Ho letto con una certa «fatica» le meditazioni del cardinale Robert Sarah sul silenzio, meditazioni raccolte e travestite da risposte alle domande del giornalista e scrittore Nicolas Diat nel volume La forza del silenzio, apparso in Francia l’anno scorso e quest’anno in traduzione italiana1. Un po’ me lo aspettavo, considerando il profilo dell’attuale Prefetto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, i suoi ferventi sostenitori e le polemiche di cui è stato di recente al centro, fuori e dentro la Chiesa, per via delle sue prese di posizione apertamente «tradizionaliste»; d’altra parte l’argomento squisitamente monastico imponeva la lettura del libro, nato appunto dall’amicizia del cardinale con un monaco dell’abbazia francese di Lagrasse e da un successivo ritiro presso la Grande Chartreuse. In tale occasione, peraltro, ha preso corpo l’ultimo, lungo capitolo del volume, che riporta il dialogo intrattenuto dal cardinal Sarah con il priore della Grande Chartreuse, e Ministro generale dei Certosini, dom Dysmas de Lassus.
La fatica, se così la vogliamo chiamare, è ascrivibile a due motivi. Da un lato l’insistenza del tono censorio e del lessico apocalittico usati da Robert Sarah per definire la situazione attuale, dominata dalle «ideologie post umane»: non mi è impossibile comprendere il punto di vista del cardinale, mi è assai difficile invece digerire un torrente in piena di formule come «oscenità mondane», «macchine infernali che spingono al funzionalismo», «democrazia di cianfrusaglie», «onirismo senza consistenza», «bisogno bulimico di icone adulterate», «prigioni luminose», «agitazione diabolica ed estenuante», «distruzione delle coscienze» e come «questo mondo che non smette mai di gesticolare, cercando di assordarci e di stordirci per meglio abbandonarci come relitti sventrati dalle barriere coralline, volgari e inutili rifiuti, gettati sulla riva» (p. 54) – tutto male, senza eccezione.
In secondo luogo mi è altrettanto difficile accogliere il «metodo del paradosso» (la definizione, non molto efficace, è mia) utilizzato, anche in questo caso, a oltranza. Un esempio perfetto di tale metodo espositivo è questa frase: «Il silenzio non è un’assenza. Al contrario, è la manifestazione di una presenza, più intensa di qualsiasi altra presenza» (p. 34), o anche il titolo del secondo capitolo Dio non parla, ma la sua voce è nitida2. La riflessione sul silenzio, quello di Dio e quello respinto o accolto dagli esseri umani, si rivela un terreno particolarmente fertile per il proliferare di ossimori, di ribaltamenti e, appunto, di paradossi: che si tratti di un tentativo per esprimere un’esperienza, o una ipotetica realtà, che va oltre l’esprimibile, lo capisco3; da laico, tuttavia, chiamato talvolta direttamente in causa dal cardinale4, dichiaro la mia difficoltà e la mia preferenza, in genere, per ciò che è esprimibile.
Se il silenzio è dunque lo strumento di comunicazione privilegiato nel rapporto tra Dio e l’uomo, ecco allora che nella visione del cardinale i contemplativi assumono un ruolo centrale nel panorama della cristianità contemporanea, della stessa Chiesa. «Nella Chiesa», afferma con decisione Robert Sarah, «pur stimando l’opera dei missionari e il merito del loro sacrificio, sono i monaci e le monache che rappresentano la forza spirituale più grande. I contemplativi sono la più grande forza missionaria ed evangelizzatrice, l’organo più prezioso e più importante per trasmettere la vita e mantenere in tutto il corpo l’energia essenziale.» I monaci, secondo il cardinale, raccolgono l’offesa del «mondo postmoderno» e si offrono in sacrificio «per i loro fratelli». Ci offrono un’immagine potente, che dobbiamo imparare a fare nostra, quella del chiostro, vera cittadella interiore dove «vivere un rapporto intimo con Dio», unico luogo nel quale «possiamo cercare Dio», e le loro case, i monasteri, «sono le dighe che proteggono l’umanità dalle minacce che incombono su di essa».
A questo punto risulta ancor più interessante ascoltare cos’ha da dire a riguardo un monaco, e va riconosciuto al cardinale il fatto di essere andato personalmente a raccoglierne la testimonianza.
(1-segue)
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- Robert Sarah con Nicolas Diat, La forza del silenzio. Contro la dittatura del rumore, prefazione di Benedetto XVI, traduzione di A. Cappelli, Cantagalli 2017.
- Ci sarebbe molto da dire sull’uso pervasivo e dimostrativo di quella semplice particella avversativa, «ma», un uso che non posso seguire («Il silenzio di Dio è incomprensibile e inaccessibile. Ma l’uomo che prega sa che Dio lo ascolta allo stesso modo in cui ha compreso le ultime parole di Cristo sulla Croce. L’umanità parla e Dio risponde con il suo silenzio», il corsivo è mio).
- «Mai il mondo ha parlato altrettanto di Dio, della teologia, della preghiera e persino della mistica. Ma il nostro linguaggio umano riduce a un livello molto povero tutto quello che cerca di dire su Dio. Le parole sciupano tutto ciò che le supera», p. 148.
- «Sono convinto che il problema dell’ateismo contemporaneo risieda innanzitutto in una cattiva comprensione del silenzio di Dio di fronte alle catastrofi e alle sofferenze dell’uomo. Se l’uomo non vede nel silenzio divino altro che una forma di abbandono, di indifferenza o d’impotenza di Dio, potrà difficilmente entrare nel suo mistero indicibile e inaccessibile», p. 109.