Partito per la tangente durante la lettura di un articolo di «Benedictina», ho inseguito, per quanto reso possibile dalle risorse online, la figura del napoletano Arcangelo Spina, monaco camaldolese della congregazione di Monte Corona, «fiorito» agli inizi del XVII secolo.
Il p. Spina emerge dall’oblio per le sue qualità di poeta e rimatore. Lo cita il Croce nei suoi Teatri di Napoli, del 1891, riportando la definizione di «poeta insigne, come provano le sue rime stampate» e ricordando che il 4 marzo 1631 la sua commedia l’Incostante venne messa in scena in casa di Ciommo Albertino, principe di Cimitile, e replicata tempo dopo a casa del principe di Bisignano, con tale successo che «si dové “portarla a palazzo”, innanzi al duca di Alcalà».
Ma è soprattutto ricordato, appunto, per le «rime stampate», cioè per Le rime spirituali del P. F. Arcangelo Spina eremita camaldolese dedicate all’Illustriss. e R.mo signor cardinale Scipion Borghese, pubblicate a Napoli nel 1616, che «ben meritavano questo onore, essendo elleno d’ottimo carattere ed esenti dalla corruttela che già inondava in quell’età la Poesia»1. L’iniziativa editoriale si deve al vescovo di Vico Teatino Girolamo Sariano, che nella presentazione al cardinale fa un vago accenno a un vincolo di parentela che avrebbe col monaco poeta («lo legame del sangue che mi stringe all’autore») e al fatto che la composizione dei testi sarebbe piuttosto antica.
Nell’avvertenza al lettore, poi, lo stampatore (Gio. Domenico Roncagliolo) attribuisce al p. Spina il merito di aver portato nella lirica le «cose divine», «che più che altre le son proprie», ricorda che i brevi argomenti che precedono le composizioni non sono di mano dell’autore e che nessun ordine particolare è stato seguito nella disposizione dei testi, e conclude così: «E per compimento convien dirti che, leggendole, in esse guarderai non l’autore (il quale non ha inteso dipingervi se stesso), ma più tosto un’anima così descritta in universale, con quegli avvenimenti che sogliono agli amanti di Dio accadere; & in tal guisa ti potranno essere come uno specchio, in cui, se ben miri, scorgerai anche te medesimo. Sta sano».
Ho letto solo alcune poesie, mentre dei 236 sonetti, dei 109 madrigali e delle 14 canzoni che compongono il canzoniere del p. Spina, ho letto quasi tutti gli argomenti, perché sono un sottogenere letterario molto preciso e divertente e dal gustoso sapore romanzesco: Nuovi lumi nel conoscimento di se stesso (sonetto 54), Temeraria ingordigia di naviganti (sonetto 80), S. Mauro corre sopra il lago in aiuto di S. Placido (sonetto 101), S’interna in Dio (canzone 7), Alla mano, che diede la guanciata a Christo (sonetto 155), Mare del sommo bene (sonetto 194), Spina del signore miracolosa in Vinegia (madrigale 99), Si smarrisce nella contemplatione (sonetto 214), eccetera eccetera.
Ne ho lette poche, dicevo, di rime, ma una mi è rimasta impressa: è il sonetto 22, che reca come argomento l’assai familiare Quiete notturna da vani pensieri turbata:
Già steso ha l’ali brune, e l’hemisfero
Cinto l’Ombra maggior, ch’uscita è fuori
De’ chiusi lidi, e sparso ha di splendori
Stellanti il manto suo lucido e nero:
Hora opportuna al vago mio pensiero,
Che sciolto voli al ciel, che quivi adori
La prima luce, e fra’ celesti chori
Si spatij amando, e miri fiso il vero.
Deh qual silentio, e qual riposo, e pace
Spargon l’hore per tutto: hor taccia il mondo
Dentro il pensier, come di fuori ei tace.
Ma sento pur, che nasce dal profondo
Del cor schiera d’immagini fallace:
Che penso? come fuggo? ove m’ascondo?
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- G.M Crescimbeni, L’istoria della volgar poesia, Parma 1714.
Davvero dolce… 🙂