Per chi è appassionato di storie di monasteri la lettura del volume di Maria Grazia Franceschini, dedicato alla Visitazione di Salò, è di grande soddisfazione. Non soltanto l’autrice si è passata con pazienza tutte le carte d’archivio (tra gli altri, i fondamentali «libri cassa», con tutte le distinte di spesa!), ma ha saputo raccontare con gusto e sensibilità il materiale di oltre trecento anni di storia. E pazienza se si avverte una punta di apologia – l’autrice è suora visitandina della stessa comunità –, le vicende narrate in fondo lo meritano.
Perché, oltre che ovviamente di fede, è una grande storia di tenacia, di stabilità, di resistenza, di testimoni passati su tempi lunghi. Molto lunghi, se si considera che l’atto di nascita della comunità è un testamento del 1591, di tale Bartolomeo Pedretti, che legava la sua eredità (terreni e capitali), al venir meno dei legittimi eredi, alla cittadinanza di Salò per la costruzione di un monastero di clausura femminile, «sotto la regola di san Benedetto». I legittimi eredi vengono effettivamente meno e comincia una prima fase di burocrazia, protagonista della quale sono il Consiglio generale del comune salodiano (sì, ho imparato l’aggettivo), un esercito di periti e le autorità competenti della Repubblica di Venezia, di cui Salò all’epoca fa parte. Tra parentesi, la storia del monastero è anche una storia della burocrazia, da quella della Serenissima, appunto, a quella della attuale Repubblica, passando per francesi, austriaci, piemontesi, fascisti e repubblichini, tanto che la comunità sarà costretta giocoforza a maturare una notevole competenza in materia di regolamenti e certificati: in particolare le superiore, una processione di donne di profonda spiritualità, ma anche di indubitabile senso pratico.
Il decreto veneziano si fa attendere undici anni, ma finalmente nel 1626 arriva e concede «di poter a gloria del Signore Dio erigere nella terra di Salò […] un monasterio per introdurvi donne che vorranno monacare, con una chiesa per celebrare li divini uffici, et siano figliole di cittadini et abitanti in detto luogo in quel numero che sarà stimato bastare». Il legame tra l’istituzione e il luogo e la sua popolazione comincia da subito a delinearsi, ma una guerra, quella per la successione del ducato di Mantova – la prima delle tante di cui il monastero sarà testimone –, per così dire, blocca la pratica.
Passano gli anni, oltre sessanta: bisogna riprendere le carte, rifare tutto da capo, preoccuparsi soprattutto della dotazione economica dell’impresa, ma nel 1698 parte la nuova petizione, questa volta per la costruzione «di uno monastero di monache dell’istituto della Visitazione di Santa Maria sotto li auspici del glorioso san Francesco di Sales», istituto ritenuto più adatto date le condizioni di povertà del paese, sia per la moderazione della regola, sia per la misura della dote richiesta alle postulanti. Contro le visitandine di Arona, possibili fondatrici e sostenute dalle famiglie nobili bresciane, si levano le benedettine di Piacenza, che si richiamano al testamento originario. Ci vogliono ancora dodici anni, di carte, garanzie, trattative, perorazioni, provvidenziali uscite di scena, rogiti e «solenni instromenti», e finalmente l’11 giugno 1712 il vescovo di Brescia «erige formalmente il monastero».
La fondazione è affidata alle monache di Arona, che già nell’ottobre si riuniscono per stabilire chi deve partire per Salò.
(1-continua)
Maria Grazia Franceschini, Alle porte della città. Il monastero della Visitazione di Santa Maria di Salò, introduzione di G. Archetti, Studium – Associazione per la storia della Chiesa bresciana 2012 (il volume può essere letto anche qui).
ciao! se ti può interessare tanto tempo fa ho scritto questo
http://www.mondimedievali.net/personaggi/teresa.htm
Grazie.