47. Nella più recente raccolta poetica, molto bella, di Giancarlo Pontiggia c’è una poesia, «suggerita» dal titolo di un libro di Francesco M. Cataluccio, in cui compare un monaco silenzioso1.
Vado a vedere se di là è meglio
«Vado a vedere se di là è meglio.»
Ma cos’è meglio? Il silenzio mistico
di chi contempla il muro, spoglio, di una cella
o il frastornante rumore del mondo? Il mattino
quando tutto è primo, sospeso
sul fare delle cose
o il pomeriggio, sul tardi, quando
il cielo se ne va, e si porta via
ogni pensiero? La vita
che trafigge, rapida, tormentosa, i nostri anni
o la fine, la fine caritatevole, che rigenera
il mondo? Com’è che esiti,
se te lo chiedo?
48. Nelle tre biografie kantiane che vengono tradizionalmente presentate insieme, quelle di Borowski, Jachmann e Wasianski, si dà ampio spazio anche ai diversi aspetti dei rapporti di Kant con la religione. Ludwig Ernst Borowski, in particolare, ricorda tra le altre cose un opuscolo del «prof. Reuss», Va insegnata la filosofia di Kant nelle Università cattoliche?, ormai superato dai fatti, poiché non sono pochi i docenti di confessione cattolica che la insegnano, compreso lo stesso Reuss, a Würzburg. E tali docenti sono elencati in un documento, indirizzatogli dallo stesso Kant, che Borowski pone in appendice al suo scritto: «Persino nei conventi» si tengono lezioni su Kant, come a Münnerstadt, presso gli agostiniani, «i quali in ogni epoca scientifica arrivano sempre con vent’anni di ritardo»2.
In realtà anche Christian Jonas Petrus Reuss (1751-1798) era un monaco, benedettino dell’abbazia di Santo Stefano, appunto a Würzburg, dove aveva pronunciato i voti solenni nel 1777, dopo studi di filosofia e medicina, e assumendo il nome di Matern, in onore dell’abate Matern Bauerness che lo aveva accolto nel cenobio3. «Oratore affascinante, maestro amato e stimatissmo, Reuss, con un attivismo impareggiabile, si adoperò per diffondere la filosofia di Kant nella cultura tedesca, sia all’interno del suo ordine sia nelle università cattoliche della Germania» (Antiseri). Borowski non si nasconde, tuttavia, che, nonostante l’opera di Reuss e di altri come lui, «la filosofia kantiana non entrerà tanto presto dagli oscuri portoni di certe scuole claustrali». Ci vorrà tempo e, «a dispetto di qualche cenobita devoto al nostro filosofo, e per farlo montare su tutte le furie, si darà al cane da guardia del convento il nome di Kant (un fatto avvenuto, anche se non sono in grado di indicare il luogo)» – Kant! Vieni qua!
49. Avevo dimenticato il mirabile panorama monastico che Tomasi di Lampedusa ricostruisce dai pensieri del Principe di Salina in viaggio notturno verso Palermo4. Avevo dimenticato le «smisurate moli dei conventi», «pachidermici, neri come la pece, immersi in un sonno che rassomigliava al nulla». Avevo dimenticato il senso di morte che trasmettono alla città e «che neppure la frenetica luce siciliana riusciva mai a disperdere». E soprattutto avevo dimenticato quella presenza eccentrica in un elenco di ordini del tutto consueto: «Conventi di gesuiti, di benedettini, di francescani, di cappuccini, di carmelitani, di liguorini, di agostiniani…» I liguorini, cioè i padri redentoristi di Alfonso Maria de’ Liguori, che Garibaldi avrebbe espressamente «sciolto», insieme ai gesuiti, con un decreto del giugno 1860, un mese dopo la scena descritta da Tomasi, perché «sono stati nel tristo periodo dell’occupazione borbonica i più validi fautori del dispotismo», e i cui beni sarebbero stati venduti il mese successivo a favore della Pubblica Istruzione o messi a disposizione della medesima5, ebbene, sono quasi convinto che, al di là della esattezza storica, Tomasi li abbia inseriti per il suono del loro nome: una scelta musicale.
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- Giancarlo Pontiggia, Il moto delle cose, Mondadori 2017, p. 93-4.
- L.E. Borowski, Descrizione della vita e del carattere di Immanuel Kant (1804), in L.E. Borowski, R.B. Jachmann, E.A.Ch. Wasianski, La vita di Immanuel Kant narrata da tre contemporanei, traduzione di E. Pocar, Laterza 1969, p. 41.
- Traggo queste notizie da testi di storia delle filosofia di Dario Antiseri.
- Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo, Feltrinelli 1958, Capitolo primo.
- Decreto del 20 luglio 1860, art. 4: «Le biblioteche, musei d’antichità ed arti, o di scienze naturali, i gabinetti di fisica, e tutt’altra collezione di simil natura che apparteneva ai Gesuiti, o ai Liguorini, saranno addette ad uso pubblico ciascuna nella stessa città ove si trovi; e verranno aggregate agli Stabilimenti analoghi della Città, quando ve ne sia».