(la prima parte è qui)
Per parlare dell’ottimo libro1 di Dysmas de Lassus, priore della Certosa e priore generale dei Certosini, ero partito da alcune considerazioni sull’obbedienza. Quell’obbedienza che per il «grande valore che ha nella vita religiosa la rende particolarmente vulnerabile quando assume la forma dell’abuso spirituale» e che richiede oggi più che mai una «protezione», visto che «gli ultimi decenni hanno mostrato come poche nuove comunità siano riuscite a sfuggire a disfunzioni di ogni genere». Parole forti e impegnative che preludono a un’analisi molto dettagliata, scandita in capitoli dedicati alle sfere in cui tali disfunzioni più facilmente possono emergere: il carisma e l’istituzione, la vita comunitaria, il rapporto con il mondo esterno, l’obbedienza, l’ascesi, l’accompagnamento spirituale, e così via.
Si tratta secondo il priore di meccanismi perversi non specifici della vita religiosa (le «derive settarie» sono comuni a tutte le organizzazioni), ma che in essa possono assumere tratti molto pericolosi, e devastanti per chi ne è vittima, in virtù del carattere «estremo» di tale scelta di vita. L’estremismo, connaturato in certa misura con la vocazione, con cui si sceglie di seguire la strada indicata da Gesù (la sua «imitazione») è proprio ciò che può portare, ad esempio tramite la manipolazione, a una deformazione di quelle virtù che rappresentano la sostanza stessa della sequela: l’obbedienza diventa asservimento; l’umiltà « distruzione della legittima stima di sé»; il dono di sé cieca negazione dell’individualità; la trasparenza «perdita completa di ogni intimità personale»; lo stesso silenzio diventa omertà e la clausura reclusione, isolamento totale dal mondo esterno (un conto è il comportamento eccezionale del singolo individuo toccato da una grazia speciale, un conto è un sistema sostanzialmente imposto).
Il priore non esita ad affermare la facilità, peraltro ampiamente documentata dalla ricerca, con cui si può fare un «uso cattivo» degli strumenti tipici della vita religiosa, e anzi sottolinea che «una pratica tradizionale non offre di per sé una garanzia. La fecondità della vita religiosa non è data da questa o quella pratica particolare, ma dalla sapienza che riesce a unire in modo armonioso, differenziato e personalizzato, mezzi che non sono nulla presi singolarmente, ma che sono al servizio… di un desiderio comune a tutti: rispondere all’amore di Dio». Anche sorvolando su quelle due precisazioni ulteriori – differenziato e personalizzato –, che trovo molto significative, è notevole che il superiore di un Ordine millenario non esiti, appunto, a mettere in guardia dai falsi richiami alla tradizione.
È di fondamentale importanza quindi saper individuare i segni che in una determinata comunità indicano che sono in atto quei processi di «deviazione delle virtù» che inevitabilmente produrranno gli abusi. Abusi che, è bene sottolinearlo, e il priore lo fa lungo tutto il testo e in un capitolo apposito, non sono fenomeni astratti, ma gesti e comportamenti che hanno conseguenze drammaticamente reali, cioè anzitutto vittime, persone in carne ossa tradite nel loro più autentico slancio, che soffrono, che vengono «annientate» («La frase che si sente più spesso pronunciare: “Non so più chi sono”»), che devono affrontare un lungo e doloroso percorso di ricostruzione, che possono anche essere tentate dal suicidio.
«È molto difficile», ammette il priore, «per una persona esterna a una comunità, capire che cosa avviene all’interno. La facciata resta sempre protetta e le disfunzioni sono difficili da percepire se non si conoscono questi meccanismi e i mezzi per decodificare certi sintomi. Ma oggi non possiamo più dire: “Io non sapevo che questo esistesse”».
(2-segue)
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- Dysmas de Lassus, Risques et dérives de la vie religieuse, préface di Mgr José Rodriguez Carballo, Les Editions du Cerf 2020; trad. ital. di G. Lamieri, E. Antoniazzi e T. Testoni, Schiacciare l’anima. Gli abusi spirituali nella vita religiosa, EDB 2021.