Ho avuto modo di tornare su un libro che avevo letto qualche anno fa, In Praise of the Useless Life, Elogio della vita inutile1, il cui autore, Paul Quenon, è monaco trappista presso l’Abbazia di Gethsemani, a New Haven, in Kentucky, da oltre sessant’anni e vi ha passato la prima parte del suo noviziato sotto la guida di Thomas Merton, che quella abbazia a suo modo ha reso famosa. Allora, ad attrarre la mia attenzione era stato, oltre alla testimonianza su Merton, il capitolo dedicato agli eremitaggi che sorgevano nei dintorni dell’abbazia; questa volta, invece, il libro mi ha colpito per la quantità di particolari che, mi sento di poter dire, soltanto un monaco americano poteva scegliere di includere nel suo testo.
Si tratta di osservazioni, immagini, paragoni, piccoli aneddoti che restituiscono una concretezza che un monaco europeo, forse avrebbe evitato, per pudore o per non dare l’impressione di eccessiva «ordinarietà» e quotidianità al racconto (per episodi) di una vita dedicata alla ricerca di un rapporto più intimo con Dio.
Quando ad esempio parla dell’utilità di mandare a memoria poesie, salmi, brani della liturgia fr. Paul ricorda che «un mattino l’anziano fr. Claude, mentre aiutava il cuoco a pulire le verdure, si lanciò in un medley di vecchie canzoni di Broadway, addirittura precedenti la Prima guerra mondiale». Per far capire lo «sballottamento» che può produrre la lettura dei Salmi dice che è un po’ come quando, «da bambini, seduti sui sedili posteriori della Chevrolet nera di papà, molto prima che fossero obbligatorie le cinture di sicurezza, attraversavamo veloci le colline della Virginia del West» – sballottati su e giù, appunto. La sveglia che punta per alzarsi per l’ufficio notturno e che poi non sente perché ha messo la testa sotto il cuscino; il calendario che gli mandano quando scrive per la prima volta all’abbazia e le foto che lo affascinano; il giradischi col quale ascolta le sinfonie di Bruckner mentre è in ritiro all’eremitaggio; la piccola macchina fotografica che tiene in una delle capienti tasche del saio. Oppure, ripensando a lungo viaggio in auto per seguire alcuni corsi a San Francisco, ricorda ancora «le autostrade che attraversano i Great Plains: così ampie, e vuote. Potevo sistemare il Salterio sul volante e recitare l’ufficio divino mentre guidavo (non è una pratica che deve essere imitata, tuttavia)». E l’annuncio dato in refettorio della morte di Merton, paragonato a quello della morte di J.F. Kennedy: «Il tempo si fermò». E il ricevimento nell’ufficio dell’abate in onore di un famoso poeta che aveva tenuto una conferenza all’abbazia: «Qualche morceaux di formaggio trappista, la nostra crostata e un assaggio del celebrato bourbon del Kentucky».
Il capitolo dedicato alla recitazione dei Salmi («Una vita di canto e musica») mi è stato inoltre di grande aiuto per capire meglio. Anzitutto lo sforzo di mettere a punto il canto collettivo è un’attività che ha un valore in sé (la partecipazione di tutta la comunità, il contributo del singolo e l’accordo, la fusione). La recitazione, poi, non è sempre uguale, non va immaginata come una pratica immutabile. Fr. Paul lo dice molto chiaramente: «Talvolta seguo il significato delle parole, altre volte la mia mente scivola in un casuale flusso di coscienza, oppure semplicemente si perde». Poi, però, una singola parola, una frase emerge, per inabissarsi di nuovo; un intero salmo passa nell’indifferenza, ma all’improvviso uno scatto riaccende l’attenzione: si accorge di pronunciare parole che dicono con esattezza lo stato d’animo del presente. Anno dopo anno «ho l’impressione che quelle non siano soltanto le mie parole, sono le nostre parole, e mi abbandono a una voce più vasta della mia». È la voce dell’umanità. «Quanto è bello essere tirato al di là dei soliti limiti dei tuoi pensieri e delle tue parole, essere spinto a pronunciare parole che non diresti mai… […] Le emozioni vengono sempre prima della dottrina, quando si canta la Scrittura.»
Queste e altre osservazioni sulla vita quotidiana del monaco, o almeno di Paul Quenon, monaco trappista da sessant’anni, sono sempre offerte con un tono piano e privo di qualsiasi enfasi, e credo mi abbiano fatto fare un piccolo passo avanti nella comprensione (anche circa il valore delle testimonianze monastiche): «Nel complesso credo che monache e monaci debbano condividere con gli altri qualche momento della loro vita (per quanto modesto possa essere). Con sorpresa di molti, questo mondo continua a essere un posto in cui esiste il monachesimo, e noi monaci facciamo bene a far sì che la gente ne possa cogliere anche una vaga idea, sia che sia disposta a prenderlo sul serio o no».
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- Paul Quenon, In Praise of the Useless Life. A Monk Memoir, foreword by Pico Iyer, Ave Maria Press 2018.