(la prima parte è qui)
Rimasto appiedato sul molo di Halifax, «con un sospiro che aveva forse un fondo di segreta soddisfazione» (Th. Merton), Merle si rassegna in brevissimo tempo a quella che non può che essere la volontà di Dio. Tanto più che in Nova Scotia c’è un gran bisogno di sacerdoti e il vescovo di Quebec è ben contento di arruolarlo, senza contare che ci sono molte comunità di indiani, ad esempio i Micmac (Mi’kmaq), da aiutare e guidare sulla via della retta fede. Prende così corpo il progetto di aprire un monastero trappista nella regione, e, ottenuto il permesso dal suo abate, nell’inverno del 1815 fr. Vincent lascia Halifax, diretto a nord e «accompagnato da tre misteriosi negri che lo avevano seguito da New York.
Per due anni si stabilisce nel villaggio di Chezzetcook. Qualcosa, al di là della fede, e dello zelo missionario, è scattato: «Era sempre indaffaratissimo…» Le difficoltà sono tante, a cominciare dalla trafila burocratica per ottenere dal governo britannico, lui, di nazionalità francese e cattolico, il permesso di fondare una comunità monastica. La situazione è così complicata che l’abate Lestrange lo invita a tornare a casa. Merle chiede un’ulteriore proroga e si spinge ancora più a nord, verso la contea di Antigonish e Cape Breton. Sempre incerto sulla scelta migliore, fr. Vincent si ferma infine a Tracadie, nella primavera del 1819, dove acquista un appezzamento e dà il via ai lavori. «Il luogo dove stiamo costruendo la nostra casa è molto adatto per un monastero trappista»: una valle profonda, un fiume, la protezione delle montagne, il mare non lontano e un terreno ottimo per le coltivazioni.
Le difficoltà, lungi dall’essere finite, sembrano aumentare. Anzitutto non ci sono postulanti, e poi gli ostacoli burocratici permangono, tanto che dalla Francia giunge l’indicazione di vendere tutto e andare nel Kentucky. Merle, in preda a un grande turbamento, chiede consiglio al vescovo, il quale lo solleva dalla responsabilità della disobbedienza e lo sollecita a rientrare in Francia per confrontarsi con l’abate Lestrange. Il viaggio, cominciato nel 1823, si conclude due anni dopo: fr. Vincent può far ritorno in Nova Scotia accompagnato da cinque confratelli e soprattutto con un’approvazione formale: «Vi esortiamo espressamente a recarvi in America, tra gli Indiani che troverete nelle vaste solitudini dei boschi del Canada…»
Nel settembre del 1825, forte probabilmente anche dell’autorizzazione governativa, Merle raggiunge lo scopo della sua vita: la fondazione ufficiale del monastero di Saint Bernard de Petit Clairvaux. Così scrive fr. Francis Xavier, il più fidato dei confratelli: «Grazie a Dio, dopo non so quanti ostacoli e disavventure, siamo finalmente arrivati sani e salvi alla nostra meta. Ci troviamo in una terra selvaggia (Indiana) e vicini agli Indiani. Che povertà! Viva la Francia! Qui non si trova niente e tutto è molto caro. Non c’è denaro, e la gente viene pagata con patate, cavoli e carne».
Si trattò di una gioia breve. Gli altri monaci che avevano seguito fr. Vincent non resistettero alla durezza della vita trappista trapiantata in Canada; i postulanti continuavano a essere pochi e instabili; lo stesso Ordine cisterciense attraversò in Francia un periodo di grandi sommovimenti; i mezzi erano sempre pochi; Lestrange morì nel 1827 e la sua riforma della Trappa si spense. Nel 1836, scoraggiato, Merle decide di tornare in Europa per cercare di salvare la sua comunità. Va in Francia, in Inghilterra e infine a Roma, alla sorgente dell’autorità. Quando nel 1840 riparte per la Nova Scotia, ha sì in mano un documento della Sacra Congregazione de Propaganda Fide, che sancisce lo statuto di Petit Clairvaux alle dipendenze del vicario apostolico locale, ma ha anche il «cuore spezzato» perché il nuovo abate della Trappa gli ha rifiutato la sua benedizione, sostanzialmente espellendolo dall’Ordine.
Rientrato a Tracadie, Merle affida la guida della comunità a fr. Francis Xavier, sistema le questioni legate alla proprietà del terreno su cui sorge Petit Clairvaux e si ritira nel vicino convento delle trappistine, anch’esso da lui fondato, dove muore il 1° gennaio 1853.
«Anche in vita egli era stato venerato come un santo, ma da allora il suo culto si diffuse per tutta la Nuova Scozia e Capo Breton. Si narrarono di lui cose di ogni genere, alcune plausibili, altre più o meno leggendarie, come il “miracolo” di quella volta in cui arrestò una furiosa tempesta levandosi una scarpa e gettandola in mare» (Th. Merton).
(2-fine)
[da Thomas Merton, Le acque di Siloe (1949), Garzanti 1992, pp. 123 e sgg.; Luke Schrepfer, Pioneer Monks in Nova Scotia (1947), Kessinger Publishing 2007, pp. 16 e sgg.]