Archivi tag: Columba

Una bella sudata (Dice il monaco, LXXX)

Colum Cille (521-597), cioè san Columba, il fondatore dell’abbazia di Iona, nella regola per eremiti che gli viene tradizionalmente attribuita dice, tra le altre cose:

Che il tuo eremo sia un luogo molto sicuro con una sola porta.

Non intrattenere conversazioni con uno che si dedica a pettegolezzi inutili e mondani, o con uno che borbotta su quel che non si può né impedire né modificare. Tanto più non avere rapporti con un chiacchierone che racconta storie di amici e nemici; dagli semplicemente la tua benedizione e rimandalo ai suoi affari.

Non mangiare finché non hai fame. Non dormire finché non ne hai bisogno. Non parlare finché la necessità non lo richiede.

La misura del tuo sforzo deve essere fino a che non giungono le lacrime della preghiera. Il limite del tuo sforzo o delle tue prostrazioni, nel caso non giungano le lacrime, deve essere il sudore.

♦ Regola di Columcille, 4, 6, 20, 21, 22, 27, 28, in Regole monastiche celtiche. Lo Spirito che soffia dal Nord, a cura di A.M. Osenga, Monasterium 2020, pp. 144-46.

Lascia un commento

Archiviato in Dice il monaco

San Colmano rattristato

Oggi ho trovato su una bancarella un libretto che sotto la sua copertina e il suo titolo assai sobri nascondeva un piccolo tesoro, o che per lo meno tale è sembrato a me, che non lo conoscevo. Si intitola A Celtic Miscellany, è curato da Kenneth Hurlstone Jackson ed è apparso per la prima volta nel 1951. Da allora è stato regolarmente ristampato. La copia finita in mio possesso è del 1988, ma il libro è tuttora disponibile in edizione assai più recente1.

Il volume contiene 244 brani, di diversa lunghezza, tradotti in inglese corrente dalle «letterature celtiche» (cioè dalle «sei letterature composte nelle lingue celtiche»: irlandese, gallese, gaelica, mannese, cornica e bretone) e suddivisi per argomento.

Al numero 236, nella sezione «Religione», si può leggere la storia delle Ricchezze di Mo Chua (cioè di san Colmano di Kilmacduagh)2, che comincia ricordando che

Mo Chua e Colum Cille [cioè san Columba] erano contemporanei. Quando Mo Chua viveva da eremita nel deserto3 non possedeva altro che un gallo, un topo e una mosca. Il compito che il gallo assolveva per lui era di svegliarlo per il mattutino. Il topo, invece, non gli permetteva di dormire più di cinque ore al giorno. Quando Mo Chua, stanco per aver a lungo vegliato e pregato, avrebbe voluto dormire un po’ di più, il topo gli mordicchiava un orecchio e lo svegliava.

Compito della mosca, infine, era quello di aiutare Mo Chua nella lettura del Salterio, avanzando sulle righe del libro insieme al suo sguardo. E se l’eremita si prendeva un po’ di riposo tra un canto e l’altro, la mosca gli teneva il segno sul libro finché lui non tornava a leggere.

Accadde poi che questi tre validi collaboratori morissero. Mo Chua scrisse allora una lettera a Colum Cille, che si trovava a Iona, in Scozia, per lamentarsi della perdita del suo piccolo tesoro. Colum Cille gli rispose così: «Amato fratello, non ti meravigliare che il tuo tesoro ti sia stato tolto, poiché la sventura colpisce soltanto là dove c’è ricchezza».

______

  1. A Celtic Miscellany: selected and translated by Kenneth Hurlstone Jackson, Penguin 2015 (“Penguin Classics”).
  2. Tratta da O.J. Bergin, Stories from Keating’s History of Ireland, Dublino 1930.
  3. Da intendersi come luogo selvaggio e difficilmente raggiungibile.

 

Lascia un commento

Archiviato in Spigolature

«Non volevo rovinarvi la festa» (I miracoli di san Columba, pt. 3)

(la prima parte è qui, la seconda qui)

Il terzo e conclusivo libro della Vita di San Columba è dedicato alle visioni angeliche dell’abate di Iona – visioni  angeliche e manifestazioni di luce divina, come tiene a precisare Adamnano. Ma il libro è occupato soprattutto dal racconto della morte di Columba, il capitolo più lungo dell’opera (III, 23), nel quale le doti di «sceneggiatore» dell’autore si mostrano al massimo, proprio nella costruzione della sequenza finale di scene.

È un giorno di maggio del 597 e Columba va a trovare i confratelli che lavorano nei campi. Avrei voluto raggiungere il mio Signore nella Pasqua appena trascorsa, si rivolge loro, ma, «per non trasformare una festa di gioia in una di mestizia per voi, ho preferito posporre di qualche giorno la mia dipartita da questo mondo». I monaci si disperano. Columba guarda verso est, benedice l’isola, compie un miracolo e torna al monastero. Il sabato successivo si fa accompagnare al granaio dal suo servitore, il buon Diarmait. Benedice le scorte e si rallegra perché «se dovessi andare da qualche parte, avrete [voi, miei confratelli] abbastanza pane per almeno un anno». Diarmait è a disagio: Padre, in questi ultimi tempi parlate troppo spesso della vostra morte. Ti rivelerò un segreto, ribatte Columba, se prometti di mantenerlo. Diarmait si inginocchia e promette, e Columba prosegue: il sabato è il giorno del riposo, e oggi sarà veramente il mio sabato perché sarà il mio ultimo giorno in questa vita dolorosa. Alla mezzanotte di domenica raggiungerò il mio Signore.

Lasciato il granaio, Columba si avvia al monastero. A metà strada si ferma per riposare un momento, e un cavallo bianco (di quelli usati dai monaci per trasportare il latte) gli si avvicina e gli appoggia il muso sul petto. Sembra persino che pianga, il cavallo, e Diarmait fa per allontanarlo, ma Columba lo ferma: «Lascialo stare! Lascia che pianga, lui che ci ama, lascia che versi le sue lacrime più amare sul mio petto».

Rientrato nella sua cella, Columba riprende a lavorare su un manoscritto che sta copiando, il Libro dei Salmi: mi fermerò alla fine di questa pagina, mormora mentre trascrive il Salmo XXXIV. Si fa sera, e il santo si ritira per il sonno, non prima di aver detto a Diarmait le sue ultime parole: «Amatevi l’un l’altro senza remore. Pace. Se terrete questa condotta, secondo l’esempio dei santi padri, Dio, che sostiene i buoni, vi aiuterà, e io ai suoi piedi intercederò per voi».

È mezzanotte. Risuona la campanella che chiama i monaci all’ufficio notturno. Columba si alza senza esitazioni e, quasi di corsa, precede gli altri in chiesa. Diarmait gli corre appresso. Entra dopo di lui. È buio.

«Padre, dove siete?» sussurra.

I confratelli con le lampade non sono ancora arrivati. Diarmait si fa strada nell’oscurità fino all’altare. Columba vi è sdraiato davanti. «Rialzandolo un poco e sedendogli accanto, Diarmait accolse la santa testa in grembo. Intanto i monaci con le lanterne si raccolsero intorno e presero a singhiozzare, vedendo il loro abate morente… Diarmait sollevò la mano destra del santo, per benedire il coro dei monaci. Il venerabile padre, con le forze rimaste, nello stesso tempo mosse la mano, così che dal movimento fosse chiaro che stava benedicendo i fratelli, anche se nel momento del suo passaggio non poteva più parlare. Infine, rese lo spirito.»

(3-fine)

Adomnán of Iona, Life of St Columba, translated by R. Sharpe, Penguin Books 1995.

Lascia un commento

Archiviato in Agiografie

Vade retro, Nessie… (I miracoli di san Columba, pt. 2)

(la prima parte è qui)

La qualità descrittiva della prosa di Adamnano rifulge nel secondo libro della Vita di San Columba, dedicato ai miracoli di potere. Bisogna anche dire che la varietà dei suddetti è tale da produrre gli effetti tipici dell’agiografia: meraviglia e, in altri tempi, venerazione. Adamnano è serissimo, ma il suo tono si fa più affettuoso: «our own Columba», ripete spesso, e non solo per orgoglio di appartenenza.

Il «nostro caro Columba» non lesina le dimostrazioni del suo divino potere, non rifiuta mai una benedizione, un intervento a chi glielo chiede: un’anima santa, generosa e soccorrevole, che veglia sulla propria comunità. C’è un albero i cui frutti sono aspri? «Nel nome di Dio onnipotente tutta la tua asprezza ti abbandoni, o albero amaro, e i tuoi frutti più aspri siano da ora i più dolci» (II, 2); la sete ci perseguita? Quella roccia darà acqua (II, 10); caspita, mi sono dimenticato il bastone nel porto di Iona! Niente paura, lo troverai al tuo arrivo in Irlanda (II, 14); padre, protesta Luigne, mi sanguina sempre il naso! «Il santo si avvicinò, gli strinse le narici tra il pollice e l’indice della mano destra e lo benedisse»: mai più una sola goccia di sangue dal naso fino all’ultimo dei suoi giorni (II, 18). E così via, guarigioni, porte bloccate, pozzi asciutti, codici cascati in acqua…

Vanno tutti da lui, non lo lasciano mai in pace. È lì tranquillo che copia i suoi manoscritti (II, 29) e arriva un confratello, Molua Ua Briúin, e gli fa: «Ti prego, benedici questo attrezzo che ho tra le mani». Con un’ombra di impazienza Columba «non solleva nemmeno lo sguardo… nondimeno stende il braccio e, con la penna ancora in mano, fa il segno della croce». Qualche ora dopo gli viene un dubbio e chiama Diarmait, il suo fido servitore, e gli chiede: «”Cos’era quell’attrezzo che ho benedetto per il nostro fratello?” “Un coltello”, risponde Diarmait, “di quelli usati per uccidere tori e vacche”». Ommadonnasanta!, «”Confido nel mio Signore”, aggiunge Columba, “che quel coltello che ho benedetto non recherà danno né a uomo né ad animale”.» E infatti, nemmeno un’ora dopo, Molua prova a sgozzare un torello, ma la lama non riesce neppure a scalfire la pelle dell’animale.

Le rubriche stesse dei miracoli sono piccole storie in sé, e devo citare almeno II, 41: A proposito di un uomo chiamato Luigne «il piccolo martello», un timoniere, che viveva a Rathlin, odiato dalla moglie per la sua bruttezza.

Un miracolo infine merita una nota a sé. Un giorno Columba è in viaggio nei territori dei Picti e deve attraversare il fiume Ness (II, 29). Giunto sulla riva, vede poco distante un assembramento: stanno seppellendo un pover’uomo, sbranato da un’orrenda bestia emersa improvvisamente dalle acque. Tra lo sconcerto dei presenti, Columba chiede a uno dei suoi monaci di attraversare a nuoto il fiume per recuperare un battello ormeggiato sull’altra riva. Senza esitare, il confratello si tuffa. A metà strada ecco la bestia sorgere dalle profondità. Tutti sono paralizzati dal terrore, ma Columba stende la mano, fa il segno della croce e dice: «”Fermati! Non toccare l’uomo! Torna da dove sei venuta!” Al suono della voce del santo la bestia fugge spaventata, così veloce da far pensare che fosse trascinata indietro con delle corde».

Columba aveva appena sconfitto il mostro di Loch Ness (e questa, come annota il curatore, è proprio la storia più antica cui fanno riferimento i «credenti» di Nessie).

(2-continua)

 Adomnán of Iona, Life of St Columba, translated by R. Sharpe, Penguin Books 1995.

2 commenti

Archiviato in Agiografie

It’s been a hard day… (I miracoli di san Columba, pt. 1)

Stavo proprio per arrendermi alla Vita di san Columba di Adamnano di Iona, che ho preso in mano tempo fa. Il primo libro, dedicato ai miracoli di profezia, per quanto ricco di episodi curiosi e di notizie storiche e geografiche interessanti (che tanto dimenticherò), mette a dura prova il «lettore non specialistico». C’è soltanto una pausa nel flusso di battaglie, tempeste e destini, tutti rigorosamente previsti, e lo stesso Adamnano ne è consapevole perché la introduce (I, 37) con queste parole: «In mezzo a tante manifestazioni notevoli dello spirito di profezia, non è fuori luogo ricordare la storia di come san Columba…» La scena balza davanti agli occhi e il tono si addolcisce.

Un giorno i fratelli stanno rientrando dal lavoro nei campi. Sono a metà strada tra la brughiera (la parola esatta è machair) sulla costa occidentale di Iona e il monastero (Adamnano dice «il nostro monastero», con una nota davvero struggente), quando tutti improvvisamente provano «una sensazione strana e meravigliosa». Nessuno fiata, nemmeno quando, il giorno successivo, la cosa si ripete, e il giorno dopo ancora. Alla fine il priore Baithéne si rivolge ai monaci: «Fratelli, è tempo che ciascuno di voi dica se gli è accaduto qualcosa di strano, o addirittura miracoloso, qui a metà strada tra i campi e il monastero».

È un anziano a rispondere per primo, e le sue parole sono così belle che provo a tradurle per intero. «Poiché ce lo chiedi, descriverò cosa mi è stato rivelato in questo luogo. Nei giorni scorsi, e anche adesso, mi sembra di sentire un meraviglioso profumo, come se tutti i fiori fossero raccolti in uno solo; e un calore come di fuoco, ma non il fuoco del tormento, bensì dolce, a suo modo. Provo, anche, una strana, indicibile gioia, che mi riempie il cuore. Mi sento ristorato, all’istante, e così lieto da dimenticare ogni tristezza e ogni fatica. Persino il carico sulla mia schiena, per quanto non sia affatto leggero, da qui fino al monastero – non so come – mi pare tanto lieve da non sentirlo più.»

Anch’io, anch’io!, esplodono in coro gli altri monaci e, buttandosi in ginocchio («tutti insieme con un solo movimento»), chiedono al priore una spiegazione. E la spiegazione del priore è allo stesso tempo la più semplice, bella e «impossibile». Di quell’«impossibilità» sulla quale anch’io come tutti sorvolo ogni volta che non posso essere dove e con chi vorrei.

«Voi sapete», dice infatti Baithéne, «che il nostro padre Columba pensa costantemente a noi e si cruccia quando torniamo a casa da lui così tardi, perché sa che abbiamo lavorato duramente. Perciò, dal momento che non può venirci incontro con il corpo, la sua anima corre da noi e ci conforta mentre camminiamo, in modo che la gioia riempia i nostri cuori.»

(1-continua)

Adomnán of Iona, Life of St Columba, translated by R. Sharpe, Penguin Books 1995.

Lascia un commento

Archiviato in Agiografie

Il trailer della «Vita di san Columba»

Uno dice: il trailer – un breve montaggio di scene appositamente realizzato per invogliare la visione di un’opera di prossima uscita – è uno degli strumenti promozionali più specificamente cinematografici. Con ogni probabilità, concettualmente, si può risalire a forme legate alla diffusione a stampa di opere letterarie, ma nel complesso non si va troppo indietro.

E tuttavia aprendo la Vita di san Columba di Adamnano di Iona (composta alla fine del VII secolo), al primo capitolo del Libro primo ci s’imbatte in qualcosa che del trailer ha tutte le caratteristiche. Il racconto della vita del grande santo, fondatore dell’abbazia di Iona e figura cardinale del monachesimo irlandese e britannico altomedievale, comincia infatti con una carrellata di storie ed esempi relativi ai suoi poteri miracolosi.

Alcuni di questi poteri sono presentati in maniera generica: Columba guariva i malati; poteva vedere («proprio con gli occhi del corpo») i demoni e gli angeli; teneva a freno la furia delle bestie feroci («talvolta uccidendole, talvolta scacciandole»); prevedeva la sorte ultraterrena di chi era ancora in vita ed era persino in grado di influenzare le battaglie con le sue preghiere (una dote di cruciale importanza, dato il ruolo anche politico che svolgeva tra re e potenti nella zona d’influenza delle sue fondazioni).

Altri esempi, invece, sono presentati facendo riferimento a precise circostanze. La scena più corposa riguarda l’apparizione che il santo fece nei sogni del re di Northumbria Oswald la notte precedente la scontro in cui, grazie proprio alla profezia di Columba, sconfiggerà il gallese Cadwallon (634). «Sii forte e coraggioso», dice Columba al re, citando Giosuè, e aggiunge: va’ in battaglia domani perché il Signore mi ha concesso che i tuoi nemici questa volta siano sconfitti e che Cadwallon cada in tuo potere. La scena più curiosa riguarda un gruppo di briganti irlandesi pentiti che riuscirono a sfuggire ai loro inseguitori invocando san Columba: una notte, ormai accerchiati, si mettono a cantare canzoni irlandesi in onore del santo e passano, illesi, attraverso «fiamme, spade e lance». (Ed è ancor più curioso che, come accade proprio in certi trailer, queste due scene risultino poi «tagliate» nella narrazione seguente.)

La rassegna si completa con altri cinque episodi: Columba seda una tempesta in mare; Columba, giovane, tramuta l’acqua in vino durante una messa; Columba prende una pietra bianca, la benedice e la getta in un fiume, e «la pietra galleggiò come una mela, contro l’ordine naturale delle cose»; Columba risuscita il figlio di un buon cristiano – «un miracolo molto grande», commenta Adamnano; Columba infine dice ai suoi confratelli che spesso la grazia divina lo ha toccato producendo «un miracoloso allargamento del potere della mente, tanto che gli sembrava che tutto il mondo fosse raccolto in un raggio di sole» (evidente citazione della Vita di san Benedetto – quasi a dire: vi è piaciuta quella? Vi piacerà questa.)

A questo punto, come resistere al desiderio di leggere tutta l’opera? Adamnano non è uno sprovveduto: «Queste storie circa i poteri miracolosi del santo sono state qui brevemente riassunte in modo che il lettore, avendo avuto un assaggio del dolce banchetto che lo attende, sia più bramoso di ciò che, estesamente e con l’aiuto del Signore, verrà raccontato nei tre libri che seguono».

Un trailer, appunto.

Adomnán of Iona, Life of St Columba, translated by Richard Sharpe, Penguin Books 1995.

Lascia un commento

Archiviato in Agiografie