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Il debole e piccolo ragno (Dice il monaco, CVII)

Dice Giovanni Carpazio, che «pare sia stato vescovo di Karpathos, isola tra Rodi e Creta, dopo aver condotto vita monastica in quella stessa isola»:

Guarda il ragno e renditi conto di quanto un uomo valga più di un ragno. Parlo del ragno perché non vi è nulla di più debole e impotente: esso infatti non ha possessi, non fa viaggi oltremare, non intenta liti, non va in collera, non possiede magazzini, conduce una vita di assoluta esichia, in perfetta mitezza e temperanza, non ingerendosi affatto delle cose degli altri ma facendo soltanto le proprie, e compiendo il suo lavoro con un certo carattere di tranquillità e di calma, mostra una sola possibilità a quelli che amano l’ozio: se uno vuole restare ozioso, neppure vuole mangiare. […] Il debole e piccolo ragno passa dunque il tempo in questa condizione pacifica, non tollerando in nessun modo di andarsene in giro, né di vagare qua e là con la fantasia, né di affaticarsi e affannarsi all’infinito: e il Signore, che abita nelle altezze e guarda alle cose basse (e non vi è niente di più basso del ragno), estende sino a lui la sua provvidenza e gli invia quel po’ di cibo quotidiano, facendo cadere vicino alla sua tenda, nelle sue reti, gli animaletti di cui ha bisogno.

♦ Giovanni Carpazio, Ai monaci dell’India che gli avevano scritto, cento capitoli di ammonizione, 47, in La Filocalia, a cura di Nicodimo Aghiorita e Macario di Corinto, traduzione, introduzione e note di M.B. Artioli e M.F. Lovato, vol. I, Gribaudi Editore 1983, p. 413.

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Pesanti e piegati a terra (Dice il monaco, LXXVIII)

Dice Esichio Sinaita, igumeno, nel secolo VIII (?):

Ma è bene che gli inesperti sappiano anche questo, che nemici incorporei e invisibili, che vogliono il male e sono saggi nel danneggiare, veloci, leggeri ed esperti in guerra, dai tempi di Adamo fino ad oggi, non possiamo in alcun modo vincerli, noi esseri corporei, pesanti e piegati a terra col corpo e col pensiero, se non per mezzo della perpetua sobrietà dell’intelletto e dell’invocazione di Gesù Cristo, Dio e creatore nostro. E per gli inesperti bastano la preghiera di Gesù e l’impulso a provare e conoscere il bene; per gli esperti, la pratica, la prova e il sollievo del bene sono il migliore costume e maestro.

♦ Esichio Presbitero (Sinaita), A Teodulo. Discorso per sommi capi, utile per la salvezza dell’anima, sulla sobrietà e la virtù, 42, in La Filocalia, a cura di Nicodimo Aghiorita e Macario di Corinto, traduzione, introduzione e note di M.B. Artioli e M.F. Lovato, vol. I, Gribaudi Editore 1983, p. 238-39.

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Stanzette (Dice il monaco, LXXVII)

Dice Marco l’Eremita (l’Asceta), discepolo del Crisostomo, monaco, abate, eremita, intorno al 430:

Non dire: «Non so che cosa si deve fare e sono senza colpa se non lo faccio». Se infatti tu fai ciò che sai, anche il resto ti verrà rivelato di conseguenza: proprio come stanzette che si scorgono l’una attraverso l’altra. Non ti giova sapere ciò che viene dopo, prima di aver messo in opera quanto precede. Perché la scienza gonfia per colpa dell’ozio, mentre l’amore edifica in forza della sopportazione di tutto.

♦ Marco l’Asceta, La legge spirituale, 84, in La Filocalia, a cura di Nicodimo Aghiorita e Macario di Corinto, traduzione, introduzione e note di M.B. Artioli e M.F. Lovato, vol. I, Gribaudi Editore 1983, p. 178.

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