Ciò da cui tutto il resto dipende (Schiacciare l’anima, pt. 5/5)

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(la quarta parte è qui)

«Resta da affrontare una questione dolorosa e difficile.» È lo stesso dom Dysmas de Lassus a introdurre così gli ultimi capitoli del suo libro1, quelli che affrontano le questioni più spinose dell’accompagnamento spirituale e delle sue distorsioni in abuso spirituale e sessuale. Com’è possibile, si chiede il priore, che proprio all’interno di comunità votate alla libertà, alla gioia di una scelta e all’amore sorgano situazioni di tale violenza da produrre danni psicologici quasi irreparabili, se non da mettere in pericolo la vita stessa di alcuni loro membri?

Nella mia posizione, nemmeno di osservatore, bensì di mero lettore di tali situazioni («È molto difficile per una persona esterna a una comunità capire cosa avviene all’interno») sono tentato di limitarmi a una serie di citazioni e di rimandare alla lettura diretta delle parole di d. Dysmas, alla sua sofferta ma non per questo meno lucida riflessione sul dramma delle vittime di questi abusi. Perché sono le vittime che devono essere messe al centro: «È necessario un vero cammino di conversione e bisogna aspettarsi che sia impervio. Conversione vuol dire capovolgimento, un capovolgimento del modo di considerare le vittime, viste non più come una minaccia, ma come persone che hanno sofferto per colpa di membri dell’istituto o dell’istituto stesso».

Alcuni punti trattati dal priore possono essere tuttavia riassunti, anche per mettere in prospettiva circostanze e testi famosi della tradizione monastica. Ad esempio il problema dell’affidabilità della guida spirituale, che d. Dysmas definisce «questione terribile» (una forma di rapporto, l’accompagnamento spirituale, pressoché scomparsa al di fuori di situazioni assai ristrette e di cui, forse, anche certi laici sentono la mancanza). Quante pagine ho letto sulla necessità di affidarsi senza remore né reticenze al proprio padre o madre spirituale, quante sull’annullamento della propria volontà, quante sulla totale apertura del cuore e della coscienza, sulla cieca obbedienza, e così via. Il punto qui è l’importanza di spostare l’accento, di estenderlo, dall’accompagnato all’accompagnatore: chi è costui o costei? È capace di reale discernimento? È capace di essere «attento, privo di curiosità indiscreta, disponibile senza pressione»? È capace di rispettare la libertà di chi gli si affida? «Il punto di partenza di una vocazione, ciò da cui tutto il resto dipende, è una relazione intima tra Cristo e il candidato, una relazione nella quale nessuno può intervenire, perché la libertà deve essere totale.»

E ancora, l’importanza di rispettare, e favorire, la dimensione umana dell’esperienza monastica. Il Verbo si è fatto carne e non angelo, ricorda il priore, e la sequela di Cristo si basa sull’incarnazione, quindi il disprezzo dell’umano non può essere al centro della vita del monaco: «Parlare di vita angelica in relazione alla vita religiosa sembra dunque come minimo inappropriato» («Tanto più che noi non conosciamo nulla della vita angelica»). I monaci, i futuri monaci, sono quindi uomini e donne che non devono distruggere la propria natura, che non devono essere invitati a farlo, anche e soprattutto in nome dell’obbedienza, che non può riguardare mai la vita spirituale: «Questo permette di stabilire un principio fondamentale che non ammette eccezioni: nessuna persona ha autorità sulla coscienza di un’altra, perché se la pretendesse entrerebbe in concorrenza con Dio». E ciò conduce a un’altra delicatissima questione (sulla quale, come materialista intenzionato a capire, mi accanisco senza successo), quella della volontà di Dio. Un concetto su cui, avverte d. Dysmas, non bisogna insistere troppo, pena la «confusione pressoché certa tra la volontà del superiore e la volontà di Dio». Oltre a rendere pericolosamente infantili, il richiamo costante e puntiglioso alla volontà di Dio uccide la libertà e la responsabilità: «Il cuore dell’abuso è situato qui: la volontà di Dio su di te ti viene dall’esterno e tu devi sottometterti a tutto ciò che ti è chiesto, come un bambino».

Come dicevo, la tentazione di moltiplicare le citazioni è forte. Mi fermo qui, consapevole che ci sarebbe ancora molto da dire. In conclusione? La conclusione, per quello che posso dire io, è questo stesso libro, la sua esistenza. E trovo di grande rilievo il fatto che lo abbia scritto il priore generale dei Certosini, di quella istituzione che di sé dice «nunquam reformata quia nunquam deformata», cioè «mai riformata poiché mai deformata», affrontando della forma di vita religiosa tutte le possibili deformazioni. Senza esitazioni.

(5-fine)

______

  1. Dysmas de Lassus, Risques et dérives de la vie religieuse, préface di Mgr José Rodriguez Carballo, Les Editions du Cerf 2020; trad. ital. di G. Lamieri, E. Antoniazzi e T. Testoni, Schiacciare l’anima. Gli abusi spirituali nella vita religiosa, EDB 2021.

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