Capitolo XIV. Della modestia in commune
La modestia, ch’è una moderazione de’ movimenti esteriori, par che tiri l’origine dalle virtù che abbiamo dichiarate, particolarmente dalla castità, umiltà, mansuetudine e pazienza: perché quell’ordine interiore de’ buoni affetti produce la composizione delle parti esterne dell’uomo, come un frutto bellissimo da vedersi. […] Con tutto ciò aggiungiamo le regole per comporre l’uomo esteriore secondo la disciplina de’ santi Padri, onde osservi quel decoro.
Il capo. Il monaco di maniera deve moderare il capo che non lo porti alzato, né chino, né piegato a questo o a quel lato. Quando cammina, se si sente chiamar da dietro da chi chi sia, non rivolti solamente il capo, ma tutto il corpo. Né allora lo muova con molta fretta, ma riposatamente, come deve fare tutte le volte ch’è necessario muover il capo. Da sé farà ciascuno altre cose modestamente se si ricorderà delle cose che abbiamo dette; ma quel ch’appartiene a gli occhi si tratterà separatamente.
Le braccia. Le braccia s’hanno da muovere in maniera, ogni volta che bisognerà far alcuna cosa, che si fugga l’eccesso, perché né conviene stenderle molto ad usanza de’ secolari, come s’avesse a far mostra della forza, né con difficoltà, come se rincrescesse il faticare. Ma nel coro si devono piegare in modo che stiano alzate al petto, e che si tenga il breviario con l’una e l’altra mano, perché è brutto il tenerlo sotto lo stomaco, brutto il nascondere l’una delle mani, e brutto ciò che dimostra dappocaggine. Nell’orazione le braccia siano inserte sotto la pazienza [qui per capo dell’abito religioso, scapolare], o solamente le mani congiunte si compongano in modo che scaccino la languidezza nemica dell’orazione. Nel refettorio, quando si dà il segno per mangiare, si stendano le braccia lentamente, acciò non paia che la concupiscenza le stimoli. Ne gli altri luoghi (che non è necessario raccontare ad uno ad uno), quando non occorre far alcuna cosa, le mani composte presso la fibbia del cingolo, conservino una modesta positura di sé e delle braccia.
Le gambe. Bisogna governar le gambe di maniera che si compongano con piegarle e stenderle ugualmente, ogni volta che qualche ceremonia particolare non esclude alcuna di loro. Et è da guardarsi di sopraporre piede a piede o gamba a gamba, o ch’in altro modo inusitato entri sconvenevolezza.
Tutto il corpo. Nel camminare bisogna in modo comporre tutto il corpo che non vada né teso, né rimesso (il che appartiene alla disposizione di lui), né camini con fretta, o con lentezza, il che appartiene al moto. Nel sedere, o sia nel coro, o nell’oratorio, o nel refettorio, o nel luogo della ricreazione, o nella cella, o altrove, non stia curvo, né troppo ritto, né distorto, né d’altro modo sconcio che mostri languidezza d’animo, o per il contrario affettazione. Di notte giaccia coperto nel letto come in un sepolcro, perché qualche parte scoperta non offenda gli occhi. Di giorno, nella cella, stando in piedi, inginocchiandosi, o sedendo così compongano il corpo senza appoggiarsi, che quelli che entrano all’improvviso non restino offesi dal vederlo. Finalmente tutto quello ch’offende la vista de gli altri, o di se stessi, si fugga da’ religiosi con diligenza.
L’azione del corpo in compagnia d’altri. Quando si sta per esempio appresso qualche padre, o fratello, bisogna fuggir la molta vicinanza, o distanza, ma attaccarsi al mezzo, che stia bene alla cosa della quale si tratta, il che si conoscerà dalle circostanze. Quando si cammina insieme bisogna avvertire che non si dia fastidio o con l’andar innanzi, o co’l tardare, o con l’impedire gli altri, o con l’urtare gli altri ne’ fianchi, o con altri abusi del camminar modesto. Quando si siede bisogna guardare che con l’accostarsi troppo a gli altri, o con l’impedire la vista, o l’udito delle cose che si dicono, o con qualsivoglia altro modo poco conveniente non si generi fastidio. Et in ogni positura del corpo di maniera s’adattino al corpo le vesti, che siano acconce e coprano tutte le parti, nelle quali (come nelle celle, libri e tutte l’altre cose) lodiamo la nettezza, perché non si fastidiscano i prossimi.
♦ Giovanni di Gesù-Maria (1564-1615), L’istruzione dei novizi (1605) – Instruttione di novitii, composta in lingua latina dal molto R.P. Fra Giovanni di Giesù Maria, Preposito generale della Congregatione de’ Carmelitani Scalzi, et hora per commune utilità tradotta nella volgare, Roma, per Giacomo Mascardi, 1612. [Con qualche leggera normalizzazione ortografica.]