Non si può dire che il titolo del volume1 sia «accattivante», ma d’altra parte il Crisostomo era, comprensibilmente, del tutto alieno da preoccupazioni editoriali tardomoderne e ben più ansioso di mandare un messaggio chiaro «per contrastare e condannare il fenomeno della coabitazione di monaci o asceti con donne vergini». La questione non è secondaria, poiché, come osserva il curatore del volume, Domenico Ciarlo, nella sua esauriente introduzione, «in un’epoca in cui non era ancora diffuso un monachesimo cenobitico regolare e organizzato, poteva accadere che uomini e donne decidessero di dedicare la propria vita a Dio in preghiera, ascesi e castità, vivendo insieme per beneficiare di assistenza reciproca e soccorso vicendevole»: una circostanza oggetto di numerose condanne per via dello scandalo cui poteva dare adito. La questione però non ruota intorno all’assistenza reciproca e al soccorso vicendevole, non solo, e il Crisostomo lo puntualizzerà subito.
Giovanni dà il suo contributo con due trattati, Insegnamento e confutazione per coloro che tengono vergini conviventi e Sul fatto che le donne sottoposte a regola non debbano coabitare con gli uomini, databili con qualche incertezza tra il 381 e il 383 (con possibile estensione al 386) e che affrontano il problema dai due punti di vista diversi, quello degli asceti e quello delle vergini. In entrambi i casi l’autore è come suo solito molto duro, sulla scorta di una tradizione già allora cospicua, avviata dal Pastore di Erma e che annovera interventi tra gli altri di Ireneo di Lione, Tertulliano, Cipriano di Cartagine e Basilio di Cesarea, senza contare Girolamo e i vari canoni conciliari (Elvira, Ancira, Nicea).
Uomini e donne possono convivere a motivo di matrimonio, il che è ragionevole e giusto, o a motivo di impudicizia, il che è immorale e ispirato dal demonio, una «terza via» non è data: quelli che dicono che esiste e la praticano ingannano se stessi e gli altri, e soprattutto si nascondono il fatto che alla radice di questa forma «nuova e inaspettata» di convivenza vi sia comunque il piacere. «Mi pare», osserva infatti il Crisostomo, «che il coabitare insieme a donne comporti un qualche piacere, non solo sotto la legge del matrimonio, ma anche fuori dal matrimonio e dal concubinato».
Anche se non viene nominato espressamente, tale piacere, direi, è quello di fare insieme ciò che si ama fare, ma là dove con persone dello stesso sesso pare legittimo se non addirittura consigliabile, mescolare i sessi è gravissimo, perché, nella prospettiva del Crisostomo, l’intimità produrrà per forza di cose il desiderio, una passione per di più «raddoppiata dal fatto che non è concesso placare il desiderio con l’unione carnale e che l’occasione del desiderio persiste, resa ancora più potente».
Come talvolta accade, ciò che viene condannato è nondimento descritto con accenti che tradiscono… cosa? Per lo meno piena consapevolezza di ciò che rende sopportabile l’esistenza dei miscredenti, a volte persino una vaga nostalgia. Com’è possibile, si chiede il Crisostomo, «che un giovane nel pieno del suo vigore fisico, che coabita con una fanciulla vergine, che le sta seduto accanto, che mangia assieme a lei e conversa con lei tutto il giorno (non aggiungo nulla di altre cose come sorrisi sconvenienti, effusioni e dolci parole e tutto il resto che forse non è neppure bello menzionare) [due amici, insomma], che abita nella stessa casa e condivide con lei la tavola e il sale e che con molta libertà riceve molte confidenze e molte ne fa, non si lasci prendere da nessuna passione umana»?
Fatemeli conoscere, tali uomini, commenta Giovanni, e aggiunge: «Vorrei pure io acquisire un autocontrollo così grande».
(1-segue)
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- Giovanni Crisostomo, Le coabitazioni, introduzione, traduzione e note a cura di D. Ciarlo, Città Nuova 2018 («Collana di Testi Patristici», 254).