Non è la prima volta che leggo qualcosa su questo argomento, e non è la prima volta che a fine lettura provo qualche perplessità. Poiché anche qui non mi pare che si tratti di eremiti in senso stretto, come recita il sottotitolo, bensì di uomini e donne che vivono isolati (ma non sempre) e hanno rapporti molto ridotti con altri esseri umani (ma non sempre).
La questione sollevata dal libro che più m’interessa è tuttavia quella della vocazione. Un concetto dietro il quale credo sia lecito cogliere anche desiderio, scelta e determinazione. Un conto è il sacrificio, cioè la rinuncia alla propria volontà (che generalmente si accompagna al servizio incondizionato verso gli altri, cui non può che andare piena ammirazione), un conto è perseguire comunque il proprio «obiettivo». Non importa che la scelta di vita di questi presunti eremiti (che hanno trovato riconoscimento grazie a un nuovo canone del Codice di diritto canonico, il 603) sia diversa da quella della maggioranza degli individui, poiché è esattamente quello che desiderano, per loro è una gioia (e li capisco anche).
Non c’è alcun bisogno di tirare in ballo la vocazione. Che cos’è infatti questo «essere chiamati al deserto» (ma quale deserto, tra l’altro? Son quasi tutti finiti in Toscana) se non la particolare chiarezza e necessità di una scelta? E la riprova non potrebbe essere proprio la letizia di questi personaggi, in fondo un po’ disadattati, che quando si ritirano nelle loro capanne annidate in posti bellissimi stanno benone? Non ne faccio una questione di coerenza, ci mancherebbe, come potrei, proprio io? M’importa chiamare la cosa con il suo nome: scelta deliberata per il proprio benessere?
Cristina Saviozzi, Come gufi nella notte. Storie di eremiti del nostro tempo, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2010.
Carissimo MrPotts,
apri un discorso molto impegnativo… vocazione o scelta? Noi diciamo che normalmente é una “sinergia”, ovvero un incontro tra la nostra volontá e quella di Dio, certo, ogni storia andrebbe verificata e vagliata al setaccio di un serio discernimento che normalmente va al di lá di ció che noi molte volte definiamo “questo mi piace o desidero”. Di fatto nella storia del monachesimo, dell´esichia e dell´anacoretismo “il deserto” spesso é una foresta (v. l´affascinante vita di Serafino di Sarov) o una montagna o una stele… Forse bisogna anche uscire dallo stereotipo che l`eremita sia perennemente solo e fuori dal mondo, ci sono “comunitá” di eremiti in Francia che prevedono incontri periodici di formazione e di condivisione, in realtá se vogliamo veramente “assaggiare” cos`é “il deserto” dovremmo leggere il libro di suor Nazarena http://www.ibs.it/code/9788838419980/ghini-emanuela/oltre-ogni-limite.html
ecco lí non c´é desiderio umano ma semplice spoliazione per un unificazione con Dio… buona lettura
Caro fra Alberto,
ti ringrazio molto per l’intervento.
Sì è molto impegnativo, e quello che ho scritto è probabilmente viziato da una conoscenza soltanto indiretta della questione, attraverso le fonti scritte. Le quali fonti scritte forse restituiscono solo una parte dell’esperienza. Mi trovo a disagio, tuttavia, con l'”ineffabile”, e credo che la conoscenza vada insieme alla sua espressione (la mancanza di una escludendo l’altra, direi – ma qui si aprirebbe un tema ancora più impegnativo che forse ci porterebbe ai mistici), quindi leggo e ascolto le parole scritte. Come farò senz’altro con il libro che mi consigli.