Edificazione domenicana: sei storie dalle «Vitae Fratrum»

  1. A san Domenico che stava guadando l’Ariège, nei pressi di Tolosa, «nell’arrotolarsi la tonaca alla cintura gli caddero nel fiume i libri che aveva in seno». Non se ne lamentò, anzi, lodò il Signore per l’accaduto, come faceva per ogni cosa. Tre giorni dopo un pescatore li ripescò, «asciutti come se fossero stati custoditi con somma cura in qualche armadio: cosa oltremodo meravigliosa, perché quei libri non avevano alcuna protezione, né di panno né di pelle». (90)
  2. Una notte san Domenico scorse il diavolo che si aggirava per il convento. Che ci fai qui, maledetto?Ne approfitto, rispose quello. Nel dormitorio «li [i frati] faccio dormire troppo ed alzarsi tardi… E poi, quando posso eccito in loro stimoli carnali e fantasie»; in chiesa li faccio arrivare in ritardo e «li faccio distrarre mentre pregano»; chi c’è poi in refettorio «che non mangia troppo o troppo poco»; e il parlatorio infine «è tutto mio: è qui che si ride, si schiamazza e si fanno discorsi al vento». Allora il santo lo trascinò nella sala capitolare. Ah, no! Disse il diavolo. Qui i frati confessano le loro colpe, qui vengono accusati, qui fanno penitenza e vengono assolti, «questo luogo è per me un inferno». (101)
  3. In viaggio nei dintorni di Besançon, un giorno, il beato Giordano di Sassonia cadde ammalato. Era a letto, tormentato dalla febbre e dalla sete, quando gli si presentò un giovane, «con una salvietta al braccio, come se fosse un cameriere», che gli offrì da bere: Bevi, è buono, ti farà bene. – Non ci penso nemmeno, rispose il beato, e il Maligno si dissolse. (148)
  4. Fatta la confessione, in vista della Comunione del giorno successivo, un novizio del convento di Losanna se ne andò a dormire sereno. Appena addormentato gli si presentò il diavolo: Sì sì, dormi, dormi, ma io c’ho qui un foglietto con le colpe che non hai confessato… Dai, fammi vedere, disse il novizio. See, buonanotte, replicò il diavolo, e scomparve. «Ma inciampò nel vaso dell’acqua santa ch’era lì e il foglio gli cadde. Il frate allora lo raccolse in fretta e…» Al risveglio, supplemento di confessione, e tutto fu sistemato. (216)
  5. Salamanca, 1252. Un professore di filosofia va sentir messa dai domenicani. Alla fine, scoppiato un temporale della m…, il sottopriore lo invita a pranzo. Poi, visto che la pioggia non cessa, gli presta una cappa da frate per tornare a casa: Ah ah, maestro Nicola, vi siete fatto frate! – Eh sì, proprio così, come no! ridacchia il professore, e per tutto il resto della domenica ci scherza su con studenti e conoscenti. Di notte, però, lo prende una febbre tremenda e ode una voce: «Credi forse che io esiga rispetto ed onore solo per le persone dei Frati Predicatori e non anche per il loro abito?» Il mattino dopo il professor Nicola diventa fra Nicola. (238)
  6. «Dotato di bella voce per il canto, adatto all’insegnamento, capace di scrivere e di dettare, buon predicatore, di bell’aspetto e di fascino», c’era un frate che volle lasciare l’Ordine per fare carriera, «come si sussurrava», presso un’abbazia di canonici regolari. Esattamente un anno dopo che, pieno di sé, ebbe svestito l’abito avvenne che, proprio in uno degli ambienti di quell’abbazia, «alcuni si esercitassero al tiro a segno con l’arco». Una freccia andò fuori bersaglio, rimbalzò contro una parete e si conficcò in un occhio dell’ex frate. «Nessun rimedio gli valse.» (403)

Le cinque storie sono tratte da: Storie e leggende medievali. Le «Vitae Fratrum» di Geraldo di Frachet o.p., traduzione e note di p. Pietro Lippini o.p., Edizioni Studio Domenicano 1988. Composta tra il 1257 e il 1260, e successivamente ampliata, l’opera fu realizzata su iniziativa di Umberto di Romans (che l’approvò nel capitolo generale di Strasburgo del 1260), «prima che l’oblio, che già molte cose ha cancellato dalla mente dei frati, non finisca per seppellire ogni cosa». Così Geraldo, il compilatore incaricato da Umberto, conclude la sua prefazione: se il lettore troverà qualcosa di buono in questo libro, il merito ovviamente sarà del Signore; se invece non gradirà, ricordi che non tutti hanno gli stessi gusti, e «non stronchi il mio lavoro con rabbia e disprezzo. Il disprezzo è proprio di chi crede impossibili le cose meravigliose e spregevoli quelle edificanti».

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