«Mulieres in Ecclesia». Storie di monache e bizzoche (pt. 1/2)

MulieresInEcclesia

Alla fine ho approfittato di un’offerta e mi sono impossessato dei due tomoni di cui si compone «Mulieres in Ecclesia». Storie di monache e bizzoche, ampia raccolta (oltre mille e trecento pagine) di saggi di Mario Sensi dedicati alle esperienze semi-religiose femminili, a metà strada tra vita monastica e stato laicale, nell’Italia principalmente dei secoli XII-XV – essendo la mole, per me, irresistibile promessa di apprendimento, di riempimento di lacune, di contestuale apertura di nuovi abissi.

Mai promessa del genere rischia di essere maggiormente mantenuta, ad apertura delle prime pagine del primo volume, per ispezionare l’indice. Ho anche appreso che purtroppo l’autore, nato ad Assisi nel 1936, è morto nel maggio di questo 2015. Nel ricordo che gli ha dedicato «L’Osservatore Romano», Lucetta Scaraffia scrive che mons. Sensi aveva «scelto come suo campo privilegiato di ricerca quello delle fonti notarili, uno dei più ostici e noiosi per qualsiasi ricercatore, ambito che richiede una dedizione infinita prima di dare dei frutti», e che con il suo lavoro nascosto e indefesso «ha rivoluzionato la storia della religiosità popolare, rivelando radici e storie di culti, santuari, pellegrinaggi, e ha ridato alle vicende delle donne laiche che si dedicavano alla vita religiosa – le beghine studiate e amate da Romana Guarnieri [grande studiosa cui i due tomi sono dedicati in memoriam] un posto nella storia di un’istituzione che le aveva cancellate».

Ed è questa la sensazione che ho provato scorrendo le pagine iniziali e leggendo il primo saggio (inedito), Le recluse nell’Italia di mezzo (secc. XIII-XV): una schiera numerosa di persone che esce dall’oscurità. La maggior parte sono anonime, ma non tutte, alcune sono famosissime, altre no: Chiara da Montefalco, Angela da Foligno, la stessa Chiara d’Assisi, Margherita da Cortona, Filippa Mareri, Sperandia di Cingoli, Colomba da Rieti, Sofia di Bartolomeo da Trevi, Illuminata di Pietro da Montefalco, Umile, Alofita e Masazuola (così forse si chiamava la compagna di Angela). Un esercito di «donne della penitenza» particolarmente diffuse nell’Italia centrale e note come incarcerate, recluse, cellane, bizzoche, pinzochere, sorores minores, devote, terziarie; sorelle delle beghine fiamminghe, delle papelarde francesi, delle umiliate lombarde e delle Coquenunnen tedesche. «Si tratta di un variegato mondo di persone consacrate, pur senza voti solenni», che conducono «una “vita regolare senza regola”, con legami più o meno stabili con l’istituzione; il che tuttavia ha permesso loro di ritagliarsi un proprio spazio nella Chiesa».

E non soltanto nella Chiesa, bensì anche nella società laica. Spesso risiedono in città, in case di proprietà della loro famiglia o in alloggi offerti da benefattori, o ancora in cappelle appositamente attrezzate nelle chiese, oppure occupano poveri edifici nelle immediate vicinanze (il «pomerio»), romitori, ruderi o persino grotte (ma gli eremiti rurali o dei boschi sono più sovente maschi), talvolta sono «custodi» di luoghi sacri e di pellegrinaggio; sono conosciute, all’inizio sono soprattutto di estrazione nobile o patrizia, alcuni vescovi le proteggono, altri le contrastano, i potenti le consultano, i cittadini contano su di loro per la preghiera e per l’espiazione vicaria dei peccati della comunità, ma in certi casi anche per attività di assistenza (specie nelle comunità contadine).

Non sono poche, «quasi certamente alcune migliaia»: un «piccolo esercito di donne» di cui le grandi mistiche rappresentano soltanto l’aspetto più noto e studiato.

(1-segue)

Mario Sensi, «Mulieres in Ecclesia». Storie di monache e bizzoche, Centro italiano di studi sull’alto medioevo di Spoleto 2010.

 

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