La schiuma delle parole: i certosini e i libri

Sull’ultimo numero di «Benedictina» è apparso un articolo molto interessante della studiosa Emanuela Garibaldi dedicato al ruolo dei libri e della lettura all’interno dell’ordine certosino, con particolare riguardo agli aspetti pratici e normativi1. Lo studio si estende dalle prime scritture normative, le Consuetudines Cartusiae del priore Guigo I, del 1127, attraverso le varie stesure degli Statuti, fino agli Annales ordinis Cartusiensis del priore Innocent Le Masson (1627-1702).

Sin da subito è chiaro come il libro sia centrale per la vocazione certosina («oggetto privilegiato nella propria formazione intellettuale e spirituale»), orientata al distacco dal mondo e alla contemplazione delle «cose divine»; libro da leggere, da trattare con somma considerazione, ma anche libro da ricopiare: il monaco, scrive infatti Guigo, «riceve dalla biblioteca [de armario] due libri da leggere. Riguardo ad essi gli viene ordinato di prestare tutta l’attenzione e la cura a che non vengano sporcati né dal fumo, né dalla polvere, né da qualunque altro tipo di sporcizia. Vogliamo, infatti, che i libri, quale eterno cibo delle nostre anime, siano custoditi con la massima cautela e con il massimo impegno, affinché, dato che non possiamo predicare la parola di Dio con la bocca, lo facciamo con le mani. Quanti sono, infatti, i libri che ricopiamo, altrettanti araldi della verità in vece nostra ci sembra di fare»2.

Cautela e impegno massimi anche perché i libri sono pochi e costosi da produrre, in termini di materiali e di tempo, tanto che nei testi legislativi compaiono assai presto disposizioni riguardanti il loro possesso, il prestito e la mancata restituzione. Anzitutto il possesso che non può mai in alcun modo essere individuale, bensì sempre e soltanto del monastero, un legame che rimane inscindibile anche in caso di prestito (per esigenze di copiatura) o di temporaneo spostamento (in seguito a viaggi, soprattutto di priori). La mancata restituzione, poi, è trasgressione tutt’altro che lieve: «Il XV secolo è costellato di ordinationes capitolari inerenti a diatribe legate alla proprietà di beni librari». Gli scambi e le delibere vengono discusse nel Capitolo annuale di Grenoble e non sono cose da trattarsi con leggerezza: c’è traccia ad esempio del priore della certosa di Capri che nel 1423 si dimentica di portare i libri che doveva restituire ai monaci di Villeneuve-les-Avignon, o il denaro corrispondente al loro valore, e non è nemmeno la prima volta: gli viene quindi imposta l’astinenza dal vino. In certi casi le pene per i «crimini librari» possono arrivare alla sospensione dal proprio ufficio o addirittura all’incarcerazione (occorsa nel 1426 a un monaco di Valbonne per aver sottratto una Bibbia e un salterio già promessi ad altra certosa).

Va da sé che il punto di svolta è rappresentato dall’invenzione e diffusione della stampa, ma, se l’ansia per la penuria dei libri si stempera (ancorché lentamente), non diminuisce la preoccupazione per la correttezza dei testi sui quali i monaci pregano, studiano o meditano, che anzi si acuisce in seguito all’esplosione della Riforma e ai risvolti anche librari che assume. Il tempo che prima era dedicato alla copiatura si riversa, per così dire, in quello riservato alla lettura; attenzione, però: la maggiore disponibilità non deve tradursi in distrazione o pericolosa bramosia di sapere. Per dire, sono proibite tutte le edizioni delle sacre scritture curate da Erasmo («contrarie alla religione certosina»); viene scoraggiato lo studio eccessivo del greco («Vi sono infatti alcuni che […] affermano anche che nessuno possa giungere alla vera conoscenza e comprensione delle Sacre Scritture se non è istruito nella lingua greca. E così trascorrono il tempo concesso per le letture sacre, cedendo a una certa curiosità d’animo, nelle lettere greche, oltre che in quelle ebraiche»); va bene lo studio, soprattutto per i monaci maturi e formati, ma alcune materie vanno evitate, in primis l’alchimia e l’astrologia («Ingiungiamo solennemente, pena la reclusione, che [il monaco] non si immischi nelle previsioni fallaci dell’astronomia», 1462), ma anche in certa misura la medicina e il diritto (che spinge a occuparsi di questioni cavillose e infruttuose).

Da tali preoccupazioni derivano così elenchi di libri «giusti» e di edizioni corrette, l’introduzione dell’approvazione del priore generale per la stampa di testi liturgici, il divieto di porre aggiunte o correzioni in margine ai libri concessi, l’adozione delle disposizioni dell’Indice di Paolo IV (1559) e di quelli successivi, l’obbligo per i padri visitatori di controllare i libri presenti nelle biblioteche e nelle celle dei monasteri («Ordiniamo che i visitatori di ciascuna Provincia, nonché i convisitatori, quando visitano le case a loro affidate, verifichino i libri conservati sia nelle singole celle sia nelle biblioteche comuni, e che lo facciano con la massima cura possibile», 1567); le grandi imprese di pubblicazioni uniformi dei testi fondativi e statutari. E così via, in buona sostanza fino al XVIII secolo.

D’altra parte, la lettura del monaco certosino ha sempre e soltanto uno scopo, ben chiaro anch’esso sin dalle origini. Lo afferma Bernardo, priore di Portes, nella famosa lettera a un monaco recluso, del 1128-30: «Accostati alla lettura devotamente e con desiderio spirituale, affinché tu possa udirne qualcosa che valga come esempio per la tua conversione, oppure, come il Signore si degnerà di fartene dono, tu possa essere ristorato dalla dolcezza dei discorsi e dei misteri divini. Leggi tutte le sacre Scritture di cui potrai disporre con questa diligenza e con tale intenzione, non per gonfiarti di sapienza, ma per essere edificato nella carità». E con una bella immagine lo suggerisce lo stesso Guigo, in una lettera sulla vita solitaria dei medesimi anni: «Si dedica [il monaco] alla lettura, soprattutto di opere canoniche e religiose, nelle quali conta più il midollo del significato che la schiuma delle parole [in quibus eam magis occupat medulla sensuum quam spuma verborum]».

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  1. Emanuela Garibaldi, «Eterno cibo delle nostre anime»: la disciplina della lettura nelle fonti normative dell’ordine certosino, in «Benedictina» 69 (2022), n. 1-2, pp. 55-93.
  2. Le consuetudini di Guigo I, XXVIII, 3-4, in Fratelli nel deserto. Fonti certosine II. Testi normativi, testimonianze documentarie e letterarie, a cura di C. Falchini, Edizioni Qiqajon-Comunità di Bose 2000.

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