14. Ci sono molti monaci nelle poesie del polacco Adam Zagajewski (nato a Leopoli nel 1945): monaci che cantano nella notte, cd di gregoriano in macchina, aironi fermi «come tante monache». L’apparizione più interessante è in un verso di R. dice: «Sorci letterari – dice R. – ecco chi siamo», e il ritratto che di «noi» fa l’amico del poeta si conclude con un minimo cenno, quantomai significativo: «Benedettini di un’epoca atea, missionari di una facile disperazione». (In Dalla vita degli oggetti. Poesie 1983-2005, a cura di K. Jaworska, Adelphi 2012, p. 73.)
15. La permanenza di Ludwig Wittgenstein nel monastero agostiniano di Klosterneuburg (presso Vienna) nell’agosto del 1920 è una circostanza che colpisce chiunque (per propri limiti) si avvicini alla sua biografia più da un punto di vista sapienziale che scientifico. Quello che cercava lì, in maniera a suo modo pertinente, era «un qualche tipo di lavoro regolare, che di tutte le cose che posso fare nella mia attuale condizione, se non sbaglio, mi pare ancora la più sopportabile». Un mesetto come aiuto giardiniere, a faticare nel vivaio, in modo che «alla sera, quando ho finito, sono stanco, e non mi sento infelice» (Lettere a Paul Engelmann). D’altra parte, per quanto infelice, straziato (lutti, la guerra, la videnda del Tractatus) e dubbioso circa il proprio futuro, non smise di essere ciò che era, e le testimonianze riportano che a) era «ben nutrito dalla capo-cuoca, che l’aveva preso in simpatia e che gli dava pasticcini e talvolta anche carne dalla tavola dei canonici» (McGuinness); e che b) «un giorno l’abate del convento gli passò accanto mentre era intento al lavoro e osservò: “Vedo che l’intelligenza ha la sua importanza anche nel giardinaggio”» (Monk).