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«Sì, sono io che ti parlo» (Il «Colloquio interiore» di suor Maria della Trinità; pt. 3/3)

(la prima parte è qui; la seconda qui)

«All’inizio di gennaio del 1940 Suor Maria della Trinità comincia ad annotare su un taccuino delle parole interiori», scrive Alain-Marie Duboin nell’ultima «introduzione» che ancora precede gli appunti della clarissa, e in cui ancora si ritiene opportuno avvertire che «questo genere di comunicazione deve certamente essere accolto con prudenza». E la prima comunicazione – prima di 670 – dice: «Dimenticati! Non ti preoccupare dei tuoi bisogni materiali o spirituali. Quando hai tutto ciò che ti occorre, mi privi della gioia di prendermi cura di te»1. Dunque Gesù parla nella mente di Luisa Jacques e lei trascrive queste «parole interiori» in linguaggio umano. È anche interessante notare come sul manoscritto le parole ispirate siano poste tra virgolette (quindi sono riportate più che trascritte), mentre i commenti della monaca siano preceduti e seguiti da due trattini lunghi.

All’inizio, dal mio punto di vista, è difficile liberarsi dall’impressione che questa voce interiore sia quella della coscienza di sr. Maria, che adotta2 più o meno consapevolmente tale sistema per richiamare a se stessa i doveri della nuova vita (solo da un anno e mezzo sr. Maria è postulante, e poi novizia), per sottolineare le mancanze più o meno gravi («Non ridere della tua Superiora»), per definire e ridefinire in continuazione quello che è stato chiamato «un direttorio esigente e molto concreto di vita cristiana e di docilità alla Chiesa». In pratica, una risposta, che dopo un breve rodaggio diventerà un diario pressoché quotidiano, alla domanda che certi individui finiscono col porsi in modi più o meno pressanti: che cosa devo fare? (E anche la sua compagna: che cosa non devo fare?) Gli esempi sono innumerevoli, ne faccio alcuni, positivi e negativi: non giudicare nessuna; sii fedele nei particolari; il lavoro che devi fare è togliere; essere esigenti con se stessi, non imporre nulla agli altri; non dubitare più; ascoltami e scrivi, non occuparti più di ricami; che ciascuna delle tue giornate sia un’immagine di quanto ti dico; fate silenzio nel più profondo di voi stessi…3
Le istruzioni, tuttavia, a poco a poco, passano da un livello personale a uno decisamente più comunitario, e infine a uno ancora più astratto: sono parole rivolte alle claustrali in genere e posseggono un tono mi verrebbe quasi da dire di magistero, che poco si accorda con la figura della giovane clarissa. O forse, al contrario, queste parole sono proprio lo sfogo di una personalità ingombrante e sapiente che osserva e giudica, e al tempo stesso ne soffre il doloroso peccato di superbia? Sono molto affascinato da questo documento, dal conflitto interiore che rende leggibile e che arrovellava la stessa sr. Maria: come interpretare altrimenti una nota come la 34 (non isolata nel suo genere): «Sì, sono io che ti parlo; perché non mi credi? Ti ho mai ingannata? Tutto ciò che ti ho detto, è accaduto»? (Nota che apre la dimensione profetica di questo colloquio, intorno alla quale gli stessi curatori si muovo con ancor più cautela.) «Il maggior pericolo per voi, nella vita religiosa», recita Gesù-maestro nella nota 146, rivolgendosi ormai sempre più spesso a un voi, «sta nel cercare consolazioni dalle creature e preferire le vostre illusioni alle mie esigenze»; «Il valore della vostra vita», insegna nella nota 410, «consiste nel fatto che Dio vi è affidato, perché trasmettiate la sua conoscenza alle generazioni che vi succedono, la sua conoscenza vera, quale la Chiesa l’ha in deposito»; «Le vostre opere mi piacciono», riassume nella nota 526, «nella misura in cui vi insegnano a conoscervi e a dominarvi. Infatti, perché venite voi nel chiostro, se non per questo lavoro interiore su voi stesse che vi rende padrone dell’anima vostra, sicché possiate farmene dono?»; «Il monastero non vi appartiene», ricorda infine nella nota 657, «vi è prestato. Voi non avete diritto di vivervi secondo le vostre proprie idee, dovete vivervi così come la Chiesa lo indica. Perché la Chiesa sono io».

Ci sarebbe poi l’aspetto, molto delicato e rilevante, del cosiddetto «voto di vittima» che viene affrontato in numerose note, ed è stato anche oggetto di particolare studio, ma si tratta di materia nella quale è meglio che non mi avventuri. Se quell’impressione di cui dicevo prima è rimasta, mi è altrettanto difficile negare la forza che sprigionano questi testi. In essi si fa sentire una voce potente, talvolta delicata, talvolta inflessibile, una voce che richiede il silenzio per poter essere udita («È necessario fare un silenzio profondo, perché la mia voce è dolce»), una voce che regge il mondo ma che accetta di essere coperta dal suo rumore, una voce che dice: «Un amore che non esagera, non è amore, è affetto».

Che sia di sr. Maria della Trinità o di Qualcun altro rimane oggetto di libera e personale scelta, ma, avendola ascoltata, non si potrà dire che non risuoni a lungo.

(3-fine)

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  1. Suor Maria della Trinità (Clarissa di Gerusalemme), Colloquio interiore. Dalla conversione all’ascolto della voce divina, prefazione di Hans Urs von Balthasar, Edizioni Terra Santa 2015.
  2. Lascio volentieri l’ambiguità se qui il soggetto sia sr. Maria o la sua coscienza.
  3. Riporto qui, in nota, perché è un po’ lunga, quella che può essere quasi considerata una specie di regola: «La più sacrificata in tutto il monastero non è colei che fa il maggior lavoro visibile, è colei che fa il maggior lavoro invisibile, che sa meglio nascondersi, non incomodare nessuna, essere leggera agli altri e rendere la propria anima trasparente sicché mi si scopra in lei. Il più importante non è il lavoro che fate voi, è quello che voi mi lasciate fare tra voi. Il pericolo del chiostro sta nel cercare una distrazione alla vostra vita di privazione, fuori di me, nelle creature; Io, che vi aspetto! che sono più che la consolazione, la sorgente della gioia. Bevete alla sorgente come il vostro Padre San Francesco» (nn. 31-32).

 

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«Una piccola cosa insignificante» (Il «Colloquio interiore» di suor Maria della Trinità; pt. 2/3)

(la prima parte è qui)

Il percorso biografico che porta Luisa Jacques al Monastero Santa Chiara di Gerusalemme, dove l’attende l’ascolto diretto della voce di Gesù, comincia, come si diceva, nel 1901 a Pretoria, dove Luisa nasce da una coppia di calvinisti svizzeri impegnati nell’attività missionaria: Numa, pastore, ed Elisa, che lo assiste e che muore poche ore dopo il parto. Il racconto dei primi venticinque anni della vita di Luisa è affidato a un breve testo del francescano Alain-Marie Duboin, che narra dell’infanzia e della giovinezza trascorse prevalentemente in Svizzera, segnate da continui problemi di salute: l’educazione elementare e le cure amorevoli della zia Alice, che ha preso il posto della mamma, gli studi e i primi impieghi (contabilità, segreteria, dattilografia); letture interessi concerti amiche; la solitudine quando la famiglia si disperde e in parte ritorna in Africa; l’ombra di una relazione finita drammaticamente, piccoli, continui spostamenti, crescente inquietudine interiore.

Fino al febbraio 1926: «La notte tra il 13 e il 14 febbraio mi accadde questa piccola cosa insignificante che non fa rumore, che ha la levità di un sogno, ma che pur tuttavia è una realtà – essa ha capovolto tutta la mia vita». Qui il racconto passa nelle mani di Luisa stessa che, ormai suor Maria della Trinità, obbedendo nel 1942 alla richiesta del suo confessore, «descrive le circostanze che l’hanno condotta alle Clarisse di Gerusalemme». Luisa è ospite dell’amica Bluette, a La Chaux-de-Fonds, la sua inquietudine è sprofondata sino alla tentazione di negare Dio e quella notte le appare ai piedi del letto una persona, una religiosa, con «una specie di cappuccio in testa», muta, «trafelata e ansante come se avesse corso». La visita notturna, che spaventa molto la giovane Luisa, porta con sé la decisione: «Prima di disperare di Dio c’è ancora questo: andrò a pregare in un convento».

«Era una chiamata?» riflette Luisa, con l’accesa lucidità che contraddistingue tutti i suoi documenti. «È stata questa l’unica causa di un’attrazione irresistibile, che non era ragionata, che era subìta, verso il chiostro. Ciò valse a mutare la mia vita. Quante volte mi sono augurata di non aver avuto questa aspirazione che mi è costata tanti tentativi e tanti sacrifici!» Tentativi e sacrifici che Luisa racconta insieme con i molti dubbi, le complicazioni, le svolte, gli inciampi. È singolare la franchezza con la quale confessa la sua distanza iniziale dal mondo claustrale: è a Milano, dove ha trovato un lavoro, che ha il primo contatto con una comunità di monache: «Avevo sempre provato come una paura matta per quelle case chiuse, misteriose, che mi facevano pensare ad una specie di losca massoneria, e per quelle creature stranamente vestite che rassomigliavano a delle immagini». L’incontro è comunque decisivo, soprattutto per la delicata questione della conversione al cattolicesimo: il battesimo ha luogo nel marzo del 1928 e la sua famiglia non la prende benissimo («Papà è invecchiato di dieci anni», le scrivono dal Sudafrica).

Negli anni successivi Luisa accetta vari incarichi come istitutrice privata e intanto cerca una comunità disposta ad accogliere lei, convertita, indipendente, malaticcia. Va letteralmente «a suonare i campanelli dei conventi» e «non potrei dire quanti ne ho visitati!» È una strada tortuosa: le Piccole Suore dell’Assunzione («quest’Ordine non è per voi, noi siamo troppo austere!»), le francescane missionarie d’Egitto («troppo attaccamento alla famiglia»), le francescane del Bambino Gesù («la vita religiosa è assai dura… poco indicata per un organismo delicato»), la Società delle Figlie del Cuore di Maria (una congregazione non conventuale, all’interno della quale Luisa emette i primi voti) e infine, nel 1936, le Clarisse, presso il monastero di Evian. Ma l’approdo non è definitivo, e infatti, poco meno di un anno dopo: «Abbiamo il dispiacere di dirvi che siete rifiutata all’unanimità, non per la vostra salute, con qualche cura avrebbe  ancora potuto essere passabile, ma a causa del vostro cattivo carattere…»

Ci vorranno ancora due anni, e un viaggio in Sudafrica, prima che Luisa trovi finalmente la sua «casa» («Mi sono offerta a tutti i conventi che mi presentavano qualche possibilità di essere accettata: dovunque rifiuti»). Prima di rientrare in Italia, Luisa decide di fermarsi a Gerusalemme, in pellegrinaggio. Vi arriva il 24 giugno del 1938. Il giorno successivo, mentre si trova nella cappella del monastero delle Clarisse, Luisa ha un incontro fortuito con una suora: «“Vi volete far Clarissa?” “Avete del posto?” “Il monastero è stato costruito per 51 (!!), noi non siamo che venti. Volete parlare alla nostra Rev. Madre?” “Sì”».

Sì, Luisa Jacques è arrivata a casa, e forti di questo quasi interminabile insieme di premesse, possiamo infine avvicinarci alla «voce divina» che sr. Maria della Trinità ha ascoltato e fedelmente trascritto.

(2-segue)

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«Un’eco di ineffabili esperienze» (Il «Colloquio interiore» di suor Maria della Trinità; pt. 1/3)

Trovo molto significativo che nella più recente edizione italiana del Colloquio interiore di sr. Maria della Trinità1 i suoi «appunti» siano preceduti da un cospicuo corteo di testi introduttivi. Un’introduzione è normale, ma qui è come se, per arrivare alle «stanze» più importanti del libro, si dovesse attraversare una lunga teoria di anticamere, ognuna occupata da qualcuno che ritenga necessario avvertire il lettore sul carattere di ciò che sta per leggere. E cioè le trascrizioni dei quaderni che sr. Maria della Trinità, clarissa colettina del monastero di Santa Chiara di Gerusalemme, riempì di annotazioni dall’inizio del 1940 fino a due giorni prima della morte, avvenuta il 25 giugno del 1942.

A richiamare la mia attenzione su questa singolarissima figura del monachesimo femminile del XX secolo è stato l’intervento del francescano Claudio Bottini, pronunciato nel dicembre del 2015, proprio in occasione della presentazione del volume, e in seguito pubblicato2. Oltre a trarre le prime notizie biografiche di sr. Maria della Trinità – nata Luisa Jacques nel 1901, a Pretoria, da genitori svizzeri calvinisti, missionari in Sudafrica, e approdata infine, dopo una vicenda molto travagliata, alla comunità delle clarisse di Gerusalemme –, sono rimasto molto colpito dalle foto che accompagnavano l’articolo, e in particolare dall’immagine di alcune pagine dei quaderni3. Sono quindi andato sul sito, molto ricco, delle clarisse di Gerusalemme4, che tra le altre cose pubblicano il «Piccolo seme in terra di Gerusalemme», una newsletter dedicata alla loro consorella che ne divulga (in italiano, in inglese e in francese) documenti, testimonianze e spiritualità. A quel punto, recuperare una copia del Colloquio interiore è diventato un obbligo, e la cosa può sembrare sorprendente, persino a me stesso.

Il libro si apre con una breve prefazione del teologo Hans Urs von Balthasar, tratta dall’edizione francese del 1979, che comincia così: «Se chi possiede una certa conoscenza del Vangelo e della grande tradizione spirituale della Chiesa si accosta, senza partito preso, alla lettura degli Scritti di Luisa Jacques sarà subito colpito dall’importanza spirituale e dall’innegabile autenticità del loro contenuto». Le coordinate di avvicinamento al testo sono poste subito: cautela, niente pregiudizi, importanza spirituale, autenticità. Quest’ultima assume un rilievo tutto particolare se si considera che il tema fondamentale del Colloquio «è quello dell’ascolto interiore della voce del Signore». Sì, perché le 670 annotazioni di sr. Maria della Trinità trascrivono in parole umane i messaggi che Gesù stesso le avrebbe dettato, «messaggi senza parole tradotti in linguaggio parlato», come li definisce von Balthasar.

Il teologo svizzero indica in questa capacità di zittirsi al punto da poter udire la voce divina («Dio parla dolcemente; è molto facile coprire la sua voce») un primo aspetto della grandezza di Luisa Jacques; il secondo è il riconoscimento profondo della libertà che il Signore lascia alle sue creature («Tra la libertà umana e l’offerta divina c’è il mistero… mistero dell’azione congiunta dell’impotenza e dell’onnipotenza divina»); il terzo, quello forse più difficile per i credenti di oggi, è l’adesione al cosiddetto «voto di vittima», che si concretizza nel «grado sommo di disponibilità e di non-resistenza a tutte le decisioni di Dio», e in questo sr. Maria si allinea a una lunga tradizione che va dai Padri della Chiesa ai mistici medioevali, da sant’Ignazio a Fénelon.

Il «corteo introduttivo» di cui parlavo all’inizio prosegue con la lettera del 1942 del patriarca di Gerusalemme Luigi Barlassina al primo curatore degli scritti di sr. Maria, Silvère van den Broeck; poi con la Prefazione dei curatori  della nona edizione del 2004, Claudio Bottini e Lino Cignelli, i quali danno notizia della composizione del volume (si tratta della prima edizione integrale) e prendono le distanze dalla discussione sui possibili disturbi psicologici sofferti dalla giovane clarissa. Discussione che trovava spazio invece della nota del primo traduttore del Colloquio, Francesco Canova, di seguito ristampata. Le parole usate dal medico missionario, figura assai importante nella diffusione della conoscenza di sr. Maria della Trinità, sono all’insegna della cautela: «Il volume che presentiamo comprende nella loro traduzione letterale (tanto letterale da rispettare anche la poca chiarezza che in alcuni passi ha il testo francese) una breve autobiografia di Suor Maria della Trinità ed un mirabile colloquio che ella avrebbe avuto con una voce che le risuonava dentro l’anima e da cui venne stimolata e sorretta nella difficile via della perfezione» (il corsivo è mio). E più avanti, ancora più esplicitamente: «Quanto alla natura ed all’origine del contenuto del Colloquio interiore è ovvio che non intendiamo pronunciarci in alcun modo, ogni cautela ed ogni circospezione in tale materia sembrandoci più che giustificata. Malgrado il rispetto che noi abbiamo per un’anima tanto tormentata, è però lecito chiederci se esso sia l’eco di ineffabili esperienze o non piuttosto l’espressione delle fantasticherie di una mente troppo fervida ed esaltata». Di un’isterica, in sostanza, riassume il medico, che, ricordiamoci, scrive nel 1955. Pur non scostandosi dall’espressione di «voce interiore», il medico dedica interamente la seconda parte della sua Prefazione a confutare il sospetto di «quella malattia certamente più morale che fisica che è l’isterismo».

L’attesa per le parole di sr. Maria è a questo punto sempre più grande, ma non è ancora giunto il momento di ascoltarle.

(1-segue)

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  1. Suor Maria della Trinità (Clarissa di Gerusalemme), Colloquio interiore. Dalla conversione all’ascolto della voce divina, prefazione di Hans Urs von Balthasar, Edizioni Terra Santa 2015.
  2. Giovanni Claudio Bottini, Suor Maria della Trinità: un piccolo seme che porta frutti nella Chiesa, in «Forma Sororum» 54 (2017), 5-6 (settembre-dicembre).
  3. I manoscritti originali sarebbero, ahimè, andati perduti nel 1945 a causa di un furto perpetrato nello studio del Padre Custode di Terra Santa.
  4. Dove ho ritrovato quell’immagine e anche altre: Clarisse a Gerusalemme. Custodia di Terra Santa.

 

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