In uno dei capitoli introduttivi del suo libro formidabile Sequela1, Dietrich Bonhoeffer dedica alcuni paragrafi al monachesimo, al suo ruolo e al suo «errore». Lo fa all’interno di una riflessione molto serrata sul contrasto tra la «grazia a buon mercato», nient’altro che una «merce in vendita» che rappresenta la «nemica mortale» della chiesa, e la «grazia a caro prezzo», che altro non è che il vangelo, «che si deve sempre di nuovo cercare, il dono per cui si deve sempre di nuovo pregare, la porta a cui si deve di nuovo bussare».
La grazia a caro prezzo è seguire Gesù, la sequela appunto, ne è il risultato, e affinché non evaporasse, nel momento in cui il cristianesimo usciva dall’ombra e la chiesa si mondanizzava, fu per così dire traslata in uno spazio allo stesso tempo separato e interno alla chiesa: il monachesimo. «Qui», dice Bonhoeffer, «ai margini della chiesa, si trovava il luogo dove fu tenuta desta la cognizione della grazia a caro prezzo e del fatto che la grazia implica la sequela. Alcuni uomini abbandonavano tutto quello che avevano per amore di Cristo e tentavano di seguire con esercizio quotidiano i severi comandamenti di Gesù» (il corsivo è mio). La vita monastica poteva rappresentare la protesta contro la chiesa dall’interno della chiesa stessa, e insieme sanciva l’esenzione della massa del popolo cristiano da un impegno che ricadeva su pochi singoli individui. L’una giustificava l’altra, la via stretta di Cristo e la via più facile del mondo.
Ed ecco la tesi di Bonhoeffer, cesellata al centro del suo ragionamento: merita di essere riportata per intero, aggiungendovi soltanto un corsivo su una frase che anticipa approfondimenti che seguiranno nel resto del volume. «In tutto questo l’errore decisivo del monachesimo non stava nel fatto di percorrere – pur con tutti i fraintendimenti sul contenuto della volontà di Gesù – la strada di grazia della sequela con la sua severità. Piuttosto, il monachesimo si allontanava sostanzialmente dalla visione cristiana per il fatto che permetteva al proprio cammino di trasformarsi in un impegno eccezionale per pochi, liberamente scelto, rivendicando così per esso un merito particolare».
Queste parole mi fanno venire in mente, tra l’altro, numerose affermazioni che ho incontrato nel tempo e che orbitano intorno, se così si può dire, al vago imbarazzo del monaco che teme di insuperbire, ad esempio questa di Louis Bouyer: «La vocazione del monaco non è altro che la vocazione del battezzato, ma vissuta nella dimensione, si potrebbe dire, della massima urgenza».
Ecco perché, tornando a Bonhoeffer, per risvegliare il vangelo della grazia a caro prezzo Dio fece passare Lutero dal chiostro, cioè lo fece uscire dal chiostro. Da quel chiostro che era diventato convegno di santi, da quel chiostro nel quale il rinnegamento di sé, richiesto dalla sequela, si era rivelato «essere l’estrema affermazione religiosa di sé operata dall’uomo devoto»; da quel chiostro che invece della fuga dal mondo accoglieva «il più sottile amore del mondo». Entrando nel chiostro, Lutero, il monaco, aveva lasciato tutto tranne se stesso, cioè non aveva lasciato niente: «Lutero dovette lasciare il chiostro e rientrare nel mondo, non perché quest’ultimo fosse in sé buono e santo, ma perché anche il chiostro non era altro che mondo».
Non ho certo la preparazione per discutere queste tesi, e soprattutto, per essere chiari, non ho alcun titolo e non c’entro nulla. Leggo con estremo interesse e avvicino queste parole a tante dichiarazioni di monaci di varie epoche che di sicuro hanno avvertito e avvertono questo punctum. Il tema del rientro nel mondo mi pare quanto mai stimolante: «Ora», conclude Bonhoeffer, «la sequela di Gesù doveva essere vissuta restando nel mondo. Ciò che era stato praticato come un impegno eccezionale nelle condizioni e con le facilitazioni speciali della vita monastica, ora era diventato la cosa necessaria e comandata ad ogni cristiano nel mondo» (un ultimo corsivo mio).
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- Dietrich Bonhoeffer, Sequela (1937), a cura di M. Kuske e I. Tödt, edizione italiana a cura di A. Gallas, Queriniana 20154. Il capitolo in questione è La grazia a caro prezzo, pp. 27-41.
Buonasera Sto leggendo “Le acque di Siloe” di Merton. Un bel libro sull’epopea storica dell’ordine Cistercense. Nell’introduzione sembrava che il libro parlasse della vita di un monaco descrivendo la sua giornata dal mattutino alla compieta, invece come detto è un racconto sulla storia dell’ordine. Mi ha comunque appassionato.
Saluto
Sergio
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Sì, è un bel libro: è piaciuto tanto anche a me.
Secondo lei qual è il libro da cui iniziare a leggere Bonhoeffer? Molte grazie!
Comincerei dalla fine, cioè dalle lettere e dagli scritti dal carcere di “Resistenza e resa”.
grazie!