Pietro, Eloisa e l’altro Pietro

Sempre pressato dalle «esigenze fastidiose del suo ufficio», Pietro il Venerabile trova finalmente un «giorno di calma» e scrive a Eloisa, «venerabile e in Cristo amatissima abbadessa e sorella». Si ritiene che questo giorno sia agli inizi del 1144: Eloisa ha circa quarantaquattro anni, è badessa del Paracleto da quindici e il suo adorato sposo Pietro Abelardo è morto da quasi due. Su richiesta di Eloisa, l’abate di Cluny le racconta l’ultimo periodo della vita del «maestro Pietro», per il quale il Venerabile molto si è adoperato: ha tentato una mediazione con i suoi avversari, soprattutto con Bernardo di Chiaravalle, dopo la condanna per eresia, ha interceduto presso il papa Innocenzo II, ha infine accolto Abelardo nella sua abbazia e nel suo Ordine, perché morisse in pace.

La lettera è lunga ed è occupata, nella prima parte, da un elogio di Eloisa, «donna interamente e veramente filosofica» che con i suoi studi ha «superato tutte le donne e quasi tutti gli uomini». Pietro ne dice tutto il bene possibile, la vorrebbe con sé («Volesse il cielo che tu abitassi nella nostra Cluny») e dissimula con tatto tra le lodi la considerazione del fatto che Eloisa sia, comunque, una donna, moltiplicando citazioni e riferimenti («Non è, però, per niente insolito tra i mortali che delle donne governino altre donne, né del tutto inusuale che pure combattano, e inoltre accompagnino in guerra gli stessi uomini»).

Peccato che tu non possa venire da noi, dice il Venerabile, mi consolerò pensando «che ci è stata tuttavia concessa la presenza del tuo servo e vero filosofo di Cristo, da nominare spesso e sempre con onore, il maestro Pietro». Si passa così alla seconda parte della lettera, più breve, in cui sono descritti gli ultimi, nobilissimi giorni del filosofo, più umile degli umili, incurante della propria fama, dedito alla lettura, alla predicazione, all’orazione, «immerso in un profondo silenzio», paziente con i mali dell’età («più del solito era gravato dalla scabbia e da certi fastidi del corpo»), gentile, devoto – un santo, che ora siede alla destra del Signore, «come è giusto credere».

La lettera potrebbe concludersi così, ma Pietro il Venerabile sa cosa si aspetta Eloisa; conosce, ovviamente, tutta la storia e sa che non può negarle la parola più dolce. Anzi, penso che non voglia proprio negargliela, perché sa esattamente a chi si sta rivolgendo e a suo modo ha capito benissimo cos’è l’amore, e quasi scommetterei che abbia scritto tutto quanto precede per arrivare a quell’ultimo paragrafo e spiccare un balzo che anche oggi lascia senza fiato:

«Venerabile e carissima sorella nel Signore, questo uomo dunque, al quale dopo il rapporto carnale hai aderito con il vincolo tanto più valido quanto più eccelso della divina carità, con il quale e sotto il quale hai servito a lungo il Signore, costui, dico, il Signore stesso, al tuo posto o come un’altra te stessa lo riscalda ora nel suo grembo, e alla venuta del Signore… si riserva di restituirtelo per sua grazia

Hunc, inquam, loco tui vel ut te alteram in gremio suo confovet, et in adventu Domini… tibi per ipsius gratiam restituendum reservat. E così Etienne Gilson commenta le ardite parole del Venerabile: «Se c’era un Dio che quella badessa ostinata, ribelle e come murata nel suo dolore, non poteva rifiutare di amare, era quello che le custodiva il suo Abelardo, per lei e al suo posto – ut te alteram – al fine di renderglielo un giorno e per sempre».

Pietro il Venerabile, Lettera 115, in Un monaco nel cuore del mondo. Lettere scelte, a cura di D. Pezzini, Paoline 2010.

1 Commento

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Una risposta a “Pietro, Eloisa e l’altro Pietro

  1. Ho finito di leggere mesi fa le lettere piú intense dell´epistolato e mi sono sempre frenato nel commentare… giuastamente mi hai anticipato 🙂

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