È molto bello che sia stato reso disponibile a tutti gli interessati il testo dei «Capitoli» pronunciati da Mauro-Giuseppe Lepori nell’ambito del «Corso di formazione monastica»1 tenutosi lo scorso settembre 2019 presso il Collegio Internazionale San Bernardo di Roma2. È molto interessante, infatti, poter leggere direttamente i documenti della riflessione che i monaci di oggi conducono su se stessi, la propria condizione, il proprio futuro, e, d’altra parte, difficilmente, per non dire mai, un testo dell’abate generale dei Cisterciensi scivola sulla superficie dell’argomento o ricicla il già detto: quello che di lui ho letto mi è sempre sembrato molto personale e frutto di una speciale urgenza.
I problemi e le difficoltà della scelta di vita monastica trovano spazio in queste «conferenze», sono ricordati con precisione e discrezione, soprattutto grazie all’attività dell’abate generale di visitatore informale delle comunità sparse nel mondo («Quando vedo che, molto spesso, nelle comunità o nei singoli monaci e monache che visito…», «Qualche anno fa, visitando una comunità…», «Noto spesso che le comunità…», ecc.), ma i testi, com’è naturale che sia data l’occasione per la quale sono stati pensati, danno il massimo risalto alle prospettive future, cioè a cosa possono e devono trasmettere oggi le comunità monastiche ai giovani e alle persone in genere che le scelgono o semplicemente le avvicinano. Trasmissione, prima parola chiave isolata da d. Lepori, di qualcosa che si è ricevuto da qualcuno a qualcun altro: «Abbiamo l’impressione che stiamo finendo», si chiede, un po’ dolorosamente l’abate, «che la nostra missione è giunta alla fine, che si stia esaurendo, che nessuno la raccoglierà. Ma siamo preoccupati di trasmetterla? Abbiamo un’idea esatta della trasmissione? Detto in modo ancor più radicale: abbiamo semplicemente un’idea della trasmissione?»
In estrema sintesi ciò che le comunità devono sapere, o imparare a, ricevere e ridare è la «trasmissione del Cristo vivente, inviato dal Padre a salvare il mondo», formula che l’abate Lepori provvede a colmare di contenuti – così che anch’io, pur da lontano, posso provare a comprendere. In discussione qui, in primo luogo, non è un complesso di esperienze, di osservanze, un’insieme di tradizioni, un patrimonio di edifici3, bensì – credo si possa dire – una forma di umiltà e di apertura: «Viviamo nel monastero al servizio della trasmissione di Gesù Cristo?» si chiede ancora d. Lepori. «Viviamo la nostra fedeltà monastica al servizio della trasmissione di Gesù? [Dovremmo rifletterci] quando consideriamo il nostro modo di vivere la vita monastica, la nostra tradizione monastica, per vedere se, sì o no, rimaniamo in una trasmissione umile e aperta di un dono, o se ci riduciamo a essere solo guardie giurate di antichità rinchiuse nella cassaforte della nostra osservanza, una cassaforte, peraltro, sempre più arrugginita.»
È curioso, tra l’altro, osservare come l’insieme dei beni (antichità) che sarebbero custoditi in quella cassaforte – la pace, il silenzio, l’ordine quotidiano, il «minimalismo» degli ambienti, l’assenza di distrazioni, e mettiamoci anche il canto suggestivo, la bellezza di certi chiostri e, più sottilmente, l’escamotage dell’obbedienza – sia proprio ciò che attira le cosiddette folle verso i monasteri: spesso leggo interventi che osservano come ciò vada comunque letto come il sintomo di «un bisogno diffuso di spiritualità e di senso», e poi leggo l’abate che invita confratelli e consorelle a non dimenticare il «nocciolo del problema».
«Questo fondamento della nostra vocazione sulla missione salvifica di Cristo ci aiuta a cogliere il valore profondo e vivo delle nostre tradizioni», ribadisce con chiarezza l’abate, «delle nostre tradizioni veramente autentiche, non di quelle che, in definitiva, sono solo ornamenti esteriori.» E non è questo forse un invito rivolto anche ai laici che si avvicinano alle comunità, ai fedeli che partecipano alla liturgia, ai miscredenti come me che vanno a visitare i monasteri? Meno cd di gregoriano e più Gesù Cristo?
(1-segue)
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- Dom Mauro-Giuseppe Lepori, Capitoli sulla Regola, Corso di formazione monastica, 26 agosto – 20 settembre 2019: lo si può trovare qui; oppure qui, insieme ad altre testimonianze sul corso.
- «Alla scuola della spiritualità cistercense, voi siete spronati a orientare alla contemplazione di Dio l’intera vostra esistenza, secondo il consiglio di san Benedetto: “Non anteporre nulla all’amore di Cristo”. L’esperienza monastica vi stimola, altresì, a praticare la Lectio divina, a celebrare insieme la Liturgia delle Ore, soprattutto l’Eucaristia ogni giorno, e a prolungare nell’adorazione eucaristica la vostra intimità con il Signore. L’assillo dello studio non vi distolga da questa immersione quotidiana in Dio. Solo da Lui, infatti, potrete attingere la forza indispensabile per l’apostolato che vi sarà affidato dai vostri superiori quando tornerete nelle vostre rispettive nazioni e diocesi», Giovanni Paolo II, Discorso alla comunità del Collegio Internazionale San Bernardo in Urbe, Roma, 3 maggio 2001.
- «I più anziani sono spesso ansiosi e inquieti per la trasmissione delle osservanze, delle tradizioni, degli edifici. Vogliono che tutto ciò “sopravviva”. È come se volessero trasmettere la vita monastica senza trasmettere Cristo, che è l’unico significato della vita monastica cristiana.»