Dice abba Nilo, il Sinaita, intorno alla seconda metà del V secolo:
Lo spirito di coloro che sono meno presenti a se stessi, durante la preghiera, si dilata in una tranquilla spensieratezza, e vaga lontano, e a se stesso rievoca i commerci, i viaggi per mare, le costruzioni, le piantagioni, i matrimoni, i rapporti sessuali, le spedizioni, i guadagni, i giudizi, i fori, i tribunali, i troni, i banditori, i pretori, le vendette dei nemici, gli incontri e i conviti degli uomini, le fuzioni del tribunato, le amministrazioni pubbliche e familiari, e persino la dignità imperiale.
Ma mentre lo assedia in spazi angusti il pericolo che sovrasta da ogni parte con una fondata paura, allora, costretto dal male, ritorna in se stesso, e si ritira e si ricompone da quelle fantasticherie nelle quali era solito riversarsi liberissimamente a briglie sciolte in forza della sua spensieratezza: è tutto immerso nella situazione del proprio dolore e con preghiere umilissime si rivolge a Dio, il quale, egli solo onnipotente, con un batter d’occhi e con un cenno benigno sbroglia ogni difficoltà, anche la più disperata.
♦ Nilo il Sinaita, «Settimo racconto» (Narrationes), in Timoteo Tremolada, Sinai: dove fiorisce il deserto, Edizioni Scritti Monastici, Abbazia di Praglia 2017, p. 219.