Leggendo il terzo frammento superstite, mutilissimo, del De Cruce di Bonvesin de la Riva1 ci si imbatte in una storiella semplice e nondimeno curiosa, che assegna a un alimento in genere non temuto un insospettabile potere di tentazione.
La storia, come informa la curatrice del testo, Silvia Isella, è tratta di peso dai Dialoghi di Gregorio Magno2 e narra di un provvidenziale esorcismo compiuto da Equizio, fondatore e abate di monasteri nell’Italia centrale del VI secolo. L’episodio, e il suo protagonista, ho appreso, è sempre stato oggetto dell’interesse degli studiosi e ha attirato anche l’attenzione di Erich Auerbach, «come esempio di “realismo” medievale e di stile popolare».
Stile popolare che si direbbe esaltato dal volgare di Bonvesin. Un certo giorno, infatti, in uno dei monasteri che Equizio «havea in soa cura», «andando una dre moneghe | per l’orto a la verdura, / Et eco ella have vezudho | entr’orto una lagiuva». Il desiderio di addentare la lattuga è forte, e non sarebbe così grave, se la monaca non dimenticasse di benedirla adeguatamente con il segno della croce («no fé lo segno dra crox»).
Al primo morso scatta il dramma: il diavolo se la prende all’istante, e la povera serva di Dio «se buta in terra | com femena inganadha, / E dal malegno spirito | crudelmente fi turbadha». Si manda a chiamare Equizio, che accorre e si mette subito a pregare per la sventurata. Al che il diavolo, subdolo, parlando con la voce della sua vittima, fa come per discolparsi…
La conclusione della storia la leggiamo solo in Gregorio Magno, poiché il testo di Bonvesin qui si ferma, e ne ricaviamo un avvertimento: attenzione anche ai più innocui cespi d’insalata, non si sa mai chi vi possa essere appostato. Sbraita infatti il diavolo a Equizio che lo scaccia: «Che cosa ho fatto? Che cosa ho fatto? Me ne stavo seduto sopra la lattuga, costei è venuta e mi ha morso»3.
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- Bonvesin de la Riva, De Cruce, testo frammentario inedito a cura di S. Isella Brusamolino, All’Insegna del Pesce d’Oro 1979.
- Gregorio Magno, Dialoghi I, 4, 7, in Storie di santi e di diavoli, introduzione e commento di S. Pricoco, testo critico e traduzione a cura di M. Simonetti, vol. I, Fondazione Lorenzo Valla, Mondadori, 2005, p. 34-37.
- «Ego quid feci? Ego quid feci? Sedebam mihi super lactucam. Venit illa et momordit me.»