«Mulieres in Ecclesia». Storie di monache e bizzoche (pt. 2/2)

(la prima parte è qui)

L’ispirazione francescana di questo movimento penitenziale, o forse bisognerebbe dire più correttamente: la comune origine, è evidente. L’intenzione di questo «piccolo esercito», infatti, è quella di «seguire nudi il Cristo nudo»: vivere una vita di estrema povertà al servizio del Cristo-sposo e degli indigenti, abbracciando privazioni, penitenze e osservanze. «Il programma di vita ascetica, che vigeva nei “carceri” [individuali] e nei “bizzocaggi” [comunità] femminili, era il regime di vita imposto, per diritto canonico, ai peccatori pubblici riconciliati e volontariamente adottato dalle donne della penitenza». Si tratta dunque di digiuni e astinenze in determinate occasioni, della recita delle ore canoniche, della partecipazione quotidiana alla messa (nel caso non fosse prescritta la clausura), del rifiuto di atteggiamenti e usi «mondani». In certi casi a ciò si aggiungevano anche pratiche di penitenza, come l’uso del cilicio, e una generale quanto pericolosa attività di macerazione del corpo (Chiara da Montefalco, ricorda una fonte citata da mons. Sensi, «d’inverno, quando la temperatura era gelida nella sua contrizione puniva il suo corpo mettendo i piedi e parte delle gambe in un catino e stava così nel gelo finché aveva recitato cento volte il Padre nostro»).

È un paesaggio umano brulicante e confuso, e molto affascinante, in costante tensione con il potere ecclesiastico, che si adopererà in maniera sistematica per ricondurre queste esperienze, queste donne laiche che affermavano una propria volontà, nell’ambito delle forme monastiche definite, sia di antica che di recente approvazione. I Concili e i papi non si distrassero mai dagli sviluppi della questione: Gregorio IX, che aveva canonizzato Francesco, fece di tutto per «incanalare gran parte del movimento penitenziale dell’Italia centro-settentrionale, di inizio secolo XIII, nell’Ordine damianita» (le Clarisse); Bonifacio VIII da un lato si preoccupò dei possibili contatti tra queste donne e i vari movimenti spirituali, ordinando ai vescovi di indagare sui possibili errori dottrinali e di «denunciare tutti quegli eremiti che conducevano vita sospetta», dall’altro impose la clausura a tutti i monasteri di ordini approvati (ma «grazie a una serie di scappatoie giuridiche, il fenomeno beghinale/bizzocale continuò a sopravvivere»); Giovanni XXII colpì ripetutamente i rigoristi francescani e le loro varie ramificazioni.

Ma le forme vive assunte da questa «ispirazione» sono infinite e in perenne trasformazione, brulicanti, appunto, e poiché legate a situazioni e personaggi locali, spesso intangibili dal potere centrale, ma anche, in seguito, dal potere centrale non soltanto tollerate bensì addirittura riverite (come dimostrano le «mulieres religiosae reclusae in basilica S. Iohannis Lateranensis», le murate di San Giovanni in Laterano, o le incarcerate nella cappella di Sant’Andrea della basilica di San Pietro: «In eo loco sunt cubicola sanctimonalium quae, muris clausae, perpetuam Deo ibidem servitutem vovere»). E la storia è andata avanti, in un certo modo, fino ai giorni nostri.

Questi due volumi sembrano rappresentare anche in senso fisico la ricchezza e la varietà del fenomeno. Come dicevo, ho letto sinora il primo saggio e dal suo corposo apparato di note ho già ricavato un elenco di letture ulteriori: posso soltanto immaginare come sarà l’intera traversata. E per quanto possa sembrare ridicolo, devo dire che non vedo l’ora di leggere questa storia, «una storia fatta di tante piccole tessere con le quali, allo stato attuale della documentazione, è possibile solo abbozzare un minuscolo mosaico e tuttavia di rara bellezza».

(2-fine)

Mario Sensi, «Mulieres in Ecclesia». Storie di monache e bizzoche, Centro italiano di studi sull’alto medioevo di Spoleto 2010.

 

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