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Sovente, spesso, il più delle volte (Dice il monaco, CXV)

Dice Basilio di Cesarea, intorno al 378:

Tra gli animali irragionevoli ce ne sono anche di quelli che vivono in comunità, se è proprio del vivere in comunità il far convergere verso uno scopo comune l’attività di ciascuno, come si può vedere nelle api. Esse abitano, infatti, in comune, volano insieme, uno solo è il lavoro di tutte. La cosa più sorprendente è che si dedicano al lavoro sotto il comando di un re1 e non accettano di andare nei prati prima di aver visto il re che guida il volo. Il loro re non è eletto con una votazione (sovente, infatti, per la mancanza di saper scegliere rettamente, la gente ha collocato al potere il peggiore); non ha il potere per sorteggio (gli esiti dei sorteggi sono, infatti, irrazionali e consegnano spesso il potere a quello che lo merita meno di tutti) e neppure per successione ereditaria si asside nel palazzo reale (anche questi, il più delle volte, sono incompetenti, ignorano qualsiasi virtù a causa della mollezza lussuosa e dell’adulazione); egli tiene dalla natura il primato su tutti; spicca per il vigore fisico, per la bellezza della sua linea, per la mitezza del suo comportamento. Il re certo possiede un pungiglione, ma non ne usa per difendersi. Queste sono una sorta di leggi di natura non scritte, le quali prescrivono che siano restii a punire quelli che arrivano ai massimi poteri.

♦ Basilio di Cesarea, Omelia VIII, Sui volatili e sugli animali acquatici, 4, in Omelie sull’Esamerone e di argomento vario, a cura di F. Trisoglio, revisione dei testi greci, indici e bibliografia di V. Limone, Bompiani 2017, p. 311.

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  1. È noto che gli antichi credevano essere re quella che noi sappiamo essere regina. (N.d.C.)

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Scaltra e sofistica (Dice il monaco, CXIV)

Dice il monaco benedettino Jean de Monléon, nel 1951:

Per quanto sia precisa e particolareggiata una regola, è chiaro che essa non può prevedere tutte le eventualità che possono capitare nel corso di una vita; alla volontà propria quindi si presenteranno inevitabilmente delle occasioni continue di agire a modo suo scegliendo quello che le piace. D’altra parte questa volontà è così scaltra e sofistica che s’infiltra insensibilmente nelle minime cose e perfino nell’attaccamento, pur così legittimo, alle stesse regole: l’esperienza, per esempio, ci mostra che i religiosi più osservanti non sono sempre i più docili.

♦ Jean de Monléon, I dodici gradi dell’umiltà. Commento ascetico al Capo VII della Regola di san Benedetto, traduzione dei monaci di S. Maria del Monte di Cesena, Edizioni Abbazia di Viboldone 1958, p. 123.

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Cosa proporre (Dice il monaco, CXIII)

Dice Elmar Salmann, monaco benedettino dell’abbazia tedesca di Gerleve e teologo, nel 2023:

Il monachesimo istituzionale attraversa una crisi abissale, forse irreversibile. Questo processo di accompagnamento dall’antico al nuovo alcuni di noi, in modo umile e non appariscente, lo svolgono anche oggi. Penso per esempio a quei monasteri che svolgono un ruolo di dialogo col mondo protestante, o anche a me stesso nel mio piccolo lavoro di accompagnamento dei preti che hanno lasciato. Ma sicuramente, nel complesso, non siamo più le levatrici del nuovo. Non perché ce ne manchino le forze, ma semplicemente perché non sappiamo cosa proporre. Anche le nuove forme di vita religiosa contemplativa e secolare sorte dopo il Concilio, mi sembra che non godano di vita migliore, anzi a tratti mi sembrano più anacronistiche di noi.

♦ Il brano si può leggere nella eccezionale intervista che Elmar Salmann ha rilasciato, all’Osservatore Romano, in occasione dei festeggiamenti per il suo 75° compleanno, tenutisi a Roma, all’Anselmianum, il 16 maggio scorso: La tragedia dell’uomo democratico. La teologia sapienziale alla prova della modernità, di Andrea Monda e Roberto Cetera, Osservatore Romano, 14 giugno 2023. Tutta l’intervista, che mi era ahimè sfuggita e ho recuperato grazie a varie segnalazioni, è di estremo interesse e può essere letta qui.

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Sicuramente (Dice il monaco, CXII)

Dice Bernardo di Chiaravalle, scrivendo all’arcivescovo Enrico di Sens, intorno al 1138:

Mi stupisco che alcuni abati del nostro Ordine monacale violino con aggressiva contestazione questa regola dell’umiltà, e – ciò ch’è peggio – nutrano una superba visione delle cose pur sotto l’umile aspetto e l’umile tonsura, sì da non sopportare che i sottoposti si lascino andare a una sola paroletta riguardo ai loro ordini, mentre essi sdegnano d’obbedire ai loro vescovi. Spogliano le chiese per rendersi indipendenti; si affrancano per non obbedire. Non così s’è comportato Cristo. […] Cos’è questa temerità, o monaci? Per il fatto che siete a capo di monaci non è men vero che siete monaci voi stessi. La professione fa il monaco e solo la necessità fa il capo. Perché la necessità non pregiudichi la professione, occorre che il senso della preminenza costituisca un’aggiunta a quello della monacazione, ma non lo sostituisca. […]

Io sono sicuramente un monaco [«Certus sum enim ego monachus»], e per combinazione abate di monaci [«et monachorum qualiscumque abbas»], ma se a un dato momento mi adopero a scuotermi di dosso il giogo del mio pontefice, mi sottopongo senz’altro alla tirannide di Satana.

♦ Bernardo di Chiaravalle, Lettera XLII, 33, 35, in Lettere, Parte prima 1-210, introduzione di J. Leclercq, traduzione di E. Paratore, commento storico di F. Gastaldelli («Opere di San Bernardo», VI/1), Città Nuova 1986, pp. 239-243.

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Bruciato completamente (Dice il monaco, CXI)

Dice Marco il Monaco (o l’Eremita, o l’Asceta), grande «psicologo» vissuto in Asia Minore tra la fine del IV secolo e la metà del V:

Quando avremo rigettato dal nostro intelletto ogni vizio volontario, allora dovremo combattere contro le passioni che [sono in noi] per predisposizione. La predisposizione è un ricordo involontario dei mali commessi in precedenza, a cui il lottatore impedisce di progredire fino allo stadio di passione, mentre il vincitore la respinge quando è ancora allo stadio di suggestione. La suggestione è un moto del cuore privo di immagini: gli esperti la bloccano come [un nemico in] una strettoia. Quando i pensieri sono accompagnati da immagini, allora c’è già stato un consenso, perché la suggestione non colpevole è un moto privo di immagini, Ma c’è chi fugge da queste [suggestioni] come un tizzone da un fuoco, e chi invece non se ne ritrae finché le fiamme non lo abbiano bruciato completamente.

♦ Marco il Monaco, Sulla legge spirituale, 139-142, in Custodisci il dono di Dio. Opuscoli spirituali e teologici, traduzione, introduzione e note di L. d’Ayala Valva, Edizioni Qiqajon, Comunità di Bose, 2023, pp. 149-50. (Un piccolo assaggio dall’ultima, notevolissima pubblicazione di Qiqajon dell’anno appena concluso, «prossimamente – spero – su questi schermi».)

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Perduta di vista la terra (Dice il monaco, CX)

Dice il cappuccino Benedetto da Canfield, nel 1610:

La volontà di Dio è un mare spirituale sul quale ciascuno può navigare secondo la dimensione della sua nave, di modo che le barchette delle anime deboli dei principianti remano nei porti, sulle acque basse della volontà esteriore; i barconi dei progrediti veleggiano, spingendosi più al largo, nella profondità della volontà interiore, e i potenti vascelli dei perfetti, perduta di vista la terra, navigano nel mare aperto della volontà essenziale.

♦ Benedetto da Canfield, Regola di perfezione, I, I, 8, a cura di M. Vannini, Edizioni Biblioteca Francescana 2022, p. 19.

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Tutte le cose passate, presenti e future (Dice il monaco, CIX)

Dice Guglielmo di Saint-Thierry, «abate benedettino e poi, per sua scelta, semplice monaco cistercense», tra il 1135 e il 1148:

Il vapore provocato dalla digestione, salendo leggero e soave, tocca dolcemente il cervello [ascendens lenis et suavis, molliter tangit cerebrum] e ne comprime i ventricoli, tanto da far assopire tutte le sue attività: questo è il sonno. In esso, mentre vengono meno tutte le altre facoltà dell’anima, soltanto la facoltà naturale continua ad essere attiva, e opera nel modo più intenso, in quanto tutta la natura è a sua disposizione. L’anima, intanto, quieta nell’interiorità, essendo escluse tutte le funzioni dei sensi, riconsidera in sé tutte le cose passate, presenti e future: questi sono i sogni.

♦ Guglielmo di Saint-Thierry, La natura del corpo e dell’anima (De natura corporis et animae) 1, 11-12, a cura di A. Siclari, Nardini 1991, pp. 69-70 (legg. mod.).

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«È sorprendente!» (Dice il monaco, CVIII)

Scrive Anselmo d’Aosta, già monaco, priore e abate, e a questo punto arcivescovo di Canterbury, alla fine del 1106:

al suo davvero diletto amico Elgoto, il venerabile abate del cenobio di Saint-Ouen; con il migliore augurio che l’amicizia saprebbe suggerire.

Un vero amico si dà sempre pensiero, come di un altro se stesso, di chi gli è vero amico; né ignora quali gioie o pene, a seconda delle circostanze, debba con lui condividere. Non gli è per nulla caro il soffrire; se però c’è una pena da condividere, desidera piuttosto – è sorprendente! – esserne a conoscenza e con lui soffrire, anziché ignorandola non soffrirne affatto. La vostra diletta e, in nome dell’amicizia, per me soave persona, desidera sapere che ne sia della mia attuale esistenza; onde intimamente disporsi nei miei riguardi in perfetta consonanza con il mio più intimo stato d’animo.

[…] Per quanto lo consentono le instabili vicende di questo mondo, tutto – a parte la debolezza fisica da me ogni giorno avvertita in misura crescente – va per me, Dio aiutando, a gonfie vele [omnia mihi… deo dante prospera sunt], sia dal punto di vista della salute che sotto ogni altro aspetto.

♦ Anselmo d’Aosta, Lettera 407, in Lettere, vol. 2: Arcivescovo di Canterbury, tomo 2, traduzione di A. Granata, commento di C. Marabelli, Jaca Book 1993, pp. 379-81.

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Il debole e piccolo ragno (Dice il monaco, CVII)

Dice Giovanni Carpazio, che «pare sia stato vescovo di Karpathos, isola tra Rodi e Creta, dopo aver condotto vita monastica in quella stessa isola»:

Guarda il ragno e renditi conto di quanto un uomo valga più di un ragno. Parlo del ragno perché non vi è nulla di più debole e impotente: esso infatti non ha possessi, non fa viaggi oltremare, non intenta liti, non va in collera, non possiede magazzini, conduce una vita di assoluta esichia, in perfetta mitezza e temperanza, non ingerendosi affatto delle cose degli altri ma facendo soltanto le proprie, e compiendo il suo lavoro con un certo carattere di tranquillità e di calma, mostra una sola possibilità a quelli che amano l’ozio: se uno vuole restare ozioso, neppure vuole mangiare. […] Il debole e piccolo ragno passa dunque il tempo in questa condizione pacifica, non tollerando in nessun modo di andarsene in giro, né di vagare qua e là con la fantasia, né di affaticarsi e affannarsi all’infinito: e il Signore, che abita nelle altezze e guarda alle cose basse (e non vi è niente di più basso del ragno), estende sino a lui la sua provvidenza e gli invia quel po’ di cibo quotidiano, facendo cadere vicino alla sua tenda, nelle sue reti, gli animaletti di cui ha bisogno.

♦ Giovanni Carpazio, Ai monaci dell’India che gli avevano scritto, cento capitoli di ammonizione, 47, in La Filocalia, a cura di Nicodimo Aghiorita e Macario di Corinto, traduzione, introduzione e note di M.B. Artioli e M.F. Lovato, vol. I, Gribaudi Editore 1983, p. 413.

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Questo così piccolo fremito vitale (Dice il monaco, CVI)

Dice un monaco cisterciense del XII secolo, da alcuni identificato in Alchero di Clairvaux:

Non si trova fra le arti liberali quell’arte, superiore a tutte, mediante la quale trattenere il cuore, il quale è ciò che di più mobile e di più fuggevole vi sia. Instabile, infatti, per la sua mobilità naturale, rifiuta di star fermo in un dato punto: la sua vita è nel movimento, e il moto è per lui vita. Questo così piccolo fremito vitale nel cuore muove la massa dell’intero corpo umano: con quale arte lo si conterrà, perché mentre muove tutte le altre cose, lui tuttavia non si muova? Forse se si sospendesse al suo collo una mola d’asino non si muoverebbe più. E invece, si agiterebbe in misura ben maggiore con il fardello della mola! Bisognerà perciò agire in questo modo con lui: giri attorno alla terra e la percorra in lungo e in largo, per vedere se può trovare qualcuno più veloce e più mobile di lui. Se non avrà trovato sulla terra uno simile a sé, compia pure il giro del cielo, e attacchi al proprio carro le ruote dei carri di Dio. Che farà allora di fronte a coloro che camminano sulle ali dei venti? Forse potrà competere pure con essi. [… Ma] quando avrà visto la potenza del suo Creatore superare la propria in maniera così netta, si fermi e ripieghi le sue ali, trattenendo se stesso, e costringendosi a raccogliersi su di sé grazie alle briglie del confronto con l’agire divino non trasgredisca i propri limiti.

♦ Anonimo del XII secolo, La dimora interiore, 21, in: La sapienza del cuore. La coscienza al cuore della vita spirituale in alcuni testi monastici del XII secolo, a cura di R. Larini, Edizioni Qiqajon-Comunità di Bose 1997, pp. 167-68.

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