Scrive Gualtiero, «vecchio e malato monaco» benedettino, probabilmente dell’abbazia di Bury St. Edmunds, ad Anselmo d’Aosta, arcivescovo di Canterbury, intorno al 1106:
Al desiderabile signore Anselmo, degno d’essere il più affettuosamente possibile accolto nel seno di sua madre la Chiesa universale: il fratello Gualtiero, uno dei suoi, l’ultimo resto dei suoi devoti; con l’augurio di bastantemente attingere la desiderata abbondanza, la gioia più profonda. […]
Prima della mia fine, se ciò fosse possibile, moltissimo desidererei avere la gioia di vedervi e dolermi con voi delle mie afflizioni. Poiché il mio tempo è trascorso, né so se dalla mia lunga esistenza ho tratto qualche frutto. Siccome però l’indebolimento dovuto alla vecchiaia rende tale mio desiderio irrealizzabile, eccomi a non senza gemiti delinearvi, qui dove mi trovo, le miserie e le fiacchezze spirituali da me collezionate. Ciò in particolar modo implorando: che – come vi siete fatto tutto a tutti – così non rifiutate di amabilmente istruirmi con una vostra risposta; proprio come, all’occasione, mi confortereste faccia a faccia. Avrò in tal modo un efficace riparo dalle mie difficoltà e un gradito ricordo della vostra dolcezza. Precisamente a ciò mira la mia preghiera: a far sì che, non potendo io avervi tutto quanto come mi augurerei, a me vi concediate almeno in piccola parte; non perché questa possa sostituirvi, ma perché, al guardarla, riprenda io fiato grazie al vostro conforto. Non già che alla mia infermità non basti il nutrimento delle Scritture; è però sempre preferibile, quando si è malati, ricevere in dono ciò di cui si avverte la mancanza. Basta talora il tocco di una sola persona a calmare chi da molti medicamenti non ricava alcun beneficio.
Anselmo d’Aosta, Lettera 433, in Lettere, vol. 2: Arcivescovo di Canterbury, tomo 2, traduzione di A. Granata, commento di C. Marabelli, Jaca Book 1993, pp. 427-29.