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La «vertigine della lista» (Voci, 34)

Encyclopédie_théologique_20 Si sa, nell’oceano fantastico (in più sensi) dell’erudizione, tra l’altro molto più accessibile di un tempo, ci si imbatte spesso in indici, cataloghi, liste che sprigionano, tra le altre cose, uno straordinario potere ipnotico. Riporto qui l’ultimo esempio che ho incontrato perché, se ci si ferma un istante, dai nomi di quell’elenco emergono, seppur indistinguibili, i volti di una schiera infinita di persone. È tratto dall’introduzione al volume ventesimo dell’Enciclopedia teologica, del Migne1, primo dei quattro dedicati agli ordini religiosi, che riprende e integra il Dizionario degli ordini religiosi del p. Helyot.

* * *

Talvolta ci estasiamo eccessivamente al cospetto delle creazioni del Medioevo, ma come non ricordare che gli edifici gotici non sono apparsi sulla terra da soli, e che i chiostri desolati di cui ammiriamo le rovine, di cui malediciamo la distruzione, non erano certamente più apprezzabili dei monaci che hanno ospitato? Gli amanti dell’arte non sono gli unici a piangere questo atto vandalico. Gli stessi protestanti non sono forse del medesimo parere che sia stato il fanatismo, un’empietà, diciamo antipatriottica, a privare l’Europa di questi asili della pietà, del pentimento e dello studio? Li abbiamo visti numerare le pietre dei porticati, i pilastri troncati dei nostri antichi monumenti cattolici, e trasportare tali testimonianze oltre la Manica, per conservarne il ricordo grazie a musei di nuovo tipo. Più sovente, e ovunque, abbiamo visto l’artista, dopo aver sognato e pianto all’ombra dei resti di un chiostro, che il martello dell’operaio avrebbe dovuto abbattere l’indomani, affidare il frutto delle sue impressioni alla matita o al pennello. Così sono arrivati a noi alcuni frammenti di Cluny, di Savigny, di Jumièges, ecc. Ma perché lasciare che la memoria degli uomini si spenga? Diciamo meglio, delle congregazioni a cui dobbiamo questi prodigi, delle società alle quali le lettere e le arti sembrano tributare tanta riconoscenza?

[…]

L’opera che intraprendiamo è il miglior rimedio ai mali prodotti dalle passioni e dai pregiudizi. E dimostrerà che gli ordini religiosi non meritavano né il disprezzo né le persecuzioni di cui furono fatti oggetto; mostrerà che lo spirito del Vangelo durerà tanto quanto il Vangelo, e produrrà meraviglie di perfezione anche ai nostri giorni. Lo giudicheremo dall’indicazione di alcune delle società di cui dovremo parlare, e che nomineremo qui senza obbligarci a seguire l’ordine cronologico.

1. Tra le congregazioni omesse da Hélyot, citeremo i fratelli detenuti di Vendôme, e altre istituzioni simili; la Congregazione dei Benedettini di Chalais, detti Calésiens, sui monti della Chartreuse; le Congregazioni dell’Oratorio, in Provenza; il Seminario dello Spirito Santo; i Benedettini della Congregazione del Paraclito; gli Ospitalieri della Misericordia di Gesù; le Suore dell’Educazione Cristiana di Fougères; le Suore dello Spirito Santo, dette sorelle bianche; i Paolini; la Congregazione di Nostra Signora del Canada; le Suore di Sanata Marta d’Angoulême; le Suore di Sant’Agnese, società d’istruzione della diocesi di Puy; le Suore della Carità e dell’Educazione Cristiana di Nevers; ecc.

2. Tra quelle che si formarono successivamente citeremo i Passionisti Società della Penitenza; i missionari dello Spirito Santo, o Compagnia di Maria; la Congregazione degli Eremiti di Mont-Valérien; la Società del Prezioso Sangue; i Redentoristi; la Società del Sacro Cuore; la società dei Padri della Fede di Gesù; la società dei Sacri Cuori di Gesù e Maria, detta Picpus; i Marianiti; i Sacerdoti Poveri; la società dei Preti dei Ritiri eremiti di Valloires; i Padri della Misericordia, i fratelli dell’Educazione Cristiana; i fratelli dell’Educazione Cristiana, congregazione bretone; varie società di fratelli sotto l’invocazione di San Giuseppe e altri; la Congregazione di Carità di Mr. Rosmini; gli Oblati di Maria; il Terz’Ordine di Nostra Signora della Trappa; gli Oblati dell’Immacolata Concezione, a Marsiglia; i Mechitaristi; i fratelli delle Buone Opere; gli Eremiti di Nostra Signora di Liesse; i sacerdoti del Sacro Cuore di Tolosa; i Maristi; i missionari della Congregazione della Conferenza di Napoli; la società di Nazaret, Neufchâtel; la Compagnia di San Giuseppe, a Saint-Fuscien; la Congregazione di Nostra Signora della Santa Croce, a Le Mans; la società dei fratelli di Sion-Vaudemont; i chierici di Saint-Viateur; la società dei Preti di Saint-Méen; i fratelli della Sacra Famiglia; la società di San Luigi di Juilly; varie congregazioni di missionari; la società secolare del Sacro Cuore; i fratelli Agronomi, ecc.; la comunità di Sainte-Aure; i Norbertini; le ragazze di Sant’Agata; le figlie di Santa Margherita, la comunità di monache di Auneau; le Suore della Sapienza; le Suore della Carità di Evron; le monache della Congregazione del Santissimo Redentore; le Suore di Ernemont; le Suore degli Esercizi; le Suore di Sant’Alessio, di Limoges; le Suore della Presentazione, di Tours; le Suore di San Maurizio, di Chartres; le Suore della Congregazione dei Sacri Cuori di Gesù e Maria, dette Zelote; le monache delle Congregazioni del Terz’Ordine di Nostra Signora della Trappa; le monache del Sacro Cuore; i Benedettini del Sacro Cuore di Maria; le Suore di San Carlo; le Suore del Sangue di Gesù; le Suore del Santissimo Sacramento, a Mâcon; le Suore della Croce, dette di Sant’Andrea; le monache dell’Immacolata Concezione, di Roma; i fedeli compagni di Gesù; la comunità delle Suore Paccanariste; la Congregazione della Madre di Dio; le sorelle di San Giuseppe di Cluny; le Orsoline di Gesù, dette di Chavagne; le Dame della Carità di San Luigi di Vannes; le figlie di Santa Genoveffa; i Celestini; le Suore della Misericordia della diocesi di Séez; le Suore della Misericordia, conosciute fin dalle Scuole Cristiane come Suore della Provvidenza, di Porthieux; le Suore della Provvidenza, di Ruillé; altre società omonime; le Dame di Santa Clotilde; la Congregazione di Nostra Signora, in Belgio; le sorelle della Dottrina Cristiana; le Dame degli Esercizi, della Società di Maria; le Suore del Sacro Cuore, della diocesi di Rouen; le Suore della Misericordia, in Inghilterra; le Suore di Gesù Maria, in Irlanda; le Suore di Gesù Maria, della Società di Lione; le Suore di Santa Sofia; le Suore del Buon Salvatore, della casa di Caen; le sorelle di Nostra Signora Ausiliatrice o del Buon Soccorso, dette Gardes-Malades; le Suore della Sacra Infanzia, le Suore della Sacra Famiglia; le Suore della Natività; le Dame della Santissima Trinità, di Valencia; la Congregazione di Nostra Signora dei Sette Dolori, per i sordomuti; le monache di Loreto; le monache trinitarie della congregazione di San Giacomo, diocesi di Coutances; le Suore di San Giuseppe dell’Apparizione; le Suore della Compassione della Beata Vergine; le Suore dell’Immacolata Concezione di Castres; le monache dell’Assunta; le Suore di San Gildo; le Suore di Santa Maria; le sorelle di San Luigi, di Juilly; le Suore di Nazaret, della diocesi di Parigi; la società delle Suore di Rillé, a Fougères; le figlie del Sacro Cuore di Maria, di Niort; le figlie della Santa Vergine; e varie case, che vivono sotto una regola speciale, come la società secolare del Sacro Cuore, il Terz’Ordine del Monte Carmelo, la Congregazione del Sacro Cuore di Maria degli Eudisti, ecc.

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  1. Enciclopedia teologica, o Serie di dizionari su tutte le parti della scienza religiosa che offrono in francese la teologia più chiara, facile, comoda, variata e completa. Tali dizionari riguardano: Sacra Scrittura, sacra filologia, liturgia, diritto canonico, eresie e scismi, libri giansenisti, messi all’Indice e condannati, proposizioni condannate, concili, cerimonie e riti, casi di coscienza, ordini religiosi (maschili e femminili), legislazione religiosa, teologia dogmatica e morale, passioni, virtù e vizi, storia ecclesiastica, archeologia sacra, musica religiosa, geografia sacra ed ecclesiastica, araldica e numismatica religiosa, religiosi varie, filosofia, diplomatica e scienze occulte. Pubblicato [in 50 volumi] dal signor Abate Migne, editore di corsi completi su ogni ramo della scienza religiosa.

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Strade, navi, fortezze… (Voci, 33: Umberto da Romans)

MaximaBibliotheca È nel clima delle polemiche sviluppatesi nella seconda metà del XIII secolo circa la diffusione (incontrollata?) degli ordini mendicanti che il domenicano Umberto da Romans, concluse le fatiche del generalato nel 1263, durante il quale molto fece per la riforma dell’Ordine, inserì nel suo trattato De eruditione praedicatorum un breve capitolo assai significativo, intitolato:

Ai nuovi religiosi di qualunque genere

Riguardo a questi, va detto anzitutto che non è per niente facile inaugurare una nuova religione, né senza una causa molto ragionevole. Una nuova religione, infatti, è come una nuova via verso il cielo, secondo ciò che è detto della religione cristiana nella Lettera agli Ebrei (10): «Vi ho annunciato una nuova via». È come una nuova nave costruita per sfuggire ai pericoli dei mari del mondo. È come un nuovo accampamento o una nuova fortezza in cui rifugiarsi se il nemico ci insegue. Sicché quando le antiche strade vengono distrutte, o le vecchie navi demolite, o gli accampamenti che un tempo erano un luogo di rifugio vengono abbandonati, è ragionevole che si creino nuove religioni per perseguire quei benefici. Ma se le antiche vie sono ancora buone, e le vecchie navi ancora sane e intatte, e gli accampamenti ancora forti e in buone condizioni, a cosa servono religioni nuove?

Si badi che tali religioni non possono essere iniziate qua e là e proposte da chicchessia, a meno che non siano davvero autentiche, o per dono di Dio, o per capacità acquisite, come fu in passato con Basilio, Agostino e Benedetto, grandi iniziatori di religioni. Se infatti in una grande città non si trovano buoni maestri per i diversi mestieri e le diverse necessità, come potrà qualcuno essere un saggio e idoneo maestro per una nuova opera? Non tutti, inoltre, devono essere ammessi alla fondazione di simili edifici: così come non può chiunque porre le pietre a fondamento delle case, ma deve essere scelto, come avvenne per la Chiesa fondata dagli Apostoli e dai loro discepoli, i quali, sebbene in principio fossero pochi, furono resi grandi da Cristo con molti doni di grazia. Ancora, tali religioni non possono sorgere all’improvviso, per iniziativa personale, ma sotto l’autorità del Vicario di Gesù Cristo, che all’inizio le tiene per così dire sotto attenta osservazione. Quale padre, infatti, senza il suo espresso comando, accetta una famiglia di servi? Pertanto, affinché tali religioni possano nascere e crescere in modo lodevole, devono concorrere una piena capacità nell’iniziatore, un’adeguata idoneità nei primi seguaci e l’autorità del sommo presule prima della nascita.

In terzo luogo è da notare che nello svolgimento dell’opera deve essere posta sapienza, secondo l’esempio di colui che nei Salmi dice: «Hai fatto tutto con sapienza». E perciò in quest’arte bisogna consultare i saggi maestri, come fanno coloro che vogliono costruire saggiamente. […] Anche in questo caso dobbiamo ricorrere ai modelli precedenti, poiché anche il Signore comanda a Mosè di fare tutto secondo l’esempio che gli è stato mostrato sulla montagna. Quale sapienza infatti può introdurre tante novità mai viste prima negli usi, nei doveri e negli altri statuti? Non sono forse gli stessi maestri a creare dei modelli? Allo stesso modo dobbiamo stare bene attenti a non emanare statuti o regolamenti che non possano essere osservati a causa della fragilità umana, altrimenti coloro che vivranno in quella religione non saranno al sicuro. Non è saggio costruire per il Signore una casa nella quale egli non possa abitare senza pericolo.

Molte altre sono le cose che derivano da questa sapienza. E ci deve essere costanza, poiché numerosi avversari sono soliti insorgere contro queste nuove religioni, come contro le nuove fortificazioni… Allo stesso modo, i primi fratelli di queste religioni cadono spesso nell’apostasia, e vanno incontro a fatiche e difficoltà di vario tipo. Perciò è necessario che siano costanti nella costruzione di questo genere di edifici, affinché, a causa degli avversari, o per un crollo, o per la continua stanchezza, l’opera iniziata non venga interrotta, ma conclusa con tenacia.

♦ Umberto da Romans, De eruditione religiosorum praedicatorum, II, 42, che ho letto in (e in qualche modo tradotto da) M. de la Bigne, Maxima bibliotheca veterum patrum, vol. 25, Lyon 1677, su «indicazione» del saggio di C. Caby, Fondation et naissance des ordres religieux. Remarques pour une étude comparée des ordres religieux au Moyen Âge (2007).

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Dai dotti e parimenti dagli indotti (Voci, 32)

HistoriaMonastica Nel 1561, e in edizione accresciuta nel 1575, Pietro Ricordati (anche Calzolari), monaco benedettino e «indagatore eruditissimo», dà alle stampe una monumentale Historia monastica, un «enorme zibaldone storico-narrativo, in forma di repertorio cronologico» che mira a ricordare al mondo la gloria passata dell’ordine benedettino che all’epoca si diceva ampiamente decaduto. Con evidente riferimento al modello boccaccesco, l’immensa materia è ordinata – o forse bisognerebbe dire accatastata – in cinque giornate ed esposta in forma di dialogo, di reciproco racconto, tra un gruppo di religiosi, avviato in uno dei chiostri del monastero di Santa Giustina a Padova.

Verso la metà della quarta giornata, nella quale «si raccontano gl’huomini dotti, che sono stati Monaci, che in qual si voglia professione hanno scritto», si legge un breve profilo del monaco tedesco noto prevalentemente come Niccolò Germano, attivo nella seconda metà del secolo XV. Un piccolo ritratto che è l’occasione per un’interessante precisazione.

* * *

Di Niccolò Cosmografo.

Dopo costui [il monaco cui era dedicato il profilo precedente, Andrea Tedesco] fu fra i Tedeschi un altro gran Litterato Monaco chiamato Niccolò, il quale hebbe delle sacre lettere assai buona cognizione, ma nelle scienze humane fu consumatissimo. Studiò molto svegliatamente la Cosmografia di Tolomeo, e la ricorresse, e la restaurò con gran giudizio e diligenza. Onde è miracolosa cosa il vedere adesso la Cosmografia di esso Tolomeo, da lui ricorretta con le sue pitture, e nuove tavole diligentemente ordinate, e con grande accortezza ricorrette. Scrisse sopra tal materia sette libri, i quali dedicò a Papa Paolo secondo. Un libro de’ Luoghi maravigliosi. Uno di pistole a più persone, & altre cose non poche. Visse sotto Federigo terzo intorno a gl’anni del nostro Salvatore 1470.

Ripigliando qui le parole, M. Bernardo [Olgiati, gentil’huomo di Como] disse: «Io credo che uno il quale, in un luogo dove fussero più persone, dicesse, senza venire al particolare, che i Monaci non solo hanno promossa la Teologia, e condottala a perfezzione, ma tutte l’altre scienze ancora, come la filosofia naturale e morale, la Medicina, l’Astrologia, Cosmografia, Geometria, Musica, Rettorica, Poetica, e parimente le leggi e politezza delle lingue, sarebbe da tutti sbeffato e schernito. Perché se bene si sa che quel Costantino aiutò & arricchì l’arte della Medicina, componendo e traducendo tante e sì belle cose d’essa facultà, e che la Musica è stata ridotta in su la Mano, e che è stato fatto il Decretale, & il Decreto, e che quel Panormita fu la lucerna delle leggi, e che questo Niccolò abbia tanto maravigliosamente illustrato Tolomeo, e che quell’Ambrogio, e tanti altri, habbino avuto sì gran cognizione delle lingue, & arricchita la latina col tradurre tante belle opere della Greca: non dimeno non si sa che quelli che queste cose hanno fatte sieno stati Monaci. E se bene si sa per tutti che S. Bernardo è stato Monaco, non però sa il mondo ch’egli per la Republica Christiana tanto s’affaticasse, trovandosi in tanti Concilij a disputare contro a gl’heretici e scismatici; né che i Papi e gl’lmperadori, i Re & altri Principi si governassero nelle cose importantissime secondo il suo consiglio. Però io pagherei buona cosa che ciò che qui s’è detto si sapesse da tutti gl’huomini. Perché gl’indotti harebbono molto più rispetto e reverenza all’ordine Monastico, che non hanno. E i litterati si terrebbono non poco a esso ordine obligati. E s’io fussi uno di voi altri Monaci, vorrei comporre un libro di tutte le cose che qui fra noi si sono dette, e diranno, per isgannare il mondo, che crede che la maggior parte de’ Monaci, e per il passato & al presente, si sieno dati e si dieno all’ozio, né sappiano far altro che cantar in Coro & andare in refettorio; e lo vorrei fare stampare in lingua volgare, acciò che dai dotti e parimente da gl’indotti potesse esser letto».

Rispose D. Gris[ostomo Niccolini, monaco fiorentino]: «Don Pietro qui nostro ha più volte havuto capriccio di far una simil cosa, come voi dite, e forse un dì la farà. Ma per non perder tempo, e perché mi pare che s’avvicini la sera, ripiglierò il mio parlare».

♦ Historia Monastica, di D. Pietro Ricordati, già Calzolari, da Buggiano di Toscana, Monaco e Decano di S. Paolo fuor di Roma, della Congregazione di Monte Casino, distinta in cinque giornate. Di nuovo dall’autore stesso con somma diligenzia rivista & accresciuta di molte cose notabili, in Roma appresso Vincenzio Accolti, l’anno del Giubileo 1575.

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Le cicogne di Chiaravalle (Voci, 31)

RuscaBreveDescrizione Da cento anni in qua il Monasterio non è più chiamato Caravalle, ma Chiaravalle, essendo fatto raro di fabbriche, d’entrate, e rarite le sostanze, e però è fatto chiaro e Chiaravalle; sono deteriorate l’entrate, e migliorato l’aria, e fatta più chiara, e per[ci]ò le Cicogne, solite a nidificare in questo Monasterio, si sono levate, se bene si adducono altre ragioni, e sono queste. Mentre Attila flagello di Dio assediava la Città di Aquileia, e Ezzelino s’accingeva alla rovina d’un ben munito e forte Palazzo, le Cicogne, che facevano il nido in durevoli e alti luoghi delle fabbriche, trassero i nidi e l’ova in sicuro, abbandonando i luoghi che presto dovevano rovinare. Le Cicogne, dunque, che sicuramente nidificavano sopra a campanili, a camini e altri luoghi eminenti del Monasterio di Chiaravalle fino a 20 nidi, si partirno di questo luogo l’anno 1574, prevedendo la gran Peste che venne nello Stato di Milano e in altre Città d’Italia l’anno 1575, e la perpetuità [dell’abbaziato] che doveva essere introdotta nella nostra Congregazione l’anno 1580 d’alcuni Abbati che non ebbero grazia di morir contenti.

Usa per arma e per insegna il Monasterio di Chiaravalle questo pietoso uccello, il quale vedendo il padre e la madre vecchi e spennati li colloca nel proprio nido, li porta il cibo e si spiuma per coprire le nudità dei genitori; così i Monaci di Chiaravalle, per esser caritativi verso i poveri e afflitti, come di sopra abbiamo detto, usavano per insegna questo uccello che nidificava nel Monasterio in tanta quantità che si sono veduti 20 nidi; per ogni nido era cinque ovi, di modo tale che quando si volevano partire, si vedeva nell’aria tanta quantità di Cicogne che non si poteva vedere il Sole, e facevano a modo d’una mostra, con gran piacere delli monaci, che vedevano nell’aria tanta quantità di Cicogne scherzare e fare la loro rassegna prima che partissero, che era intorno alla festa di S. Lorenzo del mese d’Agosto, e venivano a mezzo al mese di Febraro, ma né a venire, né a partirsi vedevano mai, perché vengono e partono di notte.

Usa ancora il Monasterio questo uccello per arma perché solevano i Regi portarla nelli scettri, per insegnare la misericordia e pietà a quelli che reggono e hanno il modo di sovvenire ai miseri. Però gli Abbati nelli Bastoni Pastorali nel risorto solevano mettere un capo di Cicogne, come nelle pitture antiche si vedeva, per denotare la pietà paterna, volendo dire Abbate, Padre, In quo clamamus Abba Pater, dice l’Apostolo.

Il Monasterio di Chiaravalle usa ancora questo uccello per insegna per un miracolo occorso al tempo di Filippo Maria Visconte Duca di Milano e di D. Antonio Fontana Abbate di questo Monasterio, raccontato da me nel 3° libro dell’Historia della famiglia Rusca, stampato in Venezia l’anno 1610.

Voleva Filippo Maria Visconte Duca di Milano l’anno 1386 gettare i fondamenti grandi per fabbricarle sopra una sontuosissima e grandissima Chiesa, siccome la voleva dedicare alla maggior Vergine, alla maggior madre e donna che fosse e sia per esser mai, così voleva che la macchina fosse la maggiore di grandezza, di bellezza, che fosse non solo nella Città, ma fuori per molte e molte miglia. E per darle principio con quella maestà che si richiedeva a sì gran fabbrica, che a sì gran donna voleva erigere, volse ancora che un gran Clero si ritrovasse per mettere la prima pietra nelli fondamenti. Per[ci]ò invitò tutto il Clero della gran Diocesi, tanto secolare quanto regolare, e per tale effetto mandò a Chiaravalle suoi nunzii a invitare l’Abbate con suoi monaci. L’Abbate, sentendo che il Duca voleva fare opera sì celebre ad onore della Beata Vergine Maria madre di Dio, rallegrandosi, rispose a quelli che l’invitavano che non solo sarebbe andato con i monaci, ma con le Cicogne, per onorare sì grande e pietosa opera. Pensarono i nunzii del Duca che l’Abbate avesse detto d’andare a Milano con le Cicogne fosse una esagerazione e una iperbole della pronta volontà dell’Abbate di compiacere al Duca. Ma quando videro l’effetto, restarono stupiti. Perché partì l’Abbate dal Monasterio con i monaci e le Cicogne sorvolando a due a due, sopra al capo delli monaci combinati, per Milano, così andando con tanta meraviglia del popolo Milanese quanto credere si possa, non essendo più veduta né sentita una simile cosa, e però anco per questo per arma fu preso la Cicogna e coronata di corona d’oro in segno di vittoria, perché le Cicogne sono vittoriose delli serpi, e i monaci di quel serpe attossicato, del quale parla Giobbe nel capitolo 26 [«Al suo soffio si rasserenano i cieli, la sua mano trafigge il serpente tortuoso»], che è il Demonio, col quale sempre hanno di combattere e riportarne vittoria, come la Cicogna del Serpe, per esser poi da Dio coronati là su in Cielo.

♦ Roberto Rusca, Breve descrittione del Monasterio di S. Ambrogio Maggiore di Milano; et sua Chiesa de Cisterciensi Monaci. L’origine della Congregatione Cisterciense di Lombardia, con la descrittione del Monasterio di Chiaravalle di Milano, in Bergamo, per Pietro Ventura, 1620, pp. 29-31 (con qualche normalizzazione ortografica).

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Perché non si fastidiscano i prossimi (Voci, 30)

IstruzioneNovizi Capitolo XIV. Della modestia in commune

La modestia, ch’è una moderazione de’ movimenti esteriori, par che tiri l’origine dalle virtù che abbiamo dichiarate, particolarmente dalla castità, umiltà, mansuetudine e pazienza: perché quell’ordine interiore de’ buoni affetti produce la composizione delle parti esterne dell’uomo, come un frutto bellissimo da vedersi. […] Con tutto ciò aggiungiamo le regole per comporre l’uomo esteriore secondo la disciplina de’ santi Padri, onde osservi quel decoro.

Il capo. Il monaco di maniera deve moderare il capo che non lo porti alzato, né chino, né piegato a questo o a quel lato. Quando cammina, se si sente chiamar da dietro da chi chi sia, non rivolti solamente il capo, ma tutto il corpo. Né allora lo muova con molta fretta, ma riposatamente, come deve fare tutte le volte ch’è necessario muover il capo. Da sé farà ciascuno altre cose modestamente se si ricorderà delle cose che abbiamo dette; ma quel ch’appartiene a gli occhi si tratterà separatamente.

Le braccia. Le braccia s’hanno da muovere in maniera, ogni volta che bisognerà far alcuna cosa, che si fugga l’eccesso, perché né conviene stenderle molto ad usanza de’ secolari, come s’avesse a far mostra della forza, né con difficoltà, come se rincrescesse il faticare. Ma nel coro si devono piegare in modo che stiano alzate al petto, e che si tenga il breviario con l’una e l’altra mano, perché è brutto il tenerlo sotto lo stomaco, brutto il nascondere l’una delle mani, e brutto ciò che dimostra dappocaggine. Nell’orazione le braccia siano inserte sotto la pazienza [qui per capo dell’abito religioso, scapolare], o solamente le mani congiunte si compongano in modo che scaccino la languidezza nemica dell’orazione. Nel refettorio, quando si dà il segno per mangiare, si stendano le braccia lentamente, acciò non paia che la concupiscenza le stimoli. Ne gli altri luoghi (che non è necessario raccontare ad uno ad uno), quando non occorre far alcuna cosa, le mani composte presso la fibbia del cingolo, conservino una modesta positura di sé e delle braccia.

Le gambe. Bisogna governar le gambe di maniera che si compongano con piegarle e stenderle ugualmente, ogni volta che qualche ceremonia particolare non esclude alcuna di loro. Et è da guardarsi di sopraporre piede a piede o gamba a gamba, o ch’in altro modo inusitato entri sconvenevolezza.

Tutto il corpo. Nel camminare bisogna in modo comporre tutto il corpo che non vada né teso, né rimesso (il che appartiene alla disposizione di lui), né camini con fretta, o con lentezza, il che appartiene al moto. Nel sedere, o sia nel coro, o nell’oratorio, o nel refettorio, o nel luogo della ricreazione, o nella cella, o altrove, non stia curvo, né troppo ritto, né distorto, né d’altro modo sconcio che mostri languidezza d’animo, o per il contrario affettazione. Di notte giaccia coperto nel letto come in un sepolcro, perché qualche parte scoperta non offenda gli occhi. Di giorno, nella cella, stando in piedi, inginocchiandosi, o sedendo così compongano il corpo senza appoggiarsi, che quelli che entrano all’improvviso non restino offesi dal vederlo. Finalmente tutto quello ch’offende la vista de gli altri, o di se stessi, si fugga da’ religiosi con diligenza.

L’azione del corpo in compagnia d’altri. Quando si sta per esempio appresso qualche padre, o fratello, bisogna fuggir la molta vicinanza, o distanza, ma attaccarsi al mezzo, che stia bene alla cosa della quale si tratta, il che si conoscerà dalle circostanze. Quando si cammina insieme bisogna avvertire che non si dia fastidio o con l’andar innanzi, o co’l tardare, o con l’impedire gli altri, o con l’urtare gli altri ne’ fianchi, o con altri abusi del camminar modesto. Quando si siede bisogna guardare che con l’accostarsi troppo a gli altri, o con l’impedire la vista, o l’udito delle cose che si dicono, o con qualsivoglia altro modo poco conveniente non si generi fastidio. Et in ogni positura del corpo di maniera s’adattino al corpo le vesti, che siano acconce e coprano tutte le parti, nelle quali (come nelle celle, libri e tutte l’altre cose) lodiamo la nettezza, perché non si fastidiscano i prossimi.

♦ Giovanni di Gesù-Maria (1564-1615), L’istruzione dei novizi (1605) – Instruttione di novitii, composta in lingua latina dal molto R.P. Fra Giovanni di Giesù Maria, Preposito generale della Congregatione de’ Carmelitani Scalzi, et hora per commune utilità tradotta nella volgare, Roma, per Giacomo Mascardi, 1612. [Con qualche leggera normalizzazione ortografica.]

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Ogni consolazione che noi addomandiamo per utilità di nostra vita (Voci, 29; san Gregorio Magno)

Gregorio MoraliLa condanna al «non va mai bene niente» in una mirabile pagina di san Gregorio Magno, dal libro VIII dei suoi Moralia in Job (in un volgarizzamento trecentesco, ancorché un po’ «succinto»):

Questo [le conseguenze della superbia dell’uomo] vedremo noi più chiaramente se in questa natura atterrata noi consideriamo in prima la gravezza della carne, e appresso quella del corpo. E per questo mostrare non voglio che diciamo de’ diversi dolori che noi sostegnamo, né delle percussioni delle febbri dalle quali siamo continuamente affannati, né delle molte e varie infirmità corporali. Ma senza questo possiamo dire che ogni sanità del nostro corpo sia piuttosto infirmità. Or vedi questo chiaramente: se noi stiamo in ozio, o in pigrizia, il corpo si guasta; se stiamo in esercizio, vien meno per fatica; spesse volte il corpo ha fame, e allor conviene che col cibo sia sostentato; quando è troppo ripieno di cibo, o che è affannato per troppo mangiare, convien che sia alleggerito con astinenza. Spesse fiate si bagna, acciocchè non si guastasse per troppo umidore. Vedemo ancora che tale nostra natura convien che alcuna volta sia affaticata, acciochè non si corrompesse per troppo riposo; altra fiata conviene che si riposi, acciocchè non venisse meno per troppa fatica; dopo la fatica del vegghiare convien che si ripari col sonno. Quando è gravata di troppo dormire, s’aiuta col vegghiare. È coperta di vestimenti, acciocchè non si guasti per lo freddo; quando ha ricevuto troppo caldo prende il refrigerio del vento. E in questo modo riceve in sé medesima difetto per quella cosa per la quale ella si pensava fuggire. Sicché possiamo dire che la natura nostra, essendo così male ferita, sente sempre nuove infirmità per la medicina sua. Per la qualcosa ben possiamo dire che senza le febbri e i continui dolori ogni nostra sanità sia piuttosto da esser chiamata infirmità, dipoichè mai in essa non manca il bisogno della medicina: onde ogni consolazione che noi addomandiamo per utilità di nostra vita si può chiamare medicina contra alcuna infirmità che noi sentiamo. Sicchè quanti sono i diletti, ovvero sollazzi corporali, tante si può dire che sieno le nostre infirmitadi, e ogni medicina la quale noi prendiamo per fuggire tali infirmità, ritorna in infirmità nuova; perocchè usando noi un poco superchio il rimedio che noi prendiamo, ci ritorna in infirmità quello che noi abbiamo preso per medicina.

E certo ben fu convenevole che in questo modo fusse corretta la nostra presunzione e così abbattuta la nostra superbia. Onde perché una volta avemo lo spirito superbo, ecco che continuo portiamo con noi il loto, cioè la corruzione di questo corpo.

Ora veggiamo se noi siamo gravati d’infirmitadi della parte dell’anima. Certo non sono minori le sue gravezze che quelle del corpo. L’anima nostra, dipoichè fu schiusa da quella sicura allegrezza de’ veri beni, certo continuamente sente nuove afflizioni. Che ora è ingannata per speranza, ora è angosciata per paura; ora vien meno di dolore, ora è rilevata per falsa allegrezza. Con tutta sua pertinacia ama queste cose transitorie, e quando le perde è abbattuta senza consolazione, perocchè essendo essa sottoposta a queste cose mutabili conviene che si muti secondo la mutazione di quelle: onde quando ella addomanda quel che ella non ha, se lo prende alcuna fiata con sua fatica; e quando l’ha ricevuto, le incresce d’averlo addomandato con tanta sollecitudine. Spesse volte ama quello che essa aveva avuto in dispregio, e spesse volte dispregia quello che essa amava. Alcuna volta la mente con molta sua fatica riceve alcun conoscimento delle cose eterne, e subitamente le passano della memoria, se ella comincia punto a voler rimanere di tale fatica con molto affanno, e per lungo tempo va investigando di poter sentire alcuna particella di quelle cose di sopra; ma di poi l’è molto più agevole a ricadere tosto a quello ch’ella aveva usato di fare, e così non sa perseverare eziandio per picciol tempo in quello che essa aveva trovato. Desidera l’anima d’essere dirozzata, cioè di diventare savia, e con molto suo affanno vince in sé medesima alcuna volta la cecità della ignoranza: e dipoichè è diventata bene ammaestrata le conviene combattere contra la vanagloria della scienza sua. Affaticasi ancora l’anima, e appena si può sottomettere la iniqua tirannia della carne sua; e nientedimeno dopo questo si sente in sé medesima l’immagine della sua colpa, la quale essa aveva già vinta di fuori di sé coll’opera.

Levasi la mente a contemplare l’altezza del suo creatore, ma appresso ella è confusa della oscurità delle cose corporali. Vuole ancora la mente considerare di sé medesima, come ella, la quale è senza corpo, regga il corpo suo, e non può. Va ricercando quello che potesse rispondere a sé medesima, e a questo non è sufficiente: e così vien meno in quello che ella con molta prudenza addomandava. E in questo modo possiamo dire ch’ella si vede esser grande e piccola, larga e stretta; perocchè se ella non fusse larga, già non andrebbe cercando cose tanto malagevoli ad investigare: e dall’altra parte s’ella non fusse stretta, già troverebbe quello ch’ella addomanda. Ben dice adunque: Tu m’hai posto contrario a te, e sono fatto grave a me medesimo. E certo così è vero, perocchè l’uomo così discacciato sente in sé medesimo le contrarietà della carne e le questioni della mente, e così egli medesimo è a sé stesso grave peso: perocchè da ogni parte è aggravato di fatiche, e da ogni parte angosciato d’infirmitadi. Così, quello il quale partendosi da Domenedio si credette esser bastevole alla sua quiete, non trova in sè medesimo alcuna cosa se non continui affanni di turbazioni.

♦ I Morali del Pontefice S. Gregorio Magno sopra il Libro di Giobbe; volgarizzati da Zanobi da Strada, Protonotario Apostolico, e Poeta laureato contemporaneo del Petrarca, in Roma, per gli eredi Corbelletti, 1714.

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Capre, asini e mosche (Voci, 28)

Dalla vita di Camilla Battista da Varano (1458-1524). Cap. VIII. Fervore e Zelo nel Divin Servitio

VitaBattistaVaraniQuando Dio comandò che nel Tabernacolo si conservasse il fuoco, e che vi fusse mai sempre materia per mantenerlo, volle con tal cerimonia dare ad intendere che il fuoco, che dovea mandare esso in terra, non si debba estinguere nel Tabernacolo del Cuore, ma bensì aggiungervi in ogni tempo motivi per fomentarlo, al che sì come sono tenuti tutti i fedeli, così pare che molto più lo debbano fare coloro che astretti co’ voti s’impegnarono ne’ ministeri Divini: la mente loro appunto sembrar deve il Roveto di Mosè sempre circondato da fiamme, che non consuma, ma perfettiona, che non in cenere, ma in partecipata Divinità trasforma.

Di questo fuoco celeste bramò Battista ch’ardessero i Religiosi, cioè che con un fervor vehemente s’alzassero al Cielo e che scotessero ogni stupidezza e tracotanza dal Cuore, assomigliando il zelo dell’anime infervorate all’oro di cui si dice nell’Apocalissi: Suadeo tibi emere aurum ignitum ut locuples fias [Suadeo tibi emere a me aurum ignitum probatum ut locuples fias, «Ti consiglio di comperare da me oro purificato dal fuoco per diventare ricco», Ap, 3, 18] Con questo mistero gl’ornamenti del Tempio e del Tabernacolo erano vestiti & ornati d’oro, all’istessa guisa ogni attione del Claustrale dovrebbe con quest’oro e zelo infocato risplendere, onde è che andava ricordando ad un suo Discepolo che havesse l’occhio dell’intelletto vigilante in maniera: «Ne unquam obdormiat in somno pigritiae et negligentiae. E sappi – li va inculcando – che regnum Coelorum vim patitur et violenti rapiunt illud. Questa parola Evangelica dice quella tua Madre che gl’è stata posta nel cuore dallo Spirito Santo in guisa tale che, e dormendo e vigilando, l’ha fatta sollecita, havendo sempre fisse nella memoria le sopranotate parole: Regnum Coelorum etc.

«Quello che dir voglio è questo, che non ti addormenti nella Santa Religione del sonno che occupa molti, i quali entrati che sono nella Religione, si scordano del primo fervore e tutto il ben che fanno è da essi operato senza una minima mental consideratione. Seguitano gl’ordini, le cerimonie e gl’instituti della Santa Religione appunto come fanno le Capre, le quali quando vedono che una salta le altre la seguitano e non sanno il perché. Così l’addormentato Religioso seguita l’osservanza che ha presa e non considera che sia di ciò ragione; interviene a questi come all’Asino, che porta il vino e beve l’acqua: così questi tali durano estrema fatica con poco, poco, poco frutto, perché sì come la materia senza la forma non è bella, né men utile, così l’opera fatta senza intentione non piace a Dio, né à voi apporta utilità, perché se bene l’opera virtuosa è in se stessa lodevole, è nondimeno a guisa di materia, alla quale se la forma, che è la buona intentione non s’accompagna, è senza pro l’operatione, e stolto vien tenuto chi la fece.

«Tu fa da sapiente e prudente, né volere imitare le vestigie de’ pazzi, ma in ogn’opera tanto picciola come grande (mentre spirito di vita havrai) leva l’occhio della mente a Dio, colà santificando la sua intentione, sopportando per amor di Dio ogni cosa avversa, e per amor dell’istesso Signore fa oratione, leggi, canta l’officio, lava pentole, scopa la Casa & essercitati in tutte l’opere della Carità, così verso i sani, come verso gl’infermi, e credimi, che se ti habituarai nel dir con la mente, mentre fai le sudette cose: Signore Dio, io le faccio per vostro amore, lo dirai anche non pensandoci. Così ha fatto la tua diletta Madre, benché in simili essercitij poco s’habbi potuto adoperare per la lunga sua infermità e debolezza di Corpo, e nondimeno (e sia detto a tuo essempio) s’è portata in modo, che ben con verità si può dire, che ella habbi più fatto che non poteva. Questo lo sa Dio, e la di lei conscienza.

«Ti do dunque per consiglio che procuri d’havere il desiderio sempre acceso di far penitenza, e non ti curare di regolarti a tuo modo nell’esteriore, ma serva mandata Patrum tuorum, perché in tal guisa non poco meritarai appresso la Santissima Trinità, la quale solamente risguarda il cuore e però studia che questo sia di continuo infervorato di carità, perché alla pignatta che bolle non s’approssimano le mosche, ma bensì in quella che è tepida, nella quale anche s’annegano. Dall’anima che bolle a forza di fuoco del Divino amore fugge e s’allontana il Demonio e tutti li pensieri immondi, ma nell’anima intepidita nella carità e fredda nell’amore s’ingolfano solamente, e vi si annegano le mosche della vanità e dell’inutili cogitationi, dal che ne deriva il pestifero sonno dell’anima negligente. E quindi avviene che molti dormono nella Santa Religione, e dormendo si sognano d’acquistare la perfettione; ma nel tempo della morte vedranno la falsità de loro sogni e chimere, perché si trovaranno le mani piene di mosche di Diaboliche illusioni.

«Però Reverendo mio figlio in Christo apri gl’occhi e procura di non giuocarti questi pochi giorni che ti restano di vita. Sta’ vigilante e fervente.»

Vita della Beata Battista Varani, Principessa di Camerino e Fondatrice del Monastero di S. Chiara. Ordinata, ampliata & illustrata con varie riflessioni spirituali & eruditioni da Matteo Pascucci, Prete della Congregatione dell’Hospitio di Camerino, con l’aggiunta di alcune Operette Spirituali della medesima nel fine del Libro, Macerata 1680, presso Giuseppe Piccini, pp. 164-65 (che si può consultare qui).

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La libertà che talvolta altri si prendono (Voci, 27)

CnstitutionsPortRoyalVIII. Svelamento dell’interiorità

Occorre che [la novizia] nutra un’apertura del cuore che vinca la ripugnanza che può avere nel far conoscere le sue debolezze, di modo che in lei non accada alcunché di sì poco rilevante che non ne metta a conoscenza chi cura la sua condotta ancor prima che venga interrogata. Deve perseverare in questa pratica nella speranza che Dio la libererà da tutte le cose cattive che avrà messo in luce nel suo cuore con un umile svelamento di se stessa, invece di nasconderle per paura di essere umiliata, consentendo che mettano radici tanto forti da non poter essere strappate via da un’altra zappa. E deve anche scoprire il bene che si manifesta in lei, così come i buoni movimenti dell’anima che Dio le susciterà, o la grazia che le farà di praticare qualche virtù; non per vantarsene, o per compiacersi vanamente dei doni che Dio le avrà fatto, bensì semplicemente per non nascondere alcunché a coloro che la guidano, in modo che, conoscendo il bene e il male in cui si troverà, la possano aiutare a superare le sue colpe e a trarre maggior profitto dal bene, praticandolo nel modo che Dio avrà stabilito per lei.

IX. Umiltà

Deve manifestarsi in lei un sincero amore dell’umiltà, quale continuazione dello spirito di penitenza che deve avere per essere veramente Religiosa, e che deve essere tanto forte da soffocare nel suo cuore il desiderio di stima, di modo che si giustifichi con difficoltà, e solo quando è costretta a farlo. Non si arrabbi se viene umiliata; non giudichi sbagliato se viene rimproverata un paio di volte più severamente di quanto creda di meritare, o anche quando è accusata ingiustamente, se Dio così vuole; si umili come dice la Regola, inginocchiandosi non appena sarà ripresa, senza esaminare se a ragione o no; abbia rispetto e cortesia per tutti, in particolar modo per le anziane, perché è conseguenza necessaria dell’umiltà, ma anche perché la gentilezza interiore produce quella esteriore: una persona veramente umile si considera nel suo cuore l’ultima di tutti, per un gran numero di ragioni che la grazia le rivelerà, e in virtù di questo sentimento porterà rispetto a tutti. Questa medesima virtù impedisce all’anima che ne è riempita di immischiarsi in cose che non la riguardano, perché ha una buona opinione di coloro che vi sono preposti e sa di non doversene preoccupare; d’altra parte sa accettare la libertà che altri talvolta si prendono di immischiarsi nelle cose che la riguardano, perché si stima incapace in tutto e vuole che anche gli altri lo credano; condizione essenziale, questa, in una Religiosa, e che deve estendersi in genere a qualsiasi cosa, senza eccezioni.

♦ m. Agnès Arnauld [1593-1672], Les constitutions du monastere de Port Royal du Saint Sacrement, 1675; Avis à la Maistresse des Novices.

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Non dire poi «io non lo sapevo» (Voci, 26)

PredicaFrateFrancesco

Dico che Iddio vuole spianare sprofondare guastare ogni cosa, sarà dappertutto sangue, per le strade, per li fiumi sangue, laghi di sangue, andranno i capi a galla di là in qua nel sangue; ti dico avete veduto della tribolazione, vedrete ancora della maggiore appresso; vedrete falsi profeti, false interpretazioni di scritture, falsi frati. Ora io ti dico e tieni bene a mente, scrivete in pietra queste parole: starassi tre anni senza messe, senza sacramenti, non troverete chiese aperte, e quelle che si troveranno aperte saranno disfatte e sconquassate, non si troverà religiosi che ti amministrino i sacramenti, e il ben fare, e non sarà fede né clemenza tra le persone, ammazzerà il padre il figliuolo, l’uno cognato l’altro, intendimi bene e non dire poi «io non lo sapevo». Ha giurato Iesu Christo che non cesserà questa tempesta insino a tanto che non sia levata la feccia. Non so più che mi dire, io ho aperto il sacco e ho gridato quanto posso e non sono creduto; io ho detto che non ci ha a rimanere chierica rasa, hanno a essere Vescovi doppi, scempi della parte del Diavolo faranno cose grandissime; due immissioni di diavoli sono sciolte dallo inferno, vedi pur quello che si sa che si è già fatto più male da diciotto anni in qua che in cinquemila anni passati; non c’è più semplicità, ogni cosa è malizia. Ricordami aver udito dal nostro padre che li huomini andavano senza mutande, in fino in trent’anni le donne non portavano un paio di scarpette bianche perché era tenuta cosa da meretrice: va’, vedi oggi come le vanno, o Firenze ribalda, li fanciulli e le donne sono diventati usurai, se non fai quello ti dico guai a te, confessati, dico, sette professioni, fate elemosina come io v’ho detto. Tu non credi a tua posta. Io per me non te ne darei un fico, guai alli huomini, guai alle donne, guai a fanciulli, guai a coloro che haranno mala fantasia nel cuore. Se non vi date a Dio egli ha dato la sentenza, se non mutate le vesta, se non fate confessione e processione e li capi vostri e a chi appartiene le facci fare, altramente ha giurato Iesu Christo, e tieni bene a mente, e questa è la terza volta ch’ha giurato Iddio di mandare a terra case e palazzi e rovinare ogni cosa. Voi non mi credete. Datevi ad intendere che Iddio verrà qua a mettervi la corona in testa: donne datevi ad intendere che ’l Signore v’abbia a fare Imperatrice. Io vi dico: se voi non vi convertirete e se qualche persona non si mette fra Dio e voi, che guai a voi! Io vi dissi l’altro giorno, tenete bene a mente, e così vi ricordo: che di quella misura misurate altrui, sarete misurati voi; voi rubate, sarete rubati; voi assassinate, sarete assassinati; voi ammazzerete, sarete ammazzati: questa sentenza è determinata, aspetta Iesu Christo e non c’è tempo.

♦ Predica di frate Francesco da Montepulciano, de’ frati minori conventuali di San Francesco. Fatta in S. Croce di Fiorenza, a dì 18 di Dicembre 1513. Raccolta dalla viva voce del Predicatore per Ser Lorenzo Vinoli, notaio Fiorentino, mentre che predicava, in Fiorenza, con privilegio, nella Stampa Ducale, 1569.

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Arrabbiato Satanasso (Voci, 25)

AnnoBenedettino3

Dalla Vita di S. Ludgarde [Lutgarda di Tongres (di Aywères)]

I Demonj fecero sovente tutti gli sforzi per travagliare la Santa. Le apparivano in figure orribili, e le annunziavano sempre alcun accidente funesto per metterla in terrore: ma ella mostrava loro di sprezzarli, sputando contro loro e non prendendosi pena di udirli. Pres’ella tal impero sopra questi superbi spiriti, che fuggivano da lei ed avevano in orrore il luogo dov’ella faceva orazione. Questo è l’effetto delle promesse del Salvadore, e della vittoria che riportano i Fedeli sopra i maligni spiriti: voi vi metterete sotto i piedi (dice la Scrittura) l’Aspide, e il Basilisco, e calpesterete il Lione, e il Dragone. Quantunque questa mirabile figliuola non intendesse i Salmi, de’ quali avea rinunziata la intelligenza con una modestia che a mio credere non ha esempio, ella ne cavava alcuni versetti per porre in fuga i Demonj: per l’ordinario servivasi di quello col quale noi cominciamo tutte le ore dell’Offizio Canonico «Deus in adjutorium meum intende», col quale si liberava anche da cattivi pensieri. […]

Un giorno, che cantava il Vespero con fervore impareggiabile, una monaca vide uscire una fiamma di fuoco dalla di lei bocca, che dinotava visibilmente il fuoco della di lei carica e divozione. Ma la cosa più mirabile in lei era la profonda umiltà che conservava in mezzo di queste cose rare e sublimi che Dio in lei operava, considerandosi sempre piccola innanzi a suoi occhi, quanto era grande agli occhi altrui. Questo è il carattere del Figliuolo di Dio: questo è il sigillo che imprime sopra le opere sue, e quando un’anima non porta questa marca, la di lei santità non è che una illusione ed un inganno. […]

Eccovi un nuovo favore del suo diletto, una grazia che non concedesi che a persone fedeli e che conoscono la virtù della Croce. Essendo una sera tutta rapita nella passione di Nostro Signore concepì una sete intollerabile di patire per lui, morendo di dolore per non essere stata in quel secolo nel quale i tiranni perseguitavano la Chiesa. Le venne allora in memoria S. Agnese, la di cui felicità accese in lei una sì santa invidia, che le si ruppe alla fine una vena dal cuore: martirizzata in questa maniera, per mano d’amore versò in tal copia il sangue, che ne restarono inzuppati i suoi abiti, e talmente diminuita la sua forza ch’era quasi in agonia. Apparvele in questo stato Nostro Signore, con viso assai lieto, e le promise che per l’ardentissimo desiderio che avea avuto del martirio otterrebbe in Cielo il medesimo premio di S. Agnese. Fu vedut’altre volte tutta di sangue coperta mentre meditava questo istesso mistero, ed avvenne che avendola un prete ritrovata nella violenza del suo dolore le tagliò secretamente parte de’ di lei capelli che distillavano sangue; ma si disseccarono nelle sue mani, quando cessò la effusione della Santa.

Le straordinarie sue grazie mossero una Religiosa di Euvière a indrizzarle suo padre nobil uomo di condizione, e ricchissimo, ma schiavo del Demonio. La Santa posesi di buona voglia ad affaticarsi per la di lui salute, cominciando dal fare per lui fervorose orazioni. Arrabiato Satanasso contro lei, apparve ad un’altra Monaca e dissele: Donna Ludgarde si sforza di rapirmi il Cavaliere Reniero, che mi serve da tanti anni: impieghi pur ella la sua autorità: l’affare anderà in lungo, e quando io non facessi altro che ridurre questo uomo alla ultima miseria, sono sicuro di riuscirvi. Infatti questo Cavaliere dopo la sua conversione non avea un pezzo di pane da mangiare, ma in ricompensa diventò ricco per il possesso di una eroica pazienza, e mori finalmente ottimo Religioso di San Benedetto, nel Monastero di Afflighen.

♦ Jacqueline Bouette de Blémur (Mère de Saint-Benoît), La vita di S. Ludgarde, in Anno benedettino, ovvero Vite de’ Santi dell’Ordine di S. Benedetto distribuite per ciaschedun giorno dell’anno, opera tradotta dal Franzese nello Idioma Italiano, tomo terzo, che contiene li Mesi di Maggio e di Giugno, Venezia 1727, presso Francesco Storti, pp. 380-81.

 

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