Dice Gregorio di Nazianzo, nella seconda metà del IV secolo, nei suoi epigrammi:
Come è difficile sfuggire al turbamento per la vicinanza dei corpi. / Perciò, monaci, [state]mi lontano dalle donne. / Molti infatti sono i segreti delle unioni, anche prima delle nozze, / attratto dai quali l’occhio insozza l’anima.
Monaci, fate la vita dei monaci. / Se vivete con le agapete, non [siete] monaci. La coppia [vi sia] estranea. / L’unicità è l’immagine della gloria angelica. Se con le agapete / vi dilettate, siete amanti della coppia [che è cosa] mortale. / Sono persuaso, tu vivi da casto con una casta, ma è una donna.
Leggo nel sempre convincente Théron (Piccola enciclopedia delle eresie cristiane) che le agapete (dal greco agapaô, «amo», quindi «amate, dilette») erano «ragazze o vedove che i monaci accoglievano nei loro monasteri» (esisteva anche la variante a ruoli inversi). La promiscuità era ammessa poiché «niente è impuro per delle coscienze pure». Nonostante il richiamo diretto all’insegnamento attribuito a Gesù («Se il tuo occhio è sano, anche il tuo corpo è tutto nella luce; ma se è malato, anche il tuo corpo è nelle tenebre», Lc 11:34) e alla sua dura critica all’ipocrisia farisea, furono attaccate, oltre che da Gregorio, da molti Padri della Chiesa, combattute, screditate, accusate di pratiche innominabili e infine soppresse dal Concilio Lateranense del 1139, sembrerebbe a riprova comunque di una lunga resistenza.
Le agapete «finirono davvero nel diabolico, come molte volte fu loro rimproverato?» si chiede Théron. «Se è così, mi sembra veramente un peccato: vorrebbe dire che ciò che vi è di più bello al mondo, la trasfigurazione di ogni essere vivente e di ogni cosa per opera dello sguardo ad essi rivolto, è difficilmente realizzabile.»
Gregorio di Nazianzo, Epigrammi 19, 20, in Epitaffi. Epigrammi, a cura di L. Coco, Città Nuova 2013, p. 67.