Quanto potrò, non appena potrò

Dopo aver scritto quelle mirabili parole di conforto, Pietro il Venerabile passò ai fatti e, consapevole di quale consolazione avrebbe prodotto un gesto del genere, in una data che non è possibile precisare portò il corpo di Abelardo a Eloisa, affinché fosse sepolto nella cripta del Paracleto (potrebbe essere il 1144, due anni dopo la morte del filosofo, o il 1146-49, o addirittura il 1152-54).

Eloisa glien’è profondamente grata e, un anno dopo la traslazione, gli scrive per ringraziarlo ancora. Ma non solo. La lettera della badessa è conservata nell’epistolario dell’abate di Cluny, e nella sua brevità restituisce un’immagine precisa del suo carattere, lucido anche nel dolore. Eloisa ci tiene a ripetere quello che Pietro ha fatto, che evidentemente non è poco: «Ci avete portato il corpo del maestro» (da notare come non faccia mai il nome del suo amato); Pietro, inoltre, ha concesso un beneficio di trenta messe da dire a Cluny per Abelardo e per lei stessa alla sua morte – promessa da confermare anche per iscritto.

Bene, dice Eloisa senza tanti giri di parole (quelli così cari al Venerabile), mandamelo questo «rescritto siglato» e, già che ci siamo, mandami «anche un altro documento siglato, quello che contiene in modo esplicito [apertis litteris] l’assoluzione del maestro, perché lo si possa appendere sulla sua tomba». Ah, un’ultima cosa, «ricordatevi anche…  di Astrolabio [il figlio suo e di Abelardo, nato intorno al 1118], e fate in modo di fargli avere una prebenda dal vescovo di Parigi o di qualsiasi altra diocesi». Grazie, e arrivederci.

Pietro risponde a stretto giro di posta, compatibilmente, e per una volta non si dilunga. Giusto un paio di citazioni e allega alla lettera i due documenti richiesti («Vi mando anche, come mi avete chiesto, pure su carta scritta e con il sigillo, l’assoluzione di maestro Pietro»). E Astrolabio? Qui il Venerabile, esperto mediatore oltre che uomo caritatevole, non dimentica la cautela: ci proverà, certo, «la cosa però è difficile, perché, come ho spesso sperimentato, i vescovi si mostrano di solito molto restii a dare prebende nelle loro chiese…»

«Comunque», conclude l’abate, «per amor vostro farò quanto potrò, non appena potrò.»

Pietro il Venerabile, Lettere 167 e 168, in Un monaco nel cuore del mondo. Lettere scelte, a cura di D. Pezzini, Paoline 2010.

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