Alla fine della prima parte del Tolemaico, «novella berlinese del 1947», e sua prima pubblicazione dopo la catastrofe della guerra, Gottfried Benn se ne esce con una profezia, o più semplicemente un’ipotesi, per il XXI secolo molto singolare.
Sullo sfondo di un paesaggio urbano di gelo e macerie, Il paese del loto, così s’intitola la prima parte della «novella», prosegue la distruzione per numerose pagine, per giungere infine a due «spettacoli» impressionanti: «La sociologia e il vuoto!» – la fine dell’individualità e il nulla replicato che ne ha preso il posto. In un panorama di frammenti e gesti meccanici, «lo Spirito o gli dei o ciò che era stato della sostanza umana» si ritrae dalla terra: nonostante alcuni colpi di coda prevedibili «il dogma, quello dell’homo sapiens, era giunto alla fine».
Bene, davanti a questo quadro carico di ottimismo, Benn dice che non ci sono dubbi, «il secolo a venire avrebbe ammesso ancora soltanto due tipi [maschili, va detto]: quelli che agivano e puntavano in alto, e quelli che attendevano in silenzio la metamorfosi – criminali e monaci, non sarebbe più esistito altro».
Risorgeranno gli Ordini, dice ancora Benn, torneranno «i frati», «tonache nere dall’incedere silenzioso, assorto» popoleranno «nuovi monti Athos e Cassino». Soltanto così, cioè solo con l’autistica opzione monaci, forse sarà possibile una riconciliazione «con il mondo perduto delle cose», grazie a solitudine, riti, rinuncia al consueto. Soltanto così l’anima si chiuderà di nuovo in se stessa, gusterà di nuovo il loto e potrà sperare e obliare».
Criminali o monaci. Dai, nient’altro?
♦ Gottfried Benn, Il tolemaico, in Romanzo del fenotipo, traduzione di A. Valtolina, Adelphi 1998, p. 112.