«Questo libro si rivolge innanzitutto ai monaci»: l’incipit del libro del teologo francese Louis Bouyer suona come un avvertimento, e d’altra parte come evitare di confrontarsi con un testo che si intitola, unendo semplicità e ambizione al grado massimo, Il senso della vita monastica?
Pubblicato per la prima volta nel 1950, e in edizione riveduta nel 1962, il volume è stato ripresentato dalle Edizioni Qiqajon l’anno scorso. Sono poco meno di trecento pagine fitte e ugualmente dense di concetti, analisi e riferimenti, senza una frase superflua – una lettura impegnativa, a tratti ardua, e di enorme soddisfazione, non foss’altro per l’opportunità che dà di misurarsi con un pensiero solido, articolato, profondo e poco accondiscendente. Il fatto che il volume nasca da una serie di «conferenze ai monaci» effettivamente predicate, da un uomo di fede che non era monaco e che tuttavia parla alla prima persona plurale, aggiunge un ulteriore significato di partecipazione e urgenza. Urgenza che peraltro è la dimensione che ricorre periodicamente nell’esposizione, a partire dal prologo: «La vocazione del monaco non è altro che la vocazione del battezzato, ma vissuta nella dimensione, si potrebbe dire, della massima urgenza».
Noto, tra parentesi, come nella letteratura monastica, sin dalle origini si può dire, uno dei temi più ingrossati sia proprio quello dell’identità. Chi è un monaco, o chi non lo è, è una domanda che tutti i monaci scriventi si sono posti e riposti con insistenza, come se l’apparente semplicità della loro condizione li spingesse poi a un’inesausta esplorazione delle sfumature concrete di tale condizione, non disgiunta dalla preoccupazione pressante di poter rispondere alla conseguente domanda: ma io, sono un vero monaco? Da questo punto di vista, il libro di LB, oltre a essere una monumentale risposta, seppur da collocare nel suo contesto storico, è anche un repertorio di clausole che cominciano con le parole «il vero monaco è…» (tanto che varrebbe la pena di raccoglierle a parte).
Il volume è diviso in due parti: teoria e pratica. Della prima parte, dedicata alla teologia della vita monastica, non dirò nulla, perché ciò richiederebbe competenze e una fede che non ho. Mi limito a tenere presenti due cose. Anzitutto i cardini sui quali si impernia detta teologia, che mi pare di poter individuare nella chiamata del Dio padre («una parola di Dio, la parola che annuncia il vangelo, un giorno è penetrata nel nostro cuore. Improvvisamente abbiamo compreso di essere noi i chiamati. E siamo partiti alla ricerca di colui che chiamava») e nella assimilazione («il termine “imitazione” è insufficiente») al Cristo.
La chiamata sollecita una risposta, che si traduce in una ricerca la cui durata si estenderà sino al limite della vita terrena, ma «ciò che egli [il monaco] cerca, se è veramente monaco, non può essere un qualcosa, ma un Qualcuno». L’assimilazione al Cristo sollecita invece, lungo la strada, il passaggio attraverso la morte per raggiungere una vita nuova. È una «morte» che, prendendo le forme della mortificazione, ha un significato tutt’altro che simbolico, ed è questo il secondo aspetto che tengo a mente. Cioè che non esiste una vera distinzione tra teoria e pratica della vita monastica: «In questa prima parte, dove esaminiamo la teoria, l’essenziale è insistere sulla dimensione di realismo di tutte queste esigenze… Ciò che distingue il monaco dal cristiano che non è monaco è proprio il fatto che egli si impegna alla rinuncia non soltanto in via di principio […], ma nella realtà, con un effetto il più possibile immediato».
Noto anche come l’autore si soffermi spesso sulle obiezioni che si possono muovere al suo pensiero e come sia ben consapevole della portata delle sue affermazioni contro il senso comune («questa corsa incontro alla morte in apparenza così scandalosa»), e vi risponda fin dove gli pare possibile, cioè fino alla domanda: perché il Padre ha chiesto al Figlio di morire? Qui, dice, LB, «siamo arrivati al cuore del mistero e non c’è nessuna soluzione razionale che ci possa soddisfare. Bisogna solamente accettare il mistero». Nondimeno, «per accettarlo bisogna sondarne la profondità».
E con questo passo alla parte pratica.
(1-continua)
Louis Bouyer, Il senso della vita monastica, prefazione di L. d’Ayala Valva, traduzione di L. Marino, Edizioni Qiqajon – Comunità di Bose 2013.