(la prima parte è qui)
L’avversione del Crisostomo per il fenomeno1 è da tale da coinvolgere persino l’aspetto terminologico: per indicare queste donne si impiega «una turpe e ridicola parola che io non accetterei neppure di pronunciare, tanto è l’odio e la ripulsa che provo per il termine in sé (e pure la parola “coabitazione” mi urta)»; e la parola greca, ci insegna il curatore, è syneίsactos, cioè donna introdotta in casa in modo surrettizio, come moglie pur non essendolo, termine che in latino diventa subintroducta.
Figuriamoci, insiste il Crisostomo, tornando al cuore della questione, ci sono uomini santi che per resistere al pungolo della carne «si legano il corpo intero con catene di ferro, si vestono di sacco, salgono sulle sommità dei monti, vivono in un digiuno continuo», e ciò nonostante non sono sicuri di farcela, e tu sei convinto che la reciproca pietà possa essere il fulcro di una convivenza, di una coabitazione? Se parliamo poi di darsi una mano nelle faccende pratiche, è consigliabile che maschi e femmine restino separati, poiché hanno esigenze e stili diversi.
E qui il Crisostomo si lascia prendere da quello che ai nostri occhi è ormai un luogo comune e dal piacere (sì, direi proprio così) di una pagina frizzante di satira, e attacca in questo modo: «Tralascio poi la condizione indecorosa della casa, come sarebbe, entrando nell’abitazione di un monaco, vedervi calzature femminili appese, cinture, fasce per i capelli, cofanetti, conocchie, spole, pettini, fusi e tutte le altre cose che non è possibile elencare in dettaglio». È possibile però immaginare il monaco coabitante costretto a sbrigare cento commissioni richieste dalla vergine che vive con lui, andare ad esempio dal gioielliere «chiedendo se lo specchio della signora è pronto… se hanno realizzato l’ampollina», oppure, «se c’è bisogno di fare una riparazione a quella tal famigerata tenda», piazzarsi davanti alla bottega, «digiuno, fino a sera», ad aspettare l’artigiano. Ma vi pare?! È come se un soldato, una volta preparatosi di tutto punto per la battaglia, invece di avanzare sul campo, «entrasse in casa e si sedesse con quelle armi vicino a una donna». Non ci possono essere dubbi, conclude Giovanni, «è impossibile per chi vive assieme alle donne con tanta intimità e si nutre della loro compagnia non essere un ciarlatano, uno scioperato e una canaglia».
La condanna non è diversa, anzi, è più dura, al cambiare del punto di vista. Se gli uomini del primo trattato sono degli illusi, dei deboli o delle vere e proprie canaglie, le donne del secondo trattato si rendono colpevoli di devastare una santa nozione: «La causa di ogni male è che la cosa si è ridotta a un puro nome e tutto è stato circoscritto al corpo, che è l’ultima componente della verginità». Queste sedicenti vergini si vestono con ricercatezza, si truccano, parlano di tutto, «ridono a sproposito, fanno smorfie e moine più che le donne rammollite del lupanare». «Certo», tuona il Crisostomo, rivolgendosi direttamente a una di costoro, «tu non hai parlato e pronunciato quelle parole da prostituta: “Vieni, rotoliamoci nell’amore”. Non le hai pronunciate con la lingua, ma le hai pronunciate con il tuo atteggiamento.» Poco importa che il corpo sia rimasto intatto, il male è compiuto, ancora più grave perché coinvolge anche il prossimo.
Poco importa che il corpo sia apparentemente rimasto intatto. Il sapere di una levatrice, ricorda Giovanni, è molto limitato, non quello del supremo Giudice: «Ma se [il corpo] sia sfuggito al volgare palpeggiamento e all’adulterio e alla corruzione dei baci e degli abbarcci lo svelerà allora quel giorno, quando il Verbo vivente di Dio, che fa venire fuori i segreti degli uomini ed è presente quando si compiono atti segreti, metterà ogni cosa nuda e scoperta innanzi agli occhi di tutti: allora sapremo agevolmente se il tuo corpo è puro da queste contaminazioni e incorrotto sotto ogni aspetto». Confesso che mi ha colpito questo riferimento così esplicito al «pubblico ludibrio»: non soltanto Dio vedrà – in realtà, Dio ha già visto –, Dio mostrerà, e mostrerà a tutti noi, facendo proprio ciò che in terra è considerato spesso il deterrente più efficace o la scusa più facile («Tanto non mi vede nessuno»).
Molto meglio sposarsi, conclude il Crisostomo, e concede anche una seconda volta in caso di vedovanza, molto meglio che «essere sospettate da tutti di essere mezzane e ruffiane». E se c’è bisogno di una mano in casa? Puoi sempre affidare «il tutto a una fanciulla che stia al tuo servizio o alle vecchiette adatte a queste mansioni».
(2-fine)
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- Giovanni Crisostomo, Le coabitazioni, introduzione traduzione e note a cura di D. Ciarlo, Città Nuova 2018 («Collana di Testi Patristici», 254).