Evidenziatore

20. Papa Francesco, udienza alle Superiore e Delegate delle Carmelitane Scalze, 18-04-2024:

La speranza del Vangelo è diversa dalle illusioni fondate sui calcoli umani. Significa abbandonarsi a Dio, imparare a leggere i segni che ci dona per discernere il futuro, saper fare qualche scelta audace e rischiosa anche se sul momento rimane ignota la meta verso cui ci condurrà. Significa non affidarci soltanto alle strategie umane, alle strategie difensive quando si tratta di riflettere su un monastero da salvare o da lasciare, sulle forme della vita comunitaria, sulle vocazioni. Le strategie difensive sono frutto di un nostalgico ritorno al passato; questo non funziona, la nostalgia non funziona, la speranza evangelica va in un’altra direzione: ci dona la gioia della storia vissuta fino ad oggi ma ci rende capaci di guardare avanti, con quelle radici che abbiamo ricevuto. Questo si chiama conservare il carisma, la voglia di andare avanti, e questo sì che funziona.

19. E.M. Cioran, Finestra sul nulla (1943-45 ca.):

Le dispute e le convinzioni umane mi sembrano talmente insulse che ripongo la mia speranza in un monastero appollaiato in cima a una stella invisibile.

18. Teresa Forcades, Il corpo gioia di Dio, 2020:

La lontananza da Dio opacizza lo sguardo, stravolge i gesti, rende disarmonica l’espressione, distorce la voce rendendola roca o eccessivamente stridula e contrae i muscoli in maniera che il corpo non si muova liberamente, ma si sollevi in atteggiamento di sfida o si ripieghi su se stesso in atteggiamento difensivo. La tradizione monastica attribuisce molta importanza all’unità corpo-spirito e considera impossibile essere in armonia con Dio se non lo si è al tempo stesso con i fratelli, con le sorelle e con se stessi e senza riflettere tale armonia nel proprio corpo, in maniera non statica (la forma esteriore) ma dinamica (il modo di esprimersi col corpo).

17. Anna Maria Cànopi, Gesù Cristo nostra vita, 2019:

La vita monastica cenobitica è un’icona della Gerusalemme celeste, un’immagine posta per divina disposizione sotto gli occhi dei pellegrini ed esuli di questo mondo perché possano intravedere almeno in trasparenza la mèta da raggiungere. […] Tutto quello che è vero, bello, buono, santo deve diventare il nostro stile di vita in modo che gli altri possano dire: «È possibile vivere in comunione, è possibile rimanere uniti per sempre, è possibile avere ideali comuni e perseguirli aiutandosi vicendevolmente; esiste e rimane per l’eternità ciò che vediamo in parte realizzato qui nel tempo, sulla terra».

16. Salvador Giner, L’avvenire della religione, 2016:

Il dialogo autentico, senza tabù, con la volontà di capirci e persino di amarci l’un l’altro, continuerà a essere essenziale. Il nostro impegno può essere uno solo: rendere il cortile dei gentili superfluo, inutile, inesistente. Il mondo intero deve diventare quel cortile. Solo allora sarà possibile una conversazione fraterna tra individui – ormai tutti gentili – capaci di dialogare, colloquiare, immaginare, pensare e alla fine anche credere, ma non all’interno di un cortile circoscritto, all’ombra tutelare delle mura sacre di un Tempio temibile. Tra il Tempio e l’agorà, tra Gerusalemme e Atene, la scelta è chiara.

15. Emanuela Ghini, Riflessioni di una monaca carmelitana scalza su Teresa di Gesù, 2019:

Il dono dell’intuizione suprema della verità in se stessa, fondamento di ogni verità, quindi di ogni sapere umano, di ogni scienza, provoca in Teresa, ma al limite, in dimensioni diverse, in ogni cercatore di Dio, la conversione dalla mondanità alla realtà essenziale, le cose verissime che danno senso alla vita e mostrano la vanità di tutte le periferie dell’essere, per quanto siano mascherate da seducenti luccicori: «Mi restò un vivo desiderio di non parlare se non di cose verissime, superiori alle solite conversazioni del mondo» (Vita, 40,3).

14. Detti e fatti delle donne del deserto, a cura di L. Cremaschi, 2018:

Un giorno amma Sara, mentre camminava lungo un sentiero, fece un salto e scavalcò un piccolo ruscello. Un tale al vederla si mise a ridere e Sara, inconsapevole della grazia di Dio venuta su di lei, gli disse: «Crepa!» Giratasi all’indietro vide che a quel tale era scoppiata la pancia. Spaventatissima pregò: «Gesù mio, fallo rivivere! D’ora in poi non dirò mai più parole del genere!»

13. Suor Lucia De Gasperi, Appunti spirituali e lettere al padre, 1968:

Quando andiamo in mezzo al coro per cantare una Lezione, non siamo più noi. Ricevere un mandato da qualcuno vuol dire perdere, in un certo senso, la personalità. Parlare con le parole di un Profeta, della Chiesa, di Dio! È un popolo che piange, in Geremia: è una folla che canta così, anche in ogni carica ufficiale, sulle vie del mondo. Non si è più noi. Si rappresenta. Si è la voce di un popolo. Come vuoi allora che il Signore non ascolti? Mi dicevi l’altro giorno tante cose vere sulle «cause seconde». Ma, in fondo, ripensandoci, non è meglio così? Che, per cercare l’opera di Dio nel nostro operare, si debba riandare a giorni lontani, a circostanze sfuggite, a occasioni: ricercare insomma un filo, il filo dell’amore di Dio, che ci ha seguito, ci ha «perseguitato tutti i giorni della nostra vita»: non è molto più bello così? (Aprile 1949)

12. Pier Paolo Pasolini, Polemica politica potere. Conversazioni con Gideon Bachmann, 2015:

La tentazione di chiudersi nella propria interiorità c’è sempre. È una costante della mia vita intellettuale, e credo di qualsiasi altro. Un po’ come una volta, quando ci si faceva frati: gli uomini d’arme e i grandi feudatari a un certo punto si chiudevano in un convento. Fare questo o porre una cella dentro la propria anima sono tentazioni continue in questo mondo così sgradevole. (1965)

11. Elias Canetti, Il libro contro la morte, 2017:

Da qualche tempo ciò che più di tutto amo leggere sono le vite dei santi. Personaggi, nel più autentico senso del termine, che nessuna forma di modernità è in grado di disgregare, pur sempre immutabili, lacerati dalla sofferenza, ma non sfigurati, caparbi, a dispetto di sé immortali. (1990)

10. Federico Marazzi, Refettori e refezione nei monasteri altomedievali: uno sguardo attraverso l’archeologia e le fonti scritte, in Gli spazi della vita comunitaria, Atti del Convegno internazionale di studio, Roma – Subiaco, 8-10 giugno 2015, a cura di L. Ermini Pani, 2016:

Nelle cucine [del monastero di San Vincenzo al Volturno] sono stati trovati soprattutto (anche se non solo) resti di pesce di qualità ordinaria, sia di fiume che di mare, destinato sia all’arrostimento che per preparare brodi o zuppe. Nei conoidi di scarico del condotto che proveniva dalla cosiddetta Corte a Giardino e dal piccolo locale antistante, interpretato a suo tempo come refettorio per gli ospiti di riguardo, e nell’area del letto fluviale immediatamente adiacente, sono stati invece recuperati resti di specie ittiche particolarmente pregiate, quali dentice, pesce san Pietro, ricciola, storione, marmora e gallinella. Sono anche stati rinvenuti resti di molluschi, mitili e seppie, ma anche di tartaruga e un ampio campionario di specie di volatili selvatici o semiselvatici, come pernici, fagiani, anatre e passeriformi e addirittura di mammiferi selvatici di grossa taglia come cervi e caprioli. A parte le seppie, per cui alcuni documenti del Chronicon Vulturnense, sebbene del X secolo, attestano anche un consumo monastico, tutte le altre specie lasciano immaginare che da quegli scarichi provenissero i resti di pasti di natura ben diversa da quelli serviti quotidianamente alla comunità. Se tali dati possano corroborare la vecchia ipotesi dell’uso del retrostante locale come refettorio (o piuttosto sala da pranzo) per gli ospiti non è ovviamente affermabile con certezza, ma di certo è legittimo porsi qualche domanda in tal senso.

9. Enzo Bianchi, Al termine del giorno. Parole per illuminare il viaggio interiore, 2017:

Noi uomini non siamo angeli e non ci è chiesto di negare il nostro «io» fino a distruggerlo; ci è chiesto però di tenerlo in sinfonia nella logica del «noi». Io, tu, noi: questa è la dinamica che ci spetta dal mattino alla sera. Si passa dal mio «io» che nel momento in cui ci alziamo è solo a svegliarsi; al «tu» che subito dopo diciamo davanti a Dio nella preghiera e all’ufficio; al «tu» che poi rivolgiamo nel corso della giornata al fratello o alla sorella che incontriamo, un «tu» che diciamo però per giungere infine al «noi», perché tale è la comunità.

8. Ernie Pyle, Ernie Pyle’s Southwest, 1965, citato in Alex Shoumatoff, Leggende del deserto americano, 1997:

È cresciuta dentro di me l’idea ossessiva che l’unico modo di trovare la pace interiore sia andare da qualche parte nel deserto, lontano da tutto, e stare semplicemente seduto.

7. Raoul Manselli, San Bernardo e la religiosità popolare, 1975:

È davvero strano che un uomo di cui non si può mettere in dubbio la sensibilità psicologica squisita nei riguardi degli individui sia stato altrettanto sordo nei confronti delle masse. La verità è che per san Bernardo le masse sono quantità, non – ci si perdoni l’espressione paradossale – delle persone umane da portare a un cristianesimo più alto. Egli non vede nel numero di persone che compongono le folle le individualità da cogliere e raggiungere, ma piuttosto il gregge da disciplinare, incanalare, guidare nelle vie che la gerarchia elabora e alle quali si deve, in sostanza, obbedienza e rispetto. Il resto non conta.

6. Emanuela Ghini, Vie di preghiera, 2013:

Oggi che si è tutti protesi, sui fronti più diversi, a ricercare scuole, metodi, tecniche di preghiera, nel tentativo mai appagato di entrare in comunione con Dio, una rilettura di qualche passo dei Padri del deserto può essere stimolante e provocatoria. Questi vecchi solitari emergono dal fondo dei secoli così vivi e veri, così carichi di esperienza spirituale, così capaci di educarci, che si impongono alla nostra attenzione e colmano tante nostre attese. Certo, le loro risposte sono spesso sconcertanti. Vanno al di là delle domande. Rimuovono molte presunte sicurezze. Uomini e donne semplici e vigorosi, i Padri e le Madri del deserto possono sembrare a tutta prima incapaci di cogliere le nostre complessità e tortuosità di moderni, il lavorio incessante e logorante delle nostre coscienze tormentate. Ma se ci lasciamo attrarre da loro, ci si aprono davanti spazi diversi e vasti, in cui possiamo inoltrarci con un senso tutto nuovo di liberazione.

5. Grado Giovanni Merlo, Frate Francesco, 2013:

Il personaggio vale di per sé, è esso stesso realtà: in tale senso Francesco d’Assisi, frate e santo, appunto come personaggio non differisce da Myskin, da Ivanhoe, da Sandokan, da Biancaneve, e così via. Ciò vale in riferimento non soltanto alle opere di letterati e artisti, ma anche ai più ampi e diversi campi delle idealità politiche e delle battaglie ideologiche, che hanno generato e generano una continua proliferazione (francamente difficile da reggere) di san Franceschi, quasi si trattasse di personaggio cangiante, fregoliano, soggetto a perenni trasformazioni: dal san Francesco rosso (socialista, comunista, terzomondista, internazionalista, movimentista) al san Francesco nero (nazionalista, littoriale), dal san Francesco verde (ecologista, ambientalista, animalista, naturalista, planetario) al san Francesco rosa (femminileggiante, femminista), rispetto ai quali non si può nascondere una certa predilezione per il san Francesco dei liquori, dei dolciumi e delle acque minerali che si muove in libera concorrenza con il sant’Antonio e gli altri santi presi a simbolo di prodotti concorrenti.

4. Helder Camara, 44ª Circolare, Roma, 26.11.1962:

Così come nell’ora della Provvidenza Dio liberò il Papa dallo Stato Pontificio (ma Pio IX e i cattolici di tutto il mondo in quel momento non lo capirono bene), verrà il giorno in cui il Padre libererà il Vicario di Cristo dal lusso del Vaticano. Durante il bombardamento di Roma ero arrivato a pensare che Dio avrebbe agito lasciando che una bomba liquidasse ciò che sembrava impossibile abbandonare in altro modo. Non avrebbe funzionato: Rockfeller avrebbe ricostruito un Vaticano ancora più ampio e lussuoso. La riforma deve venire da dentro. Come sarebbe bello per il mondo se, anziché arrivare il giorno della devastazione, dell’incendio e del saccheggio (come tante volte mi è capitato di vedere), partisse dal Papa il gesto di spogliarsi.

3. Peter Brown, Il corpo e la società, 1988:

Da una lettera scoperta di recente sappiamo che negli anni in cui Cassiano stilava le sue opere Agostino aveva scritto nientemeno che ad Attico, lo scaltro vescovo di Costantinopoli succeduto a Giovanni Crisostomo. In quella lettera Agostino, un vecchio ormai debole vicino ai settant’anni, avanzava l’ipotesi che Attico non gli avesse scritto perché a Costantinopoli lo si dava per morto, la qual cosa non era sorprendente, diceva Agostino con la sua immancabile serenità letteraria, «perché non c’è nulla di più credibile che un uomo, nato per morire, sia morto».

2. Ludwig Wittgenstein, lettera a Yorick Smithies (ex allievo), 7.4.1944:

La notizia che sei entrato a far parte della Chiesa cattolica è giunta effettivamente inaspettata. Ma se sia una notizia buona, oppure cattiva – come faccio a saperlo? Mi sembra chiaro quanto segue. Decidere di diventare cristiani è come decidere di smettere di camminare per terra per prendere a camminare su una fune, dove niente è più facile che scivolare e ogni scarto può essere fatale.

1. Gregorio di Nazianzo, Epigrammi, 7:

O colloqui, o comune casa dell’amicizia, amata Atene, / o comunione di vita divina, un tempo! / Sappiate che Basilio è andato in cielo, come bramava, / e Gregorio qui in terra ha le labbra incatenate.

Una risposta a “Evidenziatore

  1. Francesca

    La prima citazione, quella di Helder Camara, è una profezia su Papa Francesco?

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