I saggi densi e dotti, e un po’ accidentati, di Guido Cariboni sui cistercensi dei secoli XII e XIII1 hanno suscitato di nuovo in me alcune considerazioni, un po’ naïf e confuse, che rimandano al sottotitolo di questi appunti, quegli «occhi laici sul pianeta monaci» che, con altra accuratezza, sono poi lo sguardo che gli storici depongono sul monachesimo, osservandolo come «fatto» in mezzo ad altri «fatti». E già qui si potrebbe discutere sulla legittimità, o quanto meno sulla significatività, di tale sguardo quando prescinde dal «contenuto» religioso. A questa domanda rispondo nel modo seguente. Meno male che ci sono gli storici! Che proprio in virtù di quell’«in mezzo» studiano e ricostruiscono il fenomeno del monachesimo in rapporto agli altri fenomeni, giacché tale rapporto è sempre esistito, in forme più o meno estese e intense (con la parziale eccezione forse dei certosini); al lettore laico non professionista, invece e d’altra parte, è consentito avvicinarsi al monachesimo come se fosse un fenomeno per certi versi astorico e imprescindibile dal contenuto di fede.
E poi. Le vicende istituzionali dei cistercensi dimostrerebbero ancora che, per semplificare, la quantità uccide la qualità. L’estensione numerica e territoriale dell’Ordine porta infatti tensioni, allontanamenti dall’ideale, impulsi ricorrenti di riforma e di «ritorno alle origini» (e anche qui non può non venire in mente il detto certosino: «Cartusia numquam reformata quia umquam deformata» – bella forza, potrebbe persino pensare il cluniacense spazientito, siete quattro gatti). Dunque nella realizzazione pratica dell’aspirazione a Dio, di una forma di vita ispirata alla carità, esiste un punto di equilibrio che starebbe tra il singolo (l’eremita, perennemente esposto alle illusioni) e la massa, che porta con sé inevitabilmente deformazioni, divisioni e conflitti? Forse non soltanto nell’aspirazione a Dio, ma nella vita in comune in generale? Il piccolo gruppo, i cui membri si scelgono liberamente, essendo l’unica via possibile? La chiave del suo «funzionamento» essendo l’accordo delle volontà che può nascere solo dall’esiguità della compagine (l’unanimitas che era uno dei cardini dell’ideale cistercense)? Si può estendere questo concetto, e come, quando si è in tanti? C’è qui una lezione sul numero? (E già, arriva lui, dopo secoli di pensiero politico al riguardo…)
E quale può essere il rapporto tra piccoli gruppi? O tra il piccolo gruppo e il «grande gruppo»? Mi ha sempre colpito rispetto a ciò il trattamento della segretezza presso i cistercensi delle origini: come era percepita e come la vivevano loro stessi (in questo sovente aiutati dalla collocazione reclusa dei loro «nuovi monasteri»). Scrive ad esempio nella prima metà del XII secolo il cistercense Idungo, nel suo Dialogo di due monaci, rivolgendosi a un «collega» cluniacense: «L’elezione e la deposizione degli abati del vostro ordine, insieme ad alcune cause ancor più difficili, sono trattate dai vescovi, quasi in pubblico, contro il decoro della religione monastica; presso di noi, invece, questi problemi sono risolti tra di noi e da noi di nascosto [apud nos, inter nos, et a nobis in secreto], con convenienza per l’ordine». Sembra quasi che Idungo stia evocando gli arcana imperii… E d’altra parte, Oderico Vitale nella sua Storia ecclesiastica, completata sempre nella prima metà del XII secolo, scrive: «[I cistercensi] serrano le loro porte e nascondono i loro luoghi appartati con massima cura [secreta sua summopere celant]. Non ammettono nei loro penetrali un monaco di un’altra chiesa, né gli permettono di entrare con loro nel luogo della preghiera per la messa o per altri servizi liturgici». Ma quali tratti può avere, oggi, un’idea, se non un’applicazione, «sana» della segretezza?
La storia dei cistercensi, soprattutto nei primi secoli di vita dell’Ordine, e in particolare dopo la morte di Bernardo, è quasi un laboratorio in cui si può osservare con estremo interesse, tra le altre cose, il rapporto di tensione – quasi istantanea, verrebbe da dire – che si crea tra ideali e realtà, e anche tra legge e prassi. Come dimostrano con attenzione minuziosa i saggi di Guidi Cariboni, di almeno uno dei quali proverò a dare conto in seguito.
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- Guido Cariboni, Il nostro ordine è la Carità. Cistercensi nei secoli XII e XIII, Vita e Pensiero 2011.