Che cosa i monaci hanno da dirci sulla morte (Nicolas Diat, «Tempo per morire», pt. 1/2)

Dopo aver esplorato la dimensione del silenzio con il libro nato dalle conversazioni con il cardinal Sarah, La forza del silenzio1, lo scrittore francese Nicolas Diat ha deciso di avanzare su un terreno da molti evitato a priori: la morte; quella morte della cui rimozione, sia fisica – per quanto possibile –, sia concettuale, spesso il cosiddetto mondo moderno è accusato, al punto che, non soltanto una «liturgia della morte» non esisterebbe più, ma gli esseri umani non saprebbero più nemmeno «come si muore». «Di fronte a questa terra desolata», scrive Diat, introducendo il suo récit, «mi è venuta l’idea di imboccare la strada dei grandi monasteri per scoprire che cosa i monaci hanno da dirci sulla morte»2. Questi monasteri, tutti maschili va detto, sono otto e sono davvero «grandi», per storia, tradizioni, susseguirsi di generazioni, è sufficiente allinearne i nomi: Lagrasse, En-Calcat, Solesmes, Sept-Fons, Cîteaux, Fontgombault, Mondaye e la Grande-Chartreuse. Diat li ha visitati, prevalentemente nel corso del 2017, ha parlato con i monaci, prevalentemente con abati, priori e infermieri, e ne ha ricavato un libro che non esiterei a definire eccellente. O forse è meglio dire un libro che mi ha colpito molto, per due motivi principali, al di là – ça va sans dire – dell’interesse per l’«argomento»: la straordinaria autenticità con la quale sono restituite le voci dei monaci che hanno accettato di rispondere alle domande dell’autore e la forza espressiva con cui sono raccontati alcuni casi particolari.

E già qui, tra l’altro, mi pare si possa evidenziare una specificità monastica proprio nella conservazione della tradizione del «racconto della morte», una tradizione che risale i secoli fino ai «rotoli mortuari» medioevali e che sopravvive grazie a un’altra circostanza che i monaci difendono strenuamente, e che non si può non riguardare senza ammirazione: la morte in comunità, la morte accompagnata dalla comunità. Pur non senza contraddizioni e rigurgiti d’egoismo, lucidamente confessati, i confratelli sono realmente vicini al morente e ne sono i testimoni degli ultimi mesi, giorni, minuti di vita. A volte il morente si ribella, a volte si richiude in se stesso, a volte persino fugge, e a volte invece accoglie con umiltà ciò che deve accadere, ciò che lui crede che il Signore abbia disposto per lui: la comunità è sempre lì e il morente non è mai solo. L’abate di Solesmes, dom Philippe Dupont, spesso in viaggio per le necessità della congregazione, ha addirittura l’abitudine di chiedere ai suoi monaci di morire solo se lui è presente: «Fratello Pierre Buisson non voleva compiere cent’anni», ricorda dom Dupont. «Sapevo quindi che il suo tempo era giunto; da qualche settimana si era come rimpicciolito. Alla fine di maggio dovevo partire per la Spagna, così gli ho chiesto di attendere il mio ritorno per morire: mi ha obbedito. Rientrando all’abbazia, sono andato direttamente nella sua cella ed è cominciata subito la veglia: si è spento come una fiammella.» Dom Patrick Olive, abate di Sept-Fons, ricorda invece che fratello Paul aveva bisogno di una presenza discreta. Non era mai stato uomo di molte parole, ma con la malattia si era manifestato un nuovo bisogno di parlare, e l’abate era là per ascoltarlo. «Una sera, durante l’ultima veglia, il vecchio monaco si è rivolto all’abate e, col suo accento di contadino alsaziano, gli ha detto: “Voi siete mio padre, non ho mai avuto un altro padre che voi”.»

E ancora: «Avevamo ormai la certezza che stesse per lasciarci», dice dom Emmanuel-Marie, abate di Lagrasse, ricordando la morte di fratello Vincent. Il tempo delle crisi, dello sconforto e della sofferenza ininterrotta era finito, e con lui se n’era andata anche la paura: «L’ultimo respiro, l’ultimo sguardo, l’ultimo battito del suo cuore avevano un’aria di vittoria. Al suono della campana i confratelli hanno preso a radunarsi nella camera dove fratello Vincent stava per morire: a mano a mano che arrivavano, si inginocchiavano. Qualche minuto dopo il decesso, tutta la comunità era raccolta intorno a lui. Tutti guardavano il bel volto di colui che era appena morto, alcuni pregavano, alcuni piangevano».

(1-continua)

______

  1. Robert Sarah con Nicolas Diat, La forza del silenzio. Contro la dittatura del rumore, prefazione di Benedetto XVI, traduzione di A. Cappelli, Cantagalli 2017.
  2. Nicolas Diat, Un temps pour mourir. Derniers jours de la vie des moines, Fayard 2018.

 

6 commenti

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6 risposte a “Che cosa i monaci hanno da dirci sulla morte (Nicolas Diat, «Tempo per morire», pt. 1/2)

  1. Paola

    Estremamente commuoventi… Grazie!

  2. Sergio Vailati

    Buonasera Sa se uscirà in Italiano questo libro? Grazie

    Sergio

    >

  3. MrPotts

    Intanto sto preparando la seconda puntata (e ce ne starebbe anche una terza…), e poi, sì, segnalerò la traduzione, se e quando sarà pubblicata.
    Grazie a lei.

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