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Ugo di San Vittore ci ricorda tre cose

All’inizio del De verbo Dei, breve e ispirato «opuscolo spirituale» databile al terzo o al quarto decennio del XII secolo1, Ugo di San Vittore, adottando una delle sue molte e molto amate antitesi, ci ricorda che Dio ha «parlato» da se stesso una volta sola, «dicendo» il Verbo, continuando poi a «parlare» attraverso gli uomini mediante la molteplicità delle scritture, dei termini e dei concetti. E ci invita, Ugo, a non disperderci nei «flussi di parole» che scorrono copiosi all’esterno, bensì a prestare ascolto all’unica voce che non muta, non fallisce, non sbaglia. Sarebbe sufficiente qui un breve scivolamento di concetti per rappresentare quello che per molti scrittori di religione è il centro del dramma della modernità: la trasformazione – il «declassamento» – del Verbo di Dio nel verbo dell’io.

Più avanti, nel quarto capitolo, Ugo ci ricorda che all’occhio di Dio non sfugge nulla «perché è presente dappertutto, … è in tutte le cose, … ha la vista acuta, … perché tutto si trova in lui». Ed è interessante il piccolo catalogo di strumenti cui gli esseri umani inutilmente affidano l’illusione di non essere visti (e non solo): «Ai Suoi occhi non c’è mantello [operimentum] che ci possa coprire, né velo [velamen] che ci protegga, né muro [paries] che ci separi, né oscurità [caligo] che ci tenga nascosti».

Nel quinto capitolo Ugo ci ricorda infine che anche il «libro della vita» è uno, cioè il libro della sapienza di Dio, mentre i libri degli uomini sono tanti quanti sono i loro cuori (e anche di più, in verità), e vengono scritti al Suo cospetto in un continuo confronto con quello. Possiamo anche far finta di non conoscerlo, il libro della vita, e di agire senza cognizione, ma intanto scriviamo il nostro libro, che nel tempo sarà interamente manifesto. Quindi, anche se i nostri libri sono per la maggior parte già scritti, preoccupiamoci almeno di correggerli: «Confrontiamo dunque i nostri libri con quel libro affinché, laddove differiscono, si possano correggere, se vogliamo evitare che, quando ci sarà l’ultimo confronto, qualora mostrino di contenere qualche difformità, vengano scartati».

Per chi è addentro alle cose di redazione quell’espressione, ultimo confronto, ha una risonanza speciale, soprattutto se letta nell’originale latino, che dice: «Ne in illa ultima collatione». Dunque possiamo contare su (e temere) un’ultima collazione, per verificare le ulteriori e ultimissime correzioni, e se c’è un certo conforto nell’idea che non sia fissato il numero massimo di bozze, d’altra parte è possibile che le correzioni siano così tante che, come accade in casi disperati al redattore sconsolato, sembri alla fine più consigliabile buttare tutto e ricomporre il testo a partire da un nuovo originale.

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  1. Ugo di San Vittore, La parola di Dio (De verbo Dei), in Sei opuscoli spirituali, a cura di R. Baron, traduzione di M. Spinelli, Edizioni Studio Domenicano 2016.

 

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Proprio nel mezzo (Dice il monaco, LII)

Dice Ugo di San Vittore, monaco agostiniano, intorno al 1130:

Ogni giorno parliamo dell’amore, nel timore che da un momento all’altro possa scintillare e ardere nei nostri cuori, accendendo la fiamma di un fuoco che o tutto brucia o tutto purifica. È da lì, infatti, che viene tutto ciò che è bene; e tutto ciò che è male, viene da lì. La sorgente unica dell’amore, scaturendo dall’interno, alimenta due corsi. Uno è l’amore del mondo: la cupidigia; e l’altro è l’amore di Dio: la carità.

Proprio nel mezzo c’è il cuore umano (medium quippe est cor hominis), da dove sgorga la sorgente dell’amore. Quando l’appetito tende verso le cose esteriori, si chiama cupidigia; quando invece il suo desiderio si volge alle cose interiori, parliamo di carità. Cupidigia e carità, dunque, sono i due flussi che si sprigionano dalla sorgente dell’amore: la cupidigia è la radice di tutti i mali, la carità è la radice di tutti i beni. Da lì viene tutto ciò che è bene, e tutto ciò che è male viene da lì.

Qualunque cosa sia, è qualcosa di grande che abbiamo dentro di noi, ed è da lì che viene tutto quello che viene da noi. E questo è l’amore.

♦ Ugo di San Vittore, La sostanza dell’amore (De substantia dilectionis), I, in Sei opuscoli spirituali, a cura di R. Baron, traduzione di M. Spinelli, Edizioni Studio Domenicano 2016, p. 93.

 

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