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Bruciato completamente (Dice il monaco, CXI)

Dice Marco il Monaco (o l’Eremita, o l’Asceta), grande «psicologo» vissuto in Asia Minore tra la fine del IV secolo e la metà del V:

Quando avremo rigettato dal nostro intelletto ogni vizio volontario, allora dovremo combattere contro le passioni che [sono in noi] per predisposizione. La predisposizione è un ricordo involontario dei mali commessi in precedenza, a cui il lottatore impedisce di progredire fino allo stadio di passione, mentre il vincitore la respinge quando è ancora allo stadio di suggestione. La suggestione è un moto del cuore privo di immagini: gli esperti la bloccano come [un nemico in] una strettoia. Quando i pensieri sono accompagnati da immagini, allora c’è già stato un consenso, perché la suggestione non colpevole è un moto privo di immagini, Ma c’è chi fugge da queste [suggestioni] come un tizzone da un fuoco, e chi invece non se ne ritrae finché le fiamme non lo abbiano bruciato completamente.

♦ Marco il Monaco, Sulla legge spirituale, 139-142, in Custodisci il dono di Dio. Opuscoli spirituali e teologici, traduzione, introduzione e note di L. d’Ayala Valva, Edizioni Qiqajon, Comunità di Bose, 2023, pp. 149-50. (Un piccolo assaggio dall’ultima, notevolissima pubblicazione di Qiqajon dell’anno appena concluso, «prossimamente – spero – su questi schermi».)

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Stanzette (Dice il monaco, LXXVII)

Dice Marco l’Eremita (l’Asceta), discepolo del Crisostomo, monaco, abate, eremita, intorno al 430:

Non dire: «Non so che cosa si deve fare e sono senza colpa se non lo faccio». Se infatti tu fai ciò che sai, anche il resto ti verrà rivelato di conseguenza: proprio come stanzette che si scorgono l’una attraverso l’altra. Non ti giova sapere ciò che viene dopo, prima di aver messo in opera quanto precede. Perché la scienza gonfia per colpa dell’ozio, mentre l’amore edifica in forza della sopportazione di tutto.

♦ Marco l’Asceta, La legge spirituale, 84, in La Filocalia, a cura di Nicodimo Aghiorita e Macario di Corinto, traduzione, introduzione e note di M.B. Artioli e M.F. Lovato, vol. I, Gribaudi Editore 1983, p. 178.

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«Una nuvola non si forma senza brezza»

Si può dire, magari semplificando un po’, che prima delle Regole vengono le raccolte di sentenze, come prima dei cenobiti, sempre semplificando, vengono gli eremiti. L’esigenza di fissare norme strutturate emerge, comprensibilmente, quando il monaco solitario si unisce ad altri per formare una comunità («Mentre l’eremita non ha bisogno della regola, bensì della “parola” o sentenza, il cenobita è sottoposto alla regola», scrive Gregorio Penco). E se le Regole incorporeranno comunque buona parte di quanto messo a punto nelle raccolte di sentenze (come fa anche Benedetto), tali regole, a loro volta, hanno precedenti illustri «all’interno di una tradizione letteraria ben definita»: il genere sapienziale, da Esiodo, a Solone, a Teognide, fino a Marco Aurelio ed Epitteto.

Ho letto recentemente quattro esempi notevoli di queste raccolte in un volume curato da Lucio Coco, che accorpa il Discorso sull’ascesi di Basilio Magno, le Sentenze di Isaia di Scete, l’Esortazione ai monaci di Iperechio (del quale «non si sa niente») e La legge spirituale di Marco l’Eremita. Ai Padri del deserto, e ai loro testimoni, piacciono e tornano utili le frasi brevi, i proverbi, gli aforismi: si ricordano bene, si meditano meglio, agevolano l’insegnamento. E a me piacciono perché vi trovo conferma del valore di protopsicologia di tante scritture monastiche. Nel passaggio dal pensiero classico a quello cristiano sono talvolta evidenti gli innesti puri e semplici, altre volte delle specie di traduzioni o adattamenti. C’è ad esempio un detto molto semplice di Marco l’Eremita che recita: «Non pensare o fare niente senza uno scopo. Chi infatti cammina senza uno scopo faticherà inutilmente» (54); alcuni codici lo riportano con questa variante: «Non pensare o fare niente senza aver in Dio il tuo scopo…».

Sono pensieri di uomini di fede, certo, cristiani, che guardano alla salvezza dell’anima, ma qui e là emergono, quasi involontariamente, osservazioni di cui si intuisce bene la radice più antica, e che colpiscono per la luce limpida che gettano su meccanismi di pensiero che transitano immutati le epoche (d’altra parte sono proprio i «pensieri» uno degli oggetti principali della meditazione dei Padri).

«Monaco, non mostrarti duro; ricorda che nessuno che sia duro ha potuto resistere» (Iperechio, 74; solo il monaco?). «Meglio mangiare carne e bere vino che mangiare le carni dei fratelli con la calunnia» (Iperechio, 138). «Non dire: “Ciò che non voglio mi capita lo stesso”. Sicuramente se non quella, tu ami le cause di quella cosa» (Marco l’Eremita, 143). «C’è chi recide una passione per un piacere più grande e viene celebrato da coloro che ignorano il suo scopo. E forse anch’egli ignora che si sta sforzando inutilmente» (Marco, 101). «[Disse ancora:] Sono simile a un passero, che un fanciullo ha legato per le zampe; se si molla il filo, subito si alza in volo credendo di essere stato liberato, ma se il fanciullo lo tira giù, lo riporta indietro. Così vedo me stesso. Dico questo perché uno non deve smettere di darsi pensiero fino all’ultimo respiro» (Isaia di Scete, 8, 3). «Quando senti che pulsioni soggiacenti in noi assumono consistenza e sollecitano la passione nella mente che se ne sta quieta, sappi che è la mente [stessa] in un momento precedente che le ha suscitate, le ha rese concrete e le ha messe nel cuore» (Marco, 180).

In fondo «una nuvola non si forma senza brezza e vento, e una passione non si genera fuori dall’intelletto» (sempre lui, Marco l’Eremita).

Sentenze spirituali, a cura di L. Coco, Città Nuova 2011.

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