Un cammino di ritorno (Gli «uomini di Dio» di André Louf)

Hanno fatto molto bene le Edizioni Qiqajon a riunire e ripubblicare sotto il titolo di Uomini di Dio1 sette brevi scritti che André Louf ha seminato qui e là su Benedetto da Norcia, Pier Damiani, Bruno di Colonia, Bernardo di Chiaravalle e Benedetto Labre (quest’ultimo, ammetto, non lo conoscevo). Già allineare questi nomi non pare privo di significato; ripassare, poi, alcune figure massime della storia del monachesimo, guidati da «un grande padre spirituale del nostro tempo» (Enzo Bianchi), è sempre utile; ma il lettore di questo splendido libretto si imbatterà anche in alcune osservazioni sparse molto interessanti e di portata più vasta rispetto ai profili dei personaggi analizzati – come se il monachesimo fosse, in fondo, un unico discorso: una sola principale con mille subordinate e incisi: «Una tentazione alla quale bisogna resistere», scrive p. Louf,  «è quella, sempre rinascente, di sacrificare a opposizioni secondarie e talora artificiose, l’unità profonda della vocazione monastica, della tradizione che la supporta e anche, per certi versi, delle istituzioni che, proprio a causa della loro varietà, ne sono l’espressione più integrale». Ne ho ricavato, di tali osservazioni, un piccolo florilegio.

  • I monaci di tutti i tempi costituiscono dunque un commento vivente alla Regola e al messaggio di Benedetto (p. 10). Si può esprimere meglio il senso del tempo che pervade la storia del monachesimo? Si può esprimere meglio la straordinaria compresenza di astrazione e praticità tipica del monachesimo benedettino? Ecco espresso in due righe il paradosso dell’esistenza di un unico Monaco e, contemporaneamente, di tanti monaci. Volendo, si potrebbe anche discutere del senso di appartenenza che traspare da un’osservazione del genere, a confronto con quanto può mettere in campo il pensiero laico (ammesso che debba), ma è discorso al di là della mia portata.
  • Il monastero dovrebbe dunque essere il territorio ecumenico per eccellenza (p. 22). Altro paradosso stimolante: un luogo che per tradizione viene visto come chiuso si rivela invece terreno ideale di incontro e scambio e continua apertura, «già segno della chiesa indivisa».
  • Quel che colpisce chi si accosta alla Regola è la frequenza relativamente elevata di termini che assimilano la vita monastica a un percorso, a un vero e proprio cammino […]. Questo cammino è un cammino di ritorno (p. 37). Si può dire che ci sia qualcosa di archetipico in questa prospettiva? Si può immaginare un contrasto più forte fra questo orientamento e quello che non prevede una meta? Quanto conforto c’è nell’idea che questo ritorno, questo rientro, per quanto lontani si sia stati, sia comunque possibile? E già che mi sono sbilanciato: perché non mettere lì accanto anche il «tema del nostos» e quindi la nostalgia? La paradossale nostalgia monastica che, a differenza di tutte le altre, sgorga per qualcosa che deve ancora essere.
  • Le situazioni dure e aspre non sono mai una motivazione sufficiente per entrare in monastero (p. 60), perché è la gioia la strada lungo la quale, tra oggettive difficoltà, s’incammina il monaco, ed è la gioia il principale strumento di discernimento: «Forse è questa la lezione più importante che Benedetto ha lasciato, anche per il mondo di oggi, e non solo per i monaci. La gioia non è soltanto il traguardo del cammino che egli propone, è anche l’impronta che accompagna quotidianamente il credente e gli conferma che è sulla buona strada». Dunque la quieta disperazione del miscredente sarebbe la nebbia di un sentiero smarrito?

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  1. André Louf, Uomini di Dio. Testimoni della gioia evangelica, prefazione di E. Bianchi, Edizioni Qiqajon – Comunità di Bose 2019.

 

2 commenti

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2 risposte a “Un cammino di ritorno (Gli «uomini di Dio» di André Louf)

  1. Guydotti

    grazie per aver colto così bene la nostalgia di futuro che abita il cuore del monaco e la vita monastica
    Guido

  2. MrPotts

    Grazie a lei per il commento, e per la benevola e continuata attenzione.

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