È un paesaggio umano brulicante e confuso, e molto affascinante, in costante tensione con il potere ecclesiastico, che si adopererà in maniera sistematica per ricondurre queste esperienze, queste donne laiche che affermavano una propria volontà, nell’ambito delle forme monastiche definite, sia di antica che di recente approvazione. I Concili e i papi non si distrassero mai dagli sviluppi della questione: Gregorio IX, che aveva canonizzato Francesco, fece di tutto per «incanalare gran parte del movimento penitenziale dell’Italia centro-settentrionale, di inizio secolo XIII, nell’Ordine damianita» (le Clarisse); Bonifacio VIII da un lato si preoccupò dei possibili contatti tra queste donne e i vari movimenti spirituali, ordinando ai vescovi di indagare sui possibili errori dottrinali e di «denunciare tutti quegli eremiti che conducevano vita sospetta», dall’altro impose la clausura a tutti i monasteri di ordini approvati (ma «grazie a una serie di scappatoie giuridiche, il fenomeno beghinale/bizzocale continuò a sopravvivere»); Giovanni XXII colpì ripetutamente i rigoristi francescani e le loro varie ramificazioni.

Ma le forme vive assunte da questa «ispirazione» sono infinite e in perenne trasformazione, brulicanti, appunto, e poiché legate a situazioni e personaggi locali, spesso intangibili dal potere centrale, ma anche, in seguito, dal potere centrale non soltanto tollerate bensì addirittura riverite (come dimostrano le «mulieres religiosae reclusae in basilica S. Iohannis Lateranensis», le murate di San Giovanni in Laterano, o le incarcerate nella cappella di Sant’Andrea della basilica di San Pietro: «In eo loco sunt cubicola sanctimonalium quae, muris clausae, perpetuam Deo ibidem servitutem vovere»). E la storia è andata avanti, in un certo modo, fino ai giorni nostri.

Questi due volumi sembrano rappresentare anche in senso fisico la ricchezza e la varietà del fenomeno. Come dicevo, ho letto sinora il primo saggio e dal suo corposo apparato di note ho già ricavato un elenco di letture ulteriori: posso soltanto immaginare come sarà l’intera traversata. E per quanto possa sembrare ridicolo, devo dire che non vedo l’ora di leggere questa storia, «una storia fatta di tante piccole tessere con le quali, allo stato attuale della documentazione, è possibile solo abbozzare un minuscolo mosaico e tuttavia di rara bellezza».

(2-fine)

Mario Sensi, «Mulieres in Ecclesia». Storie di monache e bizzoche, Centro italiano di studi sull’alto medioevo di Spoleto 2010.

 

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«Mulieres in Ecclesia». Storie di monache e bizzoche (pt. 1/2)

MulieresInEcclesia

Alla fine ho approfittato di un’offerta e mi sono impossessato dei due tomoni di cui si compone «Mulieres in Ecclesia». Storie di monache e bizzoche, ampia raccolta (oltre mille e trecento pagine) di saggi di Mario Sensi dedicati alle esperienze semi-religiose femminili, a metà strada tra vita monastica e stato laicale, nell’Italia principalmente dei secoli XII-XV – essendo la mole, per me, irresistibile promessa di apprendimento, di riempimento di lacune, di contestuale apertura di nuovi abissi.

Mai promessa del genere rischia di essere maggiormente mantenuta, ad apertura delle prime pagine del primo volume, per ispezionare l’indice. Ho anche appreso che purtroppo l’autore, nato ad Assisi nel 1936, è morto nel maggio di questo 2015. Nel ricordo che gli ha dedicato «L’Osservatore Romano», Lucetta Scaraffia scrive che mons. Sensi aveva «scelto come suo campo privilegiato di ricerca quello delle fonti notarili, uno dei più ostici e noiosi per qualsiasi ricercatore, ambito che richiede una dedizione infinita prima di dare dei frutti», e che con il suo lavoro nascosto e indefesso «ha rivoluzionato la storia della religiosità popolare, rivelando radici e storie di culti, santuari, pellegrinaggi, e ha ridato alle vicende delle donne laiche che si dedicavano alla vita religiosa – le beghine studiate e amate da Romana Guarnieri [grande studiosa cui i due tomi sono dedicati in memoriam] un posto nella storia di un’istituzione che le aveva cancellate».

Ed è questa la sensazione che ho provato scorrendo le pagine iniziali e leggendo il primo saggio (inedito), Le recluse nell’Italia di mezzo (secc. XIII-XV): una schiera numerosa di persone che esce dall’oscurità. La maggior parte sono anonime, ma non tutte, alcune sono famosissime, altre no: Chiara da Montefalco, Angela da Foligno, la stessa Chiara d’Assisi, Margherita da Cortona, Filippa Mareri, Sperandia di Cingoli, Colomba da Rieti, Sofia di Bartolomeo da Trevi, Illuminata di Pietro da Montefalco, Umile, Alofita e Masazuola (così forse si chiamava la compagna di Angela). Un esercito di «donne della penitenza» particolarmente diffuse nell’Italia centrale e note come incarcerate, recluse, cellane, bizzoche, pinzochere, sorores minores, devote, terziarie; sorelle delle beghine fiamminghe, delle papelarde francesi, delle umiliate lombarde e delle Coquenunnen tedesche. «Si tratta di un variegato mondo di persone consacrate, pur senza voti solenni», che conducono «una “vita regolare senza regola”, con legami più o meno stabili con l’istituzione; il che tuttavia ha permesso loro di ritagliarsi un proprio spazio nella Chiesa».

E non soltanto nella Chiesa, bensì anche nella società laica. Spesso risiedono in città, in case di proprietà della loro famiglia o in alloggi offerti da benefattori, o ancora in cappelle appositamente attrezzate nelle chiese, oppure occupano poveri edifici nelle immediate vicinanze (il «pomerio»), romitori, ruderi o persino grotte (ma gli eremiti rurali o dei boschi sono più sovente maschi), talvolta sono «custodi» di luoghi sacri e di pellegrinaggio; sono conosciute, all’inizio sono soprattutto di estrazione nobile o patrizia, alcuni vescovi le proteggono, altri le contrastano, i potenti le consultano, i cittadini contano su di loro per la preghiera e per l’espiazione vicaria dei peccati della comunità, ma in certi casi anche per attività di assistenza (specie nelle comunità contadine).

Non sono poche, «quasi certamente alcune migliaia»: un «piccolo esercito di donne» di cui le grandi mistiche rappresentano soltanto l’aspetto più noto e studiato.

(1-segue)

Mario Sensi, «Mulieres in Ecclesia». Storie di monache e bizzoche, Centro italiano di studi sull’alto medioevo di Spoleto 2010.

 

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