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«Questo era Abelardo»

Ha fatto tanto per lui, soprattutto alla fine della sua travagliata esistenza, si è prodigato anche per la sua Eloisa e, forse, per il loro figlio, e ne ha scritto, diligentemente, l’iscrizione tombale.

L’attribuzione dell’epitaffio di Abelardo a Pietro il Venerabile non è sicurissima, ma è plausibile e sostanzialmente accettata. Pare che, prima della Rivoluzione francese, gli undici esametri fossero ancora leggibili sulla parete della navata destra della chiesa del priorato cluniacense di Saint-Marcel a Chalons-sur-Saône, dove il filosofo era morto.

Non sono considerati particolarmente riusciti, ma mi piace immaginare il grande abate di Cluny, mai sciatto né distratto nelle sue testimonianze, che li ripassa, attento a bilanciare i due «Abelardi», quello famoso e brillante, che la storia ricorderà, e quello pio, che alla fine aveva chinato, più o meno, il capo. Ancora una volta siamo davanti a una grande prestazione diplomatica del Venerabile: cinque esametri e mezzo al primo Abelardo, cinque e mezzo al secondo (che tuttavia arranca un po’ e ha bisogno anche della data per pareggiare i pesi…).

Gallorum Socrates, Plato maximus Hesperiarum,

Noster Aristoteles, logicis quicunque fuerunt,

Aut par, aut melior; studiorum cognitus orbi

Princeps, ingenio varius, subtilis et acer,

Omnia vi superans rationis, et arte loquendi,

Abaelardus erat. Sed tunc magis omnia vicit,

Cum Cluniacensem monachum, moremque professus,

Ad Christi veram transivit philosophiam,

In qua longaevae bene complens ultima vitae,

Philosophis quandoque bonis se connumerandum

Spem dedit, undenas Maio renovante Kalendas.

Socrate dei Galli, massimo Platone degli Esperidi,

nostro Aristotele, di tutti i logici che mai esistettero,

pari o migliore; ovunque riconosciuto principe

degli studi; ingegno multiforme, sottile e penetrante,

superiore a tutto a forza di ragione e di parola:

questo era Abelardo. Ma ancor più superiore

quando, fattosi monaco secondo il costume di Cluny,

passò alla vera filosofia del Cristo,

nel cui giusto abbraccio concluse la sua lunga vita,

undici giorni prima delle calende di maggio, nella speranza

di essere un giorno contato nel novero dei santi filosofi.

Pierre le Vénérable, Poèmes, texte établi, traduit et commenté par F. Dolveck, Les Belles Lettres 2014, pp. 311-315.

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Quanto potrò, non appena potrò

Dopo aver scritto quelle mirabili parole di conforto, Pietro il Venerabile passò ai fatti e, consapevole di quale consolazione avrebbe prodotto un gesto del genere, in una data che non è possibile precisare portò il corpo di Abelardo a Eloisa, affinché fosse sepolto nella cripta del Paracleto (potrebbe essere il 1144, due anni dopo la morte del filosofo, o il 1146-49, o addirittura il 1152-54).

Eloisa glien’è profondamente grata e, un anno dopo la traslazione, gli scrive per ringraziarlo ancora. Ma non solo. La lettera della badessa è conservata nell’epistolario dell’abate di Cluny, e nella sua brevità restituisce un’immagine precisa del suo carattere, lucido anche nel dolore. Eloisa ci tiene a ripetere quello che Pietro ha fatto, che evidentemente non è poco: «Ci avete portato il corpo del maestro» (da notare come non faccia mai il nome del suo amato); Pietro, inoltre, ha concesso un beneficio di trenta messe da dire a Cluny per Abelardo e per lei stessa alla sua morte – promessa da confermare anche per iscritto.

Bene, dice Eloisa senza tanti giri di parole (quelli così cari al Venerabile), mandamelo questo «rescritto siglato» e, già che ci siamo, mandami «anche un altro documento siglato, quello che contiene in modo esplicito [apertis litteris] l’assoluzione del maestro, perché lo si possa appendere sulla sua tomba». Ah, un’ultima cosa, «ricordatevi anche…  di Astrolabio [il figlio suo e di Abelardo, nato intorno al 1118], e fate in modo di fargli avere una prebenda dal vescovo di Parigi o di qualsiasi altra diocesi». Grazie, e arrivederci.

Pietro risponde a stretto giro di posta, compatibilmente, e per una volta non si dilunga. Giusto un paio di citazioni e allega alla lettera i due documenti richiesti («Vi mando anche, come mi avete chiesto, pure su carta scritta e con il sigillo, l’assoluzione di maestro Pietro»). E Astrolabio? Qui il Venerabile, esperto mediatore oltre che uomo caritatevole, non dimentica la cautela: ci proverà, certo, «la cosa però è difficile, perché, come ho spesso sperimentato, i vescovi si mostrano di solito molto restii a dare prebende nelle loro chiese…»

«Comunque», conclude l’abate, «per amor vostro farò quanto potrò, non appena potrò.»

Pietro il Venerabile, Lettere 167 e 168, in Un monaco nel cuore del mondo. Lettere scelte, a cura di D. Pezzini, Paoline 2010.

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Pietro, Eloisa e l’altro Pietro

Sempre pressato dalle «esigenze fastidiose del suo ufficio», Pietro il Venerabile trova finalmente un «giorno di calma» e scrive a Eloisa, «venerabile e in Cristo amatissima abbadessa e sorella». Si ritiene che questo giorno sia agli inizi del 1144: Eloisa ha circa quarantaquattro anni, è badessa del Paracleto da quindici e il suo adorato sposo Pietro Abelardo è morto da quasi due. Su richiesta di Eloisa, l’abate di Cluny le racconta l’ultimo periodo della vita del «maestro Pietro», per il quale il Venerabile molto si è adoperato: ha tentato una mediazione con i suoi avversari, soprattutto con Bernardo di Chiaravalle, dopo la condanna per eresia, ha interceduto presso il papa Innocenzo II, ha infine accolto Abelardo nella sua abbazia e nel suo Ordine, perché morisse in pace.

La lettera è lunga ed è occupata, nella prima parte, da un elogio di Eloisa, «donna interamente e veramente filosofica» che con i suoi studi ha «superato tutte le donne e quasi tutti gli uomini». Pietro ne dice tutto il bene possibile, la vorrebbe con sé («Volesse il cielo che tu abitassi nella nostra Cluny») e dissimula con tatto tra le lodi la considerazione del fatto che Eloisa sia, comunque, una donna, moltiplicando citazioni e riferimenti («Non è, però, per niente insolito tra i mortali che delle donne governino altre donne, né del tutto inusuale che pure combattano, e inoltre accompagnino in guerra gli stessi uomini»).

Peccato che tu non possa venire da noi, dice il Venerabile, mi consolerò pensando «che ci è stata tuttavia concessa la presenza del tuo servo e vero filosofo di Cristo, da nominare spesso e sempre con onore, il maestro Pietro». Si passa così alla seconda parte della lettera, più breve, in cui sono descritti gli ultimi, nobilissimi giorni del filosofo, più umile degli umili, incurante della propria fama, dedito alla lettura, alla predicazione, all’orazione, «immerso in un profondo silenzio», paziente con i mali dell’età («più del solito era gravato dalla scabbia e da certi fastidi del corpo»), gentile, devoto – un santo, che ora siede alla destra del Signore, «come è giusto credere».

La lettera potrebbe concludersi così, ma Pietro il Venerabile sa cosa si aspetta Eloisa; conosce, ovviamente, tutta la storia e sa che non può negarle la parola più dolce. Anzi, penso che non voglia proprio negargliela, perché sa esattamente a chi si sta rivolgendo e a suo modo ha capito benissimo cos’è l’amore, e quasi scommetterei che abbia scritto tutto quanto precede per arrivare a quell’ultimo paragrafo e spiccare un balzo che anche oggi lascia senza fiato:

«Venerabile e carissima sorella nel Signore, questo uomo dunque, al quale dopo il rapporto carnale hai aderito con il vincolo tanto più valido quanto più eccelso della divina carità, con il quale e sotto il quale hai servito a lungo il Signore, costui, dico, il Signore stesso, al tuo posto o come un’altra te stessa lo riscalda ora nel suo grembo, e alla venuta del Signore… si riserva di restituirtelo per sua grazia

Hunc, inquam, loco tui vel ut te alteram in gremio suo confovet, et in adventu Domini… tibi per ipsius gratiam restituendum reservat. E così Etienne Gilson commenta le ardite parole del Venerabile: «Se c’era un Dio che quella badessa ostinata, ribelle e come murata nel suo dolore, non poteva rifiutare di amare, era quello che le custodiva il suo Abelardo, per lei e al suo posto – ut te alteram – al fine di renderglielo un giorno e per sempre».

Pietro il Venerabile, Lettera 115, in Un monaco nel cuore del mondo. Lettere scelte, a cura di D. Pezzini, Paoline 2010.

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