Nella collana degli «Scritti monastici» dell’Abbazia di Praglia, della cui biblioteca è direttore, il p. Timoteo Tremolada ha pubblicato un volume singolare, per struttura e argomento, dedicato al monachesimo sinaita, che accorpa notizie geografiche, storiche, profili di personaggi e testi1. Singolarità che è anche del luogo, il deserto del Sinai, «questo angolo di mondo dove Dio è sceso a parlare con l’uomo e l’uomo, pur avendo visto Dio, non è morto», che ha attirato eremiti e monaci sin dalla metà del III secolo.
Grazie a una paziente esplorazione delle fonti l’autore ridà vita a una schiera di personaggi che, pur nella comprensibile scarsità di notizie biografiche, confinante con l’anonimato, emergono in virtù di un nome che non ci lascia indifferenti, magari di qualche detto tramandato e soprattutto del desiderio estremo di cercare Dio in un luogo vuoto di qualsiasi altra cosa: l’abba Barsaumâ, l’abba Silvano, l’abba Meghezio, l’abba Nicone: «Sappiamo ancora di monaci», prosegue l’autore, «il cui nome ci rimane sconosciuto, che avevano come unico desiderio quello di “fuggire la gloria e il sollievo di questo mondo”. Oppure di monaci come l’abba Xoio, uomini di preghiera capaci di aprire il cielo perché desse la pioggia». Uomini dal fisico resistentissimo che abitavano grotte, rifugi, gole e monasteri disseminati sulle pendici del monte Sinai, come quello che diventerà poi famosissimo quando sarà intitolato a santa Caterina e che il suo fondatore, Giustiniano, pose sul pendio della montagna, poiché «nessun uomo può dormire sulla vetta a causa di incessanti rumori e altri misteri d’origine divina che lì si sentono la notte, spaventosi per la mente e per l’animo» (Procopio di Cesarea).
Il volume allinea poi gli autori che fiorirono in quei luoghi. A partire da Nilo Sinaita, autore delle Narrationes (pubblicate in traduzione), che «l’amore dell’esichia… strappò via dalla folla degli uomini e dall’abbondanza dei beni e… condusse nell’amato deserto, e là… nutrì a lungo di una soavissima tranquillità»; per continuare con Teodoro e Giovanni di Raito, Anastasio, Filoteo ed Esichio, fino al tardo Gregorio. Su tutti spicca il grande Giovanni Climaco, autore della Scala del paradiso, che a sedici anni era «maturo per senno come se ne avesse mille».
Vengono presentati quindi due testi dedicati ai martiri di Raito e del Sinai, rispettivamente di Ammonio di Raito e di Nilo Sinaita. Quest’ultimo, nel terzo dei suoi ampollosi «racconti» (che meriterebbero un discorso a parte, tanto sono ricchi di spunti oltre che di notizie), dà una curiosa descrizione della vita di quei monaci che, dediti a una «generosa emulazione» della vita angelica, hanno ridotto i loro consumi al minimo indispensabile, hanno bandito il denaro («dato che ciascuno offre all’altro gratuitamente ciò di cui ha bisogno»), gareggiano in umiltà e in nascondimento e «vivono solitari in celle non contigue o congiunte, ma separate da un idoneo intervallo» – e quanto ci piace questo idoneo intervallo che sa di avventura comune ma senza intimità. Vivono distanziati non perché siano scontrosi, o rozzi, o afflitti da una «tristezza recondita», «ma per appartarsi nella quiete e così adattare i propri costumi al beneplacito di Dio e creare con lo stesso Dio una relazione mediante una preghiera senza interruzione».
Il volume si conclude con una raccolta di apoftegmi di Anastasio sui padri sinaiti, detti e storie di cui credo non sarò mai sazio, come quella dei due gemelli escubitori (cioè sentinelle) che, dopo essere nati insieme, aver combattuto insieme, essersi convertiti insieme e insieme essere morti nel deserto, non vollero essere separati nemmeno nella sepoltura; o quella dei porcospini che si mangiarono i legumi di abba Stefano e furono poi mangiati a loro volta da un leopardo inteneritosi per la tristezza dell’anziano; o il racconto del giudizio ultraterreno che attende ogni anima sotto forma di esattorie che un tal Niceta rese ad abba Talassio; o il caso di abba Giorgio che non aveva nulla da offrire ai suoi ospiti «perché il cappero selvatico di cui si nutriva era d’una amarezza tale da poter uccidere un cammello». E ho detto tutto.
Un gran bel volume, come tutti quelli che escono poco alla volta negli «Scritti monastici» dell’Abbazia di Praglia.
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- Timoteo Tremolada, Sinai: dove fiorisce il deserto, Abbazia di Praglia 2017 («Scritti monastici»; 52). È il curatore stesso a ricordare che «il presente lavoro, nato da un suggerimento del prof. p. Tomáš Špidlík (1919-2010), costituisce un po’ la sintesi di una ricerca, sui padri del deserto, iniziata nei primi anni della mia vita monastica. Affascinato da questi atleti dello spirito, ho voluto dare uno sguardo particolare ad un frammento di storia del monachesimo delle origini, forse meno conosciuto, che si è sviluppato nella penisola del Sinai» (p. 7).
Come mi è caro questo argomento! Basti dire che il mio cammino spirituale – che dura da 23 anni – ha avuto il suo inizio proprio da questi Santi Padri. Gratitudine ai massimi livelli!
Veri “atleti dello spirito”, come li definisce l’autore.
La ringrazio per la costante attenzione.