Pietro Sutore (Petrus Sutor, «il Ricucitore»; Pierre Cousturier, ca. 1475-1537), o.cart., francese; dottore in teologia alla Sorbona (si dice che arrivò terzo nella sua classe di laurea del 1510), fu anche insegnante, di ferreo tradizionalismo, prima di entrare nell’ordine dei Certosini, nel quale ricoprì molte cariche. Fu diuturno avversario di Erasmo, che a un certo punto, colpito dalla violenza degli attacchi del contendente, cessò di rispondergli, non senza peraltro aver disseminato le sue lettere di espressioni poco lusinghiere nei confronti del monaco: «Che farragine di abusi verbali, di arroganza, stupidità e ignoranza vi si può trovare [nei suoi scritti]. Mi ricorda quel vecchio proverbio che invita il sarto a limitarsi a cucire»; «Ed ecco un nuovo libro di Pierre Cousturier, palesemente l’opera di un uomo che più che di un medico, ha bisogno di un esorcista»). La veemenza del certosino, estesa a tutto il campo degli umanisti («i quali, pazzi come sono, e incapaci per la più parte di articolare una replica, si rifugiano negli insulti, compongono libelli calunniosi, per di più anonimi, disprezzano qualsiasi forma di ragionamento e sillogismo, definendole “sofismi”, e ridono delle Scritture: ammirano soltanto le infiorettature retoriche, chiamano gli argomenti scolastici, cioè di grammatica, “belle lettere”, “umane lettere”, che è abitudine vergognosa, e infine, quando hanno disprezzato ogni cosa, quando hanno condannato chiunque, si considerano gli uomini più colti e avvertiti»), gli fu poi rimproverata, fin negli scritti degli eruditi dei secoli successivi, unitamente alla considerazione per la vastità del suo sapere. Un tema singolare sul quale s’incaponì fu qello del triplice matrimonio di sant’Anna.
Quasi tutti i repertori annotano che le sue opere non riscossero particolare successo: «Abbiamo di lui molte opere di critica e di controversia, che non ebbero grande incontro» (Storia ecclesiastica di Claude Fleury, l. CXXXVIII); «Lasciò molte opere, che adesso servono a’ tarli» (L.-M. Chaudon, Dizionario storico degli autori ecclesiastici, t. IV). Anche a non esser troppo severi, i toni sono comunque misurati: «Se si considera l’epoca nella quale è vissuto, non si potrà dire che dom Cousturier non sia stato un dotto teologo. Aveva un grande zelo per la fede e un grande amore per la Chiesa, e nutriva una profonda avversione nei confronti di qualsiasi novità, ancor più essendo stato testimone dei mali e delle complicazioni suscitate da Lutero» (J. Liron, Singularités historiques et littéraires, t. III).
Pubblicazioni più recenti antologizzano brani delle sue efficaci descrizioni della Grande Chartreuse, tratti dalla sua opera oggi meno dimenticata, il De vita cartusiana. Efficaci e cupe, e così lontane dalla cosiddetta sensibilità moderna. «Si consideri l’apetto temibile del luogo», scrive ad esempio il Sutor. «Nulla di bello, nessuna consolazione, nessuna piacevolezza terrena; il terreno è a malapena coperto dall’erba, gli uccelli a malapena vi cantano, gli animali selvatici a malapena vi scavano le loro tane. Che più? Le nevi risplendono di un candore eterno, ma il freddo conferisce ai corpi di chi vi dimora un livido pallore. Né la desolazione del deserto di Scete, né quella delle solitudini egiziane possono essere paragonate all’austerità del massiccio della Certosa: è un’orribile prigione, una sede di espiazione, ben più che un luogo adatto alla vita degli uomini.»