«Se sant’Isidoro di Siviglia è un ispano-romano che legifera nella sua regola con una soave ed equilibrata ponderazione per i monaci di media o bassa ascesi, san Fruttuoso di Braga è un goto di grande forza e coraggio, che impone rigore e decisione generosa senza riserve per darsi alla vita monastica e alla virtù»: bello questo incipit dell’introduzione alla Regola dei monaci di Fruttuoso di Braga, è come un’ouverture che ti dispone allo spirito dell’opera che stai per ascoltare. Che nella fattispecie è una breve regola (24 articoli) data intorno al 646 da Fruttuoso per il monastero che fondò a Compludo – bel posto dimenticato da Dio nei pressi di Ponferrada, nella regione di León. È collegata alle medesime fonti della Regola di Isidoro, insieme alla quale è stata prevalentemente tramandata.
È piena di cose curiose, non ha una vera struttura, la sequenza degli argomenti sembra del tutto casuale e le prescrizioni sono spesso affiancate con dei nessi dei quali sfugge il senso («nessuno tenga per mano un altro, né ad un certo punto se ne vada in qualche luogo senza benedizione»): questo la rende molto interessante. Talvolta il precetto è quanto di più generico: «Il servo di Cristo non deve essere affatto finto, ma veritiero»; altre volte si scende nel dettaglio estremo: «Usino i calzini dalle calende di novembre fino alle calende di maggio». Talvolta la casistica delle colpe sorprende un po’ («chi mente, chi ruba, chi percuote», «se qualcuno fosse stato trovato ubriaco nel cenobio»); altre volte l’abate sembra un sergente istruttore («due volte alla settimana l’abate o il preposito rivolti il letto di ciascuno e frughi bene per vedere se qualcuno vi avesse messo qualcosa di superfluo o di nascosto»). Una volta ci si trova trasportati nel silenzio e nel buio, quasi inimmaginabili oggi, di una notte del VII secolo: «Poi, avviandosi verso il suo dormitorio in sommo silenzio, con atteggiamento raccolto e passo calmo… ognuno raggiunga il suo letto, dove… infine termini la sua orazione, e non ardisca far rumore, o brontolare o scaracchiare fortemente, ma si addormenti, nel silenzio della notte»; un’altra volta un gesto simbolico riacquista tutto il suo significato reale: «Agli ospiti o ai fratelli pellegrini… la sera bisogna lavar i piedi che, se sono in cattive condizioni per il viaggio, devono essere unti con olio».
Le sanzioni, come si ricordava all’inizio, sono dure, e si estendono da ogni specie di privazione alle punizioni corporali («se neppure così si emenderà, sia sferzato molto energeticamente»). Il culmine viene raggiunto per una circostanza di massima gravità, che raramente viene evocata così esplicitamente nelle regole: «Colui che va dietro ai bambini o ai giovani, o colui che fosse sorpreso a baciarli o in qualunque turpe occasione…» Se l’accusa è provata, e gli eventuali testimoni attendibili, il colpevole viene frustato, privato della tonsura, «subirà l’ingiuria di avere il viso ricoperto degli sputi di tutti», messo in ceppi e sbattuto in cella per sei mesi (con solo tre pani d’orzo la settimana); in seguito altri sei mesi di una specie di libertà vigilata e infine reintegrato «sempre sotto la custodia e la sollecitudine di due fratelli spirituali».
Quali bambini, ci si potrebbe tra l’altro domandare, considerato che i monaci non devono «assolutamente andare in alcun luogo tranne che per motivo di necessità». Una risposta può venire dal sorprendente capitolo 6 della Regola comune, un’altra regola di ispirazione fruttuosiana diffusa nella Spagna visigota del VII secolo. Un capitolo che merita di essere letto per esteso.
(1-continua)
Fruttuoso di Braga, Regola dei monaci, in Regole monastiche della Spagna visigota, introduzione e note di J. Campos Ruiz, Edizioni Scritti Monastici, Abbazia di Praglia, 2014.