Dice Giovanni Carpazio, che «pare sia stato vescovo di Karpathos, isola tra Rodi e Creta, dopo aver condotto vita monastica in quella stessa isola»:
Guarda il ragno e renditi conto di quanto un uomo valga più di un ragno. Parlo del ragno perché non vi è nulla di più debole e impotente: esso infatti non ha possessi, non fa viaggi oltremare, non intenta liti, non va in collera, non possiede magazzini, conduce una vita di assoluta esichia, in perfetta mitezza e temperanza, non ingerendosi affatto delle cose degli altri ma facendo soltanto le proprie, e compiendo il suo lavoro con un certo carattere di tranquillità e di calma, mostra una sola possibilità a quelli che amano l’ozio: se uno vuole restare ozioso, neppure vuole mangiare. […] Il debole e piccolo ragno passa dunque il tempo in questa condizione pacifica, non tollerando in nessun modo di andarsene in giro, né di vagare qua e là con la fantasia, né di affaticarsi e affannarsi all’infinito: e il Signore, che abita nelle altezze e guarda alle cose basse (e non vi è niente di più basso del ragno), estende sino a lui la sua provvidenza e gli invia quel po’ di cibo quotidiano, facendo cadere vicino alla sua tenda, nelle sue reti, gli animaletti di cui ha bisogno.
♦ Giovanni Carpazio, Ai monaci dell’India che gli avevano scritto, cento capitoli di ammonizione, 47, in La Filocalia, a cura di Nicodimo Aghiorita e Macario di Corinto, traduzione, introduzione e note di M.B. Artioli e M.F. Lovato, vol. I, Gribaudi Editore 1983, p. 413.