Trois jours et trois nuits. Le grand voyage des écrivains à l’abbaye de Lagrasse, préface de N. Diat, postface du père Emmanuel-Marie Le Fébure du Bus, Librairie Arthème Fayard / Pluriel 2021. «Dopo le recenti esperienze di confinamento, negli anni a venire forse proprio il chiostro sarà il nostro destino globale, se i viaggi e la mobilità saranno sempre più limitati da nuove pandemie o dalla paura di un aggravamento ulteriore della crisi climatica. Le piccole società monastiche, sobrie e autosufficienti, sarebbero quindi una prefigurazione del nostro futuro: quanto di più arcaico diventerebbe quanto mai attuale.» Così Pascal Bruckner riassume le sue riflessioni nel testo che apre il libro. Libro raccoglie i testi che quindici narratori, giornalisti, intellettuali francesi, «orchestrati» da Nicolas Diat, hanno scritto dopo aver passato il breve soggiorno indicato dal titolo presso i canonici agostiniani dell’abbazia di Lagrasse, più o meno a metà strada tra Narbonne e Carcassonne («Un projet un peu fou», dice con un sorriso l’abate firmando la postfazione). Più che l’abbazia, di origini carolinge e riportata a nuova vita a partire dal 2004, e la sua comunità di oltre quaranta monaci, a riempire le pagine del volume sono le considerazioni degli scrittori invitati (che hanno offerto il loro compenso per il proseguimento dei lavori di restauro) sugli ambienti, gli orari, il tempo, la tavola, la magnifica liturgia gregoriana e così via. Personalità molto diverse, forse meno attente a osservare e ad ascoltare che a scrutare le proprie reazioni, che, va da sé, possono essere più interessanti o meno interessanti. Sorprende, forse, la sorpresa di quasi tutti di fronte al senso di straordinaria fraternità che la comunità trasmette, anche al passante frettoloso. Va anche detto che tre giorni e tre notti sono davvero pochini…
Raphaël Buyse, Un dio diverso, traduzione di L. Marino, Qiqajon-Comunità di Bose 2019 (trad. di Autrement, Dieu, 2019). L’autore, sacerdote, di questo piccolo libro ispirato («Ci sono libri che si divorano e altri che si assaporano lentamente. Un Dio diverso appartiene a entrambe le categorie», dice Enzo Bianchi) di giorni in un monastero (benedettino, belga) ne ha passati molti di più (tre anni) e così introduce il suo «resoconto»: «Quei pochi mesi passati al monastero di Clerlande mi hanno attirato in una strettoia. Hanno bruscamente interrotto il cammino che stavo facendo senza problemi da quasi sessant’anni. Più nulla è come prima. Né quello che sono, né quello che vorrei essere. E neanche quello che faccio. Quei pochi mesi di esperienza monastica hanno cambiato il corso della mia vita». Dopo anni di attività intensissima, la prolungata sosta presso una comunità di individui liberati da qualsiasi ambizione se non quella della ricerca di Dio («solidali, ma non intruppati») ha regalato a p. Buyse una prima scoperta: se interrogato direttamente, Dio tace («il suo silenzio mi ha mondato, purificato, disincrostato, strigliato, risciacquato, depurato. Mi ha cambiato, convertito, riformato e rifatto»). Prima scoperta sconvolgente e liberante, che lo ha portato a una seconda, altrettanto decisiva scoperta: «Senza tante chiacchiere, senza preconcetti ideologici e senza arroganza quei vecchi benedettini mi hanno rivelato quello che cercavano vivendo in quel luogo: l’unificazione profonda della persona». Ecco la vera scuola del monastero: l’essere umano, l’umanità («bisogna semplicemente credere nell’uomo. Nell’uomo amato da Dio»). E la comunità monastica diventa una specie di classe che accoglie scolari di tutte le età e provenienze, dove si studia, si mangia, si lavora, si prova in carne e ossa, insieme e con strumenti antichissimi, a contrastare la scissione che ci affligge, a inseguire giorno per giorno il desiderio di unità. Il Dio che parla, un Dio diverso appunto, non è altrove. «Ho compreso», scrive p. Buyse «che non c’è nulla da cercare altrove che nella profondità del quotidiano. […] Nella fragilità e nella grandezza del quotidiano si nasconde una profondità che ha il sapore dell’eternità: nell’uomo c’è qualcosa di più grande di lui. In questo io credo.» Eh, qualcosa…
Molto interessanti questi due libri. Purtroppo leggerò solo il secondo perché il primo è in francese. Diat tra l’altro ne ha scritti diversi che trattano sempre di monaci e monasteri. Sa per caso se verranno mai pubblicati in Italia? Grazie
Mi dispiace, non lo so. In effetti sono stati tradotti italiano soltanto quelli che ha scritto con il cardinal Sarah. Nel volume “La forza del silenzio” c’è un bel capitolo conclusivo molto “monastico”, che riporta un dialogo del cardinale con il priore dei Certosini. Mentre ho visto che “Un temps pour mourir”, del solo Diat, è stato tradotto in inglese e in spagnolo.
Buonasera e grazie a lei.